I Molchat Doma che sospendono il soundcheck per la messa delle 18:00: una fotografia che riassume lo spirito di un festival-gioiello al confine tra il Friuli e il Veneto. Succede solo qui dove i synth post-sovietici e il gregoriano convivono nella stessa piazza, con un patto silenzioso. Sexto ‘nplugged è questo: un festival in equilibrio tra il sacro e l’underground, l’eco dei Joy Division e la liturgia, l’illuminazione architettonica e la potenza di una voce che rimbalza contro l’abside millenario.
Siamo a Sesto al Reghena, Friuli Venezia Giulia, poco più di duemila anime e una delle abbazie più suggestive d’Italia, fondata da tre fratelli, figli di duchi longobardi convertiti alla vita monastica nel VIII secolo. Una piazza lastricata, una torre campanaria, un alimentare dietro l’angolo e un festival che da vent’anni richiama artisti da tutto il mondo. Billy Corgan è passato da qui e come lui St. Vincent, Mogwai, Slowdive, War on Drugs. Agnes Obel ha giocato a calcetto contro il nipote di uno degli organizzatori. Gli Efterklang hanno fatto il bagno nel fiumiciattolo che attraversa il paese: «Il bello di questo festival è che gli artisti si mescolano con il paese», racconta Mauro Morassut, direttore artistico e tecnico. «C’è chi va a fare la spesa, chi entra in chiesa, chi resta colpito dalla bellezza e dalla quiete. Per loro diventa memorabile. Quando vanno via, ci abbracciano. E per noi questa è la cosa più bella».
L’edizione 2025 si apre proprio con i Molchat Doma, che dopo la messa salgono sul palco con un live preciso, quasi liturgico, fatto di ombre e cori synth-pop industriali. Il mattino seguente Lewis Evans, sassofonista dei Black Country, New Road, si ferma al bar a parlare con un anziano del posto. Serve una barista come traduttrice improvvisata. Si parla del Tagliamento, “un fiume torrentizio, ora in secca”, dei tre duchi longobardi che fondarono l’abbazia, del fatto che “qui non c’è sagra, ma quando è festa, il paese si riempie lo stesso”. Sul palco, la band inglese regala un set denso, nervoso, visionario. Una miscela di chamber rock, emozioni in bilico e improvvisazione jazz oriented, in perfetta sintonia con il contesto. I brani si allungano, si piegano alla serata. Nessuno sembra voler chiudere.

Foto: Davide Carrer
Il terzo giorno tocca ad Anna von Hausswolff, accompagnata dalla band, che trasforma Sesto in una cattedrale sonora a cielo aperto. Organi, batterie rituali, architetture vocali che sembrano uscite da un sogno medievale in chiave doom. Proporrà un set esclusivo, anticipando – di fatto – il suo prossimo disco, come dichiara a fine concerto.
La chiusura è affidata ai Baustelle, monumento dell’indie italiano, che in qualche modo riporta alle origini del Festival: «Eravamo partiti con concerti tipo Afterhours “unplugged”, ma unplugged non lo era davvero. Diciamo che l’idea era quella di proporre versioni più soft dei brani di band che normalmente “pestavano”, un po’ come si faceva con gli MTV Unplugged», raccontano Fabio Bortolussi, presidente e direttore artistico, e Mauro Morassut. «Era un compromesso con il luogo sacro, con la tradizione. Ma quella formula ha funzionato. Oggi non c’è più niente di unplugged, ma ci piace che il nome sia rimasto. È un’etichetta affettiva».
Affetto e testardaggine. Perché i due fondatori non fanno scouting per moda, ma per amore. «Quando ci innamoriamo di un artista, non ci fermiamo. È una fissa. Con Sufjan Stevens ci abbiamo provato dal 2006, quando lo conoscevano davvero in pochi, ma non ci siamo mai riusciti. Con i Beach House uguale. Addirittura abbiamo detto: scegliete voi la data, costruiamo il festival attorno. Niente. Ma ogni tanto la fissa ripaga. Come con Anna von Hausswolff, unica data italiana. E lì capisci che ogni tanto, aspettare serve».
Servono anche le notti insonni, i compromessi, le piazze montate a mano. Come quando i Verdena, dopo il concerto, restarono in piazza a festeggiare fino all’alba: «Eravamo tutti stanchissimi, ma c’era un’energia pazzesca. La gente che li aveva visti mille volte ci ha detto che come li aveva visti al Sexto non li aveva mai visti prima. Questo è il nostro valore aggiunto».

I Baustelle al Sexto ‘nplugged. Foto: Davide Carrer
Il valore di Sexto ‘nplugged sta proprio qui: nella cura totale. Dalle luci che scolpiscono i palazzi ai suoni che non rompono mai l’equilibrio del luogo. «Vogliamo che anche chi non conosce il gruppo – spiega ancora Fabio Bortolussi – entri e resti. Perché sente che c’è qualcosa. Che c’è cura. Per certi versi il luogo è il valore aggiunto dell’artista e l’artista è il valore aggiunto del luogo». E poi ci sono i momenti di giustizia poetica: «Una sera abbiamo ospitato Paolo Benvegnù. Suonava dopo un gruppo giovane, gli And Also The Trees. Paolo è entrato in piazza dopo cena, ha sentito il set e mi ha guardato sconvolto: “Ma noi dobbiamo suonare dopo questi?! Siete matti?”.
Prima del Sexto la musica aveva già ampiamente intersecato le vicende del paesino. C’era l’Estate Musicale: «Tutti i paesi avevano la sagra. Noi no. Perché qui c’era l’Estate Musicale, che durava da trent’anni e proponeva balletti russi e musica classica. Noi abbiamo preso quell’eredità – raccontano ancora Fabio e Mauro – e l’abbiamo trasformata. Niente più lirica, niente più compromessi. Solo musica che ci somiglia».
E forse è proprio questo il segreto. Fare un festival che non vuole piacere a tutti, ma che ha un’identità chiara. Che nasce da una cultura vera, non da un algoritmo. Come quella degli anni ’80, quando vicino a Sesto c’era una discoteca che si chiamava Refugium Peccatorum e una sera misero una bara al centro della pista mentre partiva The Funeral Party dei Cure: la cultura dark in Friuli ha infatti radici profonde e ancora vive nelle generazioni che hanno respirato quelle atmosfere tra synth freddi, post-punk e atmosfere gotiche. Era un movimento underground che ha attraversato non solo Sesto, ma molte altre città e paesi della regione, con band, locali e comunità che facevano della musica e dell’estetica dark un vero e proprio stile di vita. Questa eredità sonora e culturale ha contribuito a plasmare l’anima stessa di Sexto ‘nplugged, che continua a essere un crocevia di suoni intensi, atmosfere rarefatte e passioni autentiche.








