Depeche Mode, la recensione del concerto a Milano | Rolling Stone Italia
We Just Can’t Get Enough

«So much better than Torino»: la festa per niente mesta dei Depeche Mode a Milano

Tutto giusto: ieri sera al Forum di Assago il quartetto (sì, quartetto, perché Eigner e Gordeno suonano coi Depeche da 26 anni) ha dimostrato che si può invecchiare bene e che ‘Memento Mori’ non è un disco sulla morte, ma una celebrazione della vita

«So much better than Torino»: la festa per niente mesta dei Depeche Mode a Milano

Dave Gahan al Forum coi Depeche Mode

Foto: Giuseppe Craca

Non ero stato tenero con i Depeche Mode passati la scorsa estate da San Siro. Molto mestiere, molte trovate già sentite nei precedenti tour. Il timore di assistere a qualcosa di già visto c’era anche ieri sera al Forum di Assago. Ma Dave Gahan e Martin Gore ci hanno fatto ricredere con un concerto che, pur con scaletta, palco e visual molto simili a quello degli show all’aperto, ha trovato in uno spazio più raccolto la sua dimensione ideale.

Dato l’enorme successo della band, che pare tutt’altro che destinato a scemare, è comprensibile che desideri suonare negli stadi, però una dimensione più intima (se si può definire intimo un Forum pieno come un uovo) permette di cogliere un sacco di sfumature che a San Siro erano andate perdute. Dave Gahan lo vedi, lo ascolti e lo apprezzi in qualsiasi situazione: è uno nato per fare il frontman e lo farebbe bene anche al Circo Massimo. Ma per ricordarsi quanto sono soul i cori di Martin Gore o struggersi quando la sua chitarra blues si intreccia con il piano di In Your Room si ha bisogno di una buona acustica e, lungi da me fare discorsi da audiofilo, ieri quella del Forum era buonissima.

I due fondatori poi ci mettono del loro, in formissima sotto tutti i punti di vista, trascinatori di una formazione a quattro che comprende anche il polistrumentista Peter Gordeno e il batterista Christian Eigner, che sarebbe giusto citare sempre, visto che suonano dal vivo con la band da ormai 26 anni. Infine l’ingrediente più importante: i pezzi. Pur senza trascurare quelli dell’ultimo Memento Mori, il più utilizzato in scaletta assieme al capolavoro Violator, i Depeche Mode possono contare su canzoni che tutti conoscono, tutti cantano e tutti amano, classici di una carriera iniziata 43 anni fa.

Quindi: dimensione relativamente intima, band in formissima e pezzoni uno via l’altro. Cosa può andare storto? E infatti va tutto bene. Davanti poi c’è Dave Gahan, il più grande frontman che una band di techno pop abbia avuto, il vero elemento rock nella versione live dei Depeche Mode, molto più della chitarra di Martin Gore che, per piacere non accusatemi di lesa maestà, spesso non si capisce bene quali suoni produca. Il grande merito dei Depeche Mode live è quello di aver portato il rock nel techno pop (o viceversa). Del resto, come ci ha ricordato recentemente Jim Reid dei Jesus and Mary Chain, il rock’n’roll non è solo chitarre. Martin Gore, dal canto suo, ha come di consueto emozionato con versioni voce-piano di due brani del repertorio: ieri è toccato a Home e Strangelove, durante la quale, se non siamo stati vittime di un’allucinazione, si è sentita anche la voce registrata di Gahan, che nel frattempo era sceso dal palco. Questo per dire che, come da sempre nei concerti dei Depeche Mode, non tutti i suoni sono “in diretta”.

E mentre i pezzi si succedevano, accompagnati dai visual di Anton Corbijn (meno suggestivi del passato e più legati alla ripresa di immagini dal vivo) è stato inevitabile pensare a come siano invecchiate bene canzoni come Stripped, che ha 38 anni sulle spalle. Trentotto anni prima della sua uscita (1986, l’anno di Black Celebration) era il 1948 e in Italia era da poco entrata in vigore la Costituzione. Considerazioni banali e boomerissime, ma davvero è un pezzo che potrebbe uscire oggi, al contrario di gran parte del pop a esso contemporaneo. L’unico momento che suona un po’ revival, l’unico che sembra messo in scaletta come puro divertissement è forse Just Can’t Get Enough, al termine del quale Dave Gahan fa un po’ di giochini con il pubblico e poi esclama, ambasciator non porta pena: «So much better than Torino!», dove i Depeche si sono esibiti sabato scorso.

Il cantante trova anche il tempo di citare Riders on the Storm dei Doors («i Kraftwerk con Jim Morrison» aveva sintetizzato qualcuno nel descrivere i Depeche Mode ai tempi in cui Martin Gore, Andy Fletcher e Alan Wilder stavano immobili dietro le tastiere) stemperandola immediatamente con l’incipit di I Will Survive. C’è modo anche di divertirsi, insomma, anche se in tanti continuano a sostenere che Memento Mori significa che dobbiamo ricordarci che ci aspetta l’ineluttabile, mentre Martin Gore ha precisato che è un’esortazione a godersi la vita.

“See the stars they’re shining bright, everything’s alright tonight”. Le parole di Never Let Me Down Again, cantate sopra al consueto oceano di braccia, sono state il riassunto perfetto della serata, anche se le stelle non si vedevano. E la chiusura con Personal Jesus, registrata a pochi chilometri dal Forum, ai Logic Studios di via Quintiliano, un involontario atto d’amore della band alla città che li ospiterà anche domani sera. I biglietti sono esauriti, ma nei pressi del Forum abbiamo visto un discreto numero di bagarini. Beg, steal or borrow, dicono i britannici. Insomma, vale la pena di esserci.

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