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Robert Plant continua a fregarsene delle nostre aspettative

A Lucca canta con Alison Krauss, ma tutt'intorno è Led Zeppelin: le t-shirt, la musica diffusa dagli altoparlanti, le richieste del pubblico. Forse è giunta l'ora di mettersi il cuore in pace

Foto: Enzo Mazzeo

Siamo a Lucca, la sera di un rovente 14 luglio. La gente cerca refrigerio come può, mentre mi avvicino alla bellissima Piazza Napoleone. Bar e ristoranti pullulano di t-shirt dei Led Zeppelin e ad ogni angolo sentiamo note familiari: quelle di Stairway to Heaven, Black Dog, Kashmir. In una delle vie del centro che portano alla piazza troneggia uno striscione che recita “Welcome to Lucca to the legend of rock”.

La leggenda in questione è ovviamente Robert Plant, ma in cuor nostro sappiamo che qualcosa non quadra: l’ex Golden God è noto per essere uno che non ama certo rivangare il suo passato, non solo quando si tratta di affossare ogni speranza di veder riunita la storica band britannica, ma anche perché da molti anni a questa parte non ha molto a che spartire nemmeno con il rock in senso stretto. Sa benissimo che gran parte della gente che compra i suoi dischi solisti e che va a vederlo dal vivo lo fa in virtù del suo passato, ma tant’è. Lui non molla e continua imperterrito per la sua strada.

Una strada che lo ha comunque portato a costruirsi una carriera solista di buon successo, condivisa negli ultimi anni con un’altra fuoriclasse assoluta, che sottovalutare sarebbe un crimine. Alison Krauss, tanto per cominciare, è una delle donne della musica di maggior successo di sempre, con ben 27 Grammy vinti, dietro solo a Beyoncé. Nella classifica generale è quarta. Ma soprattutto è una cantante e violinista di immenso talento, che ha pubblicato dischi in ben cinque decenni. I loro percorsi si sono incrociati nel 2007 ed è stato amore (artistico) a prima vista, sfociato in due album acclamatissimi dalla critica come il primo Raising Sand e il successivo Raise the Roof, uscito nel 2021.

Detto questo, appare evidente che l’artista americana continua comunque a muoversi nell’ambiente musicale che le è più congeniale fin da quando era una ragazzina (pubblicava il suo primo album a 16 anni), mentre Plant avrà sempre sulle spalle il fardello del popolo rock, che lo aspetta a ogni varco nella speranza che torni sui suoi passi. «Ma quanti pezzi degli Zeppelin fa?» è la domanda più ricorrente a ogni suo concerto. E la risposta non è mai scontata. Sul palco di Lucca il duo ha in effetti riproposto la celebre Rock and Roll, ma riarrangiata in chiave folk/Americana, e When the Levee Breaks, che invece già strizzava l’occhio a quelle sonorità in chiusura di Led Zeppelin IV (è in effetti una cover di Memphis Minnie e Kansas Joe McCoy, addirittura del 1929).

Per il resto, accompagnati da una band di fuoriclasse, che si muove con disinvoltura nel country & western e nell’r&b quanto nel rock’n’roll primordiale e nel bluegrass, Robert Plant e Alison Krauss sfornano un repertorio fatto in larga parte di cover che vanno dagli Everly Brothers (Gone Gone Gone) a Benny Spellman (Fortune Teller), da Ray Charles (Leave My Woman Alone) ai Calexico (Quattro), recuperando un brano tratto dal progetto Page and Plant (Please Read the Letter).

Krauss e Plant. Foto: Enzo Mazzeo

Nelle rare interazioni col pubblico, Plant spiega come col tempo si sia sempre più allontanato dal blues di Chicago, che ha forgiato la sua identità musicale, avvicinandosi invece a quegli artisti che prediligono le armonie vocali. «Vi ricordate di questo fantastico duo?», chiede a proposito degli Everly Brothers. E lì accanto, Alison Krauss fa il suo senza mai rivolgersi al pubblico. Ci pensa lui ad elogiarla appena può: «Una volta cantavo sempre dal solo, poi ho trovato Alison». Se non fosse per la lunga criniera bionda, sfoltita e imbiancata dall’età, non penseremmo mai che quello è il sex symbol dal petto villoso che ha ispirato intere generazioni di rock star.

Sul finale, quando la band esce di scena e ci ritorna per il classico encore, Plant ci illude ancora una volta: «Are you ready to rock?», urla dal palco. E noi, che pensiamo subito al riff di Whole Lotta Love, torniamo subito alla realtà quando parte invece lo shuffle blueseggiante di Can’t Let Go di Lucinda Williams. Non c’è più religione.

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