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Ridere e piangere a un concerto delle Boygenius

Cronaca dello show di Phoebe Bridgers, Lucy Dacus e Julien Baker al Madison Square Garden di New York, fra canzoni spietatamente emozionanti e momenti di gioia sfrenata

Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US

A un certo punto verso la fine del concerto delle Boygenius dell’altro giorno, Phoebe Bridgers ha chiesto al pubblico del Madison Square Garden di mettere via i telefoni per la canzone che avrebbe suonato. Strano ma vero, l’hanno fatto quasi tutti. «Ho scritto questo pezzo perché sapevo che avremmo messo insieme la band», ha detto Bridgers, riferendosi per l’ennesima volta all’amicizia che sta alla base del trio con Lucy Dacus e Julien Baker. «Nel caso vi immedesimate nel testo, beh, mi spiace molto».

A quel punto ha attaccato Letter to an Old Poet, cantando a voce bassa e delicata “penso che tu sia speciale”. Il pubblico è rimasto in religioso silenzio fino a quando le tre non sono arrivate alla terza strofa: “Non sei speciale, sei malvagia”. A quel punto hanno tutti esultato di fronte a una verità emotivamente devastante.

È stato questo il momento clou di una serata incredibile. O forse è stato alla fine dei bis, mentre Baker faceva un assolo di chitarra serissimo ed epico su Salt in the Wound e Bridgers è andata a bordo palco e ha fatto crowdsurfing. Presa dall’eccitazione, Dacus s’è tolta la giacca strappando la camicia. Tornata sul palco, Bridgers ha fatto lo stesso, per poi rotolarsi a terra con l’amica in un momento di gioia sfrenata.

Vedere le Boygenius al Garden il 2 ottobre è stata un’emozione speciale per chiunque abbia seguito queste tre cantautrici indie che sono riuscite a ritagliarsi un posto fra le divinità del rock contemporaneo. È stata la serata di chi sentiva Bite the Hand già nel 2018 e ne ha cantato il ritornello struggente insieme ad altre 20 mila persone. Il progetto del trio inaugurato cinque anni fa per aprire un tour da co-headliner si è trasformato in una band a tutti gli effetti e ha ora raggiunto la sua piena maturità. Mentre i fan urlanti, fasciati nelle tutine da scheletro, con le magliette sbiadite e abbinamenti fai-da-te di gonne e cravatte uscivano dall’arena a fine serata, era impossibile non pensare che le Boygenius sono destinate a diventare ancora più grandi e più forti.

Phoebe Bridgers. Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US

Euforia e spensieratezza si sono manifestate al Garden non appena le Muna hanno attaccato il set di apertura. Alle 20 la sala era piena e, dopo un paio di canzoni, erano tutti in piedi a urlare. «Spero che stasera troverete tutto quello che state cercando e anche di più», ha detto Katie Gavin. Se l’energia del pubblico ha toccato il livello 10 dopo I Know a Place, è arrivato all’11 quando Bridgers è uscita sul palco in veste di ospite per Silk Chiffon (il numero di decibel raggiunti alla sua apparizione sul palco serva da monito a tutti gli anzianotti presenti fra il pubblico composto in gran parte da Gen Z: portatevi dei tappi per le orecchie se mai avrete dei biglietti per andare a sentire le voci di una generazione).

Il set delle Boygenius è partito, come The Record, con le armonie a cappella di Without You Without Them che Baker, Bridgers e Dacus hanno cominciato a cantare dal backstage. Le voci intrecciate e la storia d’amore e di legami che raccontano si rifanno a una tradizione folk radicata in decenni di storia. È anche per questo che le tre piacciono così tanto. Ma c’è dell’altro, come si è capito dagli accordi elettrici e dalle urla punk di $20 e Satanist, ovvero i pezzi che hanno suonato subito dopo. Il verso “Vuoi essere anarchica con me? / Dormire in macchina e uccidere la borghesia?” di Bridgers ha suscitato una reazione particolarmente entusiasta.

Tutte e tre hanno sfruttato ogni singolo metro quadro del palco, soprattutto Baker, che s’è dimenata alla chitarra solista con un’energia alla Angus Young. «Eccole!», ha sussurrato una fan a un’amica. E qualche canzone dopo: «Sono perfette».

Julien Baker. Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US

Ognuna delle Boygenius è un’autrice solida e personale, con una sua fanbase, ed è uno dei motivi per cui vederle tutte assieme è un evento (nella formazione live della band alle tastiere, alla chitarra e ai fiati c’è Melina Duterte, che con lo pseudonimo di Jay Som ha inciso alcuni dei migliori dischi indie degli anni 2010; membri della Boygenius Nation, ascoltate Turn Into o Anak Ko se non l’avete ancora fatto). Ma anche al centro dell’attenzione in un’arena sold out, le tre si adorano a vicenda, sono fan l’una dell’altra.

Bridgers ha alzato il pugno in aria, orgogliosa, mentre Dacus cantava i versi iniziali di True Blue, tributo commovente e accorato a una grande amicizia con una persona che finge di essere stronza. Più tardi, prima di far esplodere il Garden con Anti-Curse, Baker ha raccontato di come Bridgers e Dacus l’hanno aiutata a superare la sua paura di cantare, qualche anno fa. «Queste ragazze mi hanno restituito la mia voce, molte volte e in molti modi».

Lucy Dacus. Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US

È stata una serata piena di risate e lacrime, soprattutto di felicità. Bridgers ha ringraziato la security per aver distribuito dei fazzoletti dopo Cool About It (i cui versi rappresentano al meglio gli stili di scrittura unici delle tre) e Souvenir, che è semplicemente spietata. Ognuna di loro ha cantato una canzone tratta dal suo album solista più recente: Graceland Too per Bridgers, Please Stay per Dacus e Favor per Baker. Sono stati alcuni tra i momenti più alti del concerto e, se il tempo non fosse stato tiranno, sarebbe stato bello sentirle aggiungere le loro armonie vocali a qualche altro pezzone dei rispettivi repertori solisti.

Dopo aver chiuso con Not Strong Enough, un inno che sembra fatto apposta per essere suonato come ultima canzone di un set al Garden, Dacus, Bridgers e Baker sono riapparse su un palco più piccolo, dalla parte opposta, per eseguire le quattro canzoni di The Rest, l’EP che pubblicheranno il 13 ottobre. Uno dei brani nuovi, cantato da Dacus, contiene il verso springsteeniano “Non voglio vivere per sempre, ma non voglio morire stanotte”. Sono pezzi destinati a piacere molto a chi già ama le 18 canzoni che le Boygenius hanno pubblicato finora.

«Chi c’era a vederci al Brooklyn Steel nel 2018?», ha chiesto Dacus al pubblico nel bis finale, con la band di nuovo sul palco principale. Molti hanno risposto applaudendo, probabilmente anche qualcuna in più delle 1800 persone che ci stanno in quel club. Col microfono rivolto al pubblico per intonare l’ultimo ritornello di Ketchum, ID, migliaia di voci si sono unite in un sentire comune. E quando le luci si sono riaccese, le Boygenius hanno continuato a spaccare.

Ha collaborato Jonathan Bernstein.

Da Rolling Stone US.

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