All’Eur di Roma ci sono due mondi che si incrociano: le geometrie che raccontano il passato monumentale di un quartiere e la Nuvola futurista di Fuksas che sembra atterrata dallo spazio. È lì dentro, tra scale mobili e scaloni che si trasformano in scivoli verso il sottosuolo, che lo Spring Attitude ha celebrato la sua XIV edizione con 18mila presenze. Numeri record per un festival che si ripete da 14 anni senza però mai ripetersi.
Spring Attitude 2025. Foto: Federico Carnevale
A colpire è stato anche il pubblico, collage vivente di mode e sottoculture indie: camicie fiorate, cappelli da pescatore, occhiali tondi e baffetti anni ’70. Una tribù che si muoveva veloce da un palco all’altro. «Spring Attitude è cresciuto, è diventato maturo», ci ha raccontato un fiero Andrea Esu, fondatore e direttore artistico. Tanto che oggi «il livello è internazionale, ma l’identità è rimasta la stessa. Proponiamo elettronica, che è la nostra prima natura, insieme a cantautorato, pop e rock alternativi. Una scelta ampia, ma coerente».
Dentro la Nuvola si è passati invece dal sogno onirico di Coca Puma alla psichedelia “post tutto” dei Post Nebbia, per arrivare al debutto live di Golden Years, che ha trasformato il festival in un raduno generazionale di musicisti romani: in 40 minuti sono sfilati Fulminacci, Franco126, Coez, Frah Quintale, Tutti Fenomeni e Giorgio Poi, che poco dopo si è preso la scena con una doppia sorpresa. Prima con Frah Quintale per Missili, poi con l’ingresso dell’attore Luca Marinelli per cantare Solo per gioco, dal film Paternal Leave.
Inizialmente l’incredulità, poi solo applausi per il momento più “cinematografico” dell’edizione. Fuori, sulla terrazza, il Block Party ha incendiato il pomeriggio: Arssalendo con il suo set visionario, Emma in versione disturbante e catartica, Fenoaltea a far ballare senza tregua, fino a Turbolenta che ha aperto il suo set gridando «Palestina libera». Intanto dentro la Nuvola i beat si facevano più intensi: Apparat ha stregato con un flusso ipnotico, i Bicep trasformato Chroma in un’esperienza audiovisiva totale, e Dj Gigola ha chiuso il Day 1 strappando dai presenti anche gli ultimi brandelli di energia che gli erano rimasti in corpo.
Apparat. Foto: Federico Carnevale
Il sabato ha mischiato ancora le carte: gli Altın Gün con il loro folk psichedelico, Marco Castello in equilibrio tra ironia e groove, L’Impératrice scintillante fino all’ultimo synth. Ma è La Niña ad aver lasciato il segno con un live incendiario che ha messo in fila giovanissimi e non solo. La prova che il futuro della musica italiana passa sempre da Napoli e dai suoi suoni contaminati. Ellen Allien ha poi sigillato la notte, da vera icona techno che non conosce stagioni. «La scelta della Nuvola è stata uno step fondamentale», spiega Andrea Esu. «È un luogo iconico e suggestivo per il pubblico, ma anche una soluzione concreta. Negli ultimi anni all’aperto avevamo rischiato la pioggia o ci siamo bagnati. Stavolta ci siamo presi la serenità di avere un tetto sulla testa».
Dietro alla Nuvola, quasi invisibile, c’era l’Hilton: come un backstage parallelo, un contrasto col dancefloor a cielo aperto che trasformava Roma in una capitale europea della musica. «La sfida è portare questa città più vicina a quelle che frequentiamo all’estero. Non saremo mai il Primavera Sound per numeri, ma quell’atmosfera, quelle vibes siamo riusciti a ricrearle qui. E viverle in questo modo, con il nostro festival, è una soddisfazione enorme». Così Spring Attitude conferma che Roma può ancora ballare nel futuro. Dentro una Nuvola, ma con i piedi ben piantati a terra.
