«Tutti parlano di libertà di espressione, ma alla fine sembra che nessuno dica nulla, muovono solo la bocca» spiega l’inconfondibile voce di Fabri Fibra, avvolto dall’ombra su una base western alla Sergio Leone. «Nel rap non puoi muovere solo la bocca, si chiama playback. E io non credo che in periferia se fai il rap lo fai in playback. Forse in TV, ma qui non siamo in TV, qui siamo a Corviale e qualunque sia la tua paura sali sul palco e raccontala al microfono».
Questo è Red Bull 64 Bars Live 2025. O meglio, questa è l’incipit che il buon Fabrizio Tarducci scaglia nell’intro-monologo dell’evento rap arrivato alla quarta edizione. È un sabato di un’ottobrata romana ribollente di fermento sociale e spirito subculturale, dove palazzoni periferici del quartiere Corviale sembrano brillare di una luce nuova in cui il marchio Trefoil di adidas, quale main sponsor, ribadisce il legame profondo con la cultura rap contemporanea e con la rivalutazione dei nuclei urbani decentrati riuniti da un viscerale senso di community e collettività.I valori condivisi dal brand emergono evidenti non solo nella sua estetica, ma anche nelle testimonianze di numerosi artisti durante le prime chiacchiere tra un mic check e un sorso di Red Bull ghiacciata fuori dai camerini: da un peso massimo del rap capitolino e nazionale come Noyz Narcos – che non a caso esibisce una t-shirt raffigurante Muhammad Alì ai tempi d’oro sul ring – che ricorda l’illuminante visione di una scarpa Superstar adocchiata per la prima volta su un graffito di un treno a New York,; passando per la citazione stilistica nell’allacciatura delle scarpe alla Run DMC d Sick Luke, che si non si risparmia nel manifestare il suo attaccamento al brand sin dai primi passi nel quartiere periferico di Centocelle fino ai palchi più importanti della scena. Fibra ci fa commuovere evocando il primo acquisto di un paio di L.A. Trainers color panna a three stripes rosse, in un negozio sportivo di Senigallia. Le indosserà fino alla prima foto per il lancio copertina del suo disco a Milano: «Devo dire grazie a quelle scarpe così vissute perché da quello scatto adidas mi ha chiamato per collaborare insieme». Siamo oltre al concetto di moda. Trattasi di attitudine, appartenenza.
I live iniziano sotto un cielo purpureo che la città di Roma porta in dono al monumentale stage dell’evento, dove l’intreccio di forme serpeggianti proiettate sui maxi-schermi riprende la morfologia dei complessi abitativi del Corviale. Il pre-show omaggia la Capitale schierando voci del panorama indigeno: dal gergo ruvido e intimista di MezzoSangue; a Gemello che intreccia nostalgici versi dei suoi pezzi cardine con richiami al TruceKlan e a In The Panchine.
Foto: press
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La serata è divisa in tre atti: Per il rap, Per la gente, Per Corviale. Le luci si spengono e Sick Luke batte colpi di martello, forgiando una cintura da campione del Red 64 Bars. La alza in aria verso il pubblico come un vincitore al termine di uno match. «Nella scena italiana si è sempre dato più peso al rapper che ai producer. Io sono fiero di averci messo la faccia, dando magari uno spunto per chi si avvicina con serietà a questa professione», ci aveva confidato poche ore prima dello show. «Ammiravo il lavoro di Ice One, di Don Joe; ritengo che il nostro ruolo sia fondamentale per creare un collante fluido tra i raèèer e fornire un’ossatura indispensabile che non deve mai essere data per scontata. Orgoglioso delle figure emergenti che rivendicano l’importanza del producer, anche alimentando un ego sano».
E proprio su questo solco di intenti, irrompe il colosso Fabri Fibra con la sua già citata intro e le Superstar piantate con cadenza imperiosa sul palco mentre intona l’estratto scritto per RedBull. «Ci sono dei momenti che segnano un genere. Il 64 Bars è uno di questi, un format che non si piega mai a compiacere. Nei ‘90 per cercare di portare il rap al grande pubblico si cercava una formula per accostarlo al mainstream in chiave italiana. Quando è arrivato il 64 Bars mi son subito detto che ci stava traghettando lungo un’altra epoca, di pari passo al boom dello streaming per le nuove generazioni. La prima volta che partecipai era nel 2022. Eravamo davvero entrati in un momento storico in cui quel che facevamo era finalmente accettato e ti sentivi meno colpevole a fare il rap italiano». La maturità espressiva di Fibra risuona traccia dopo traccia. Dal Fenomeno che sbeffeggia con arguzia la schiavitù dell’immagine da poser alla rabbia dialettica e sociale di Tutti Pazzi e Sbang pescati dall’ultimo album Mentre Los Angeles Brucia. In chiusura c’è tempo per Dalla A alla Z, per le Turbe Giovanili di qualsiasi generazione. Immenso.
È poi il turno di Ele A che ci inietta le sue 64 barre con un sound fortemente identitario e ipnotico, tra melodie serafiche e stilettate di drum & bass che spronano saltelli disarticolati. «Il live è sempre la prova definitiva a prescindere dal valore dell’album», racconta l’artista dai natali svizzeri mentre introduce l’imminente uscita del suo disco Pixel: «Sento un bisogno incessante di descrivere contenuti che attingano creatività anche da altre forme d’arte oltre che dalla musica. Avere nuove ispirazioni di continuo. È un tratto indispensabile per descrivere un mondo in cui i rapporti umani si indeboliscono e la società ne esce più fragile. Per tutte le persone che si sono sentite sole, spero che con la mia musica possano avvertire l’abbraccio caldo che cerco di esprimere. La ritengo la roba più potente e che infrange ogni forma di solitudine».Dall’influsso cosmopolita, introspettivo e magnetico di Ele A, si irradia prima l’accento francofilo dello street-rap acuminato di LaCrim – con tanto di tributo in asse Italo-Oltralpe a Baby Gang -, poi la voce cruda e scapestrata di un grintoso Uzi Luke che arriva quasi a consumarsi le corde vocali nell’atto di dare tutto se stesso alla gente del Corviale. Una capra in led rossi fluorescenti approda on stage quale preludio per lo scapicollato Tony Boy. Irruente, adrenalinico e sfacciato nella sua tuta Originals a vita bassa improvvisa uno stage diving tra la folla, autentico e sovraccarico di energia in ogni fase della sua graffiante esibizione.
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Lazza infiamma le impronte di carburante lasciate da Tony sul palco, atterrando sotto l’effige di un dragone di stampo orientale ricamato su stendardi che sventolano al suo ingresso. Poliedrico, sfodera brani in cui le sue rime affettano barre con la maestria di un Ronin munito di katana, per poi concedersi digressioni che straripano dal genere rap. A seguire non poteva mancare l’esibizione locals only di Side Baby, Ketama e Franco 126 che innaffiano la platea con spericolata ebbrezza trasteverina in puro stile Lovegang, riproponendo anche il brano a tre voci di Stay Away prodotto da Night Skinny. I più affezionati lasciano scivolare qualche lacrimuccia emotiva “sul bomber lucido” (cit. Franchino).
Ultimo special guest, quale guerrigliero e sensei pionieristico dell’hip-hop capitolino, Danno dal Colle Der Fomento sale sul ring mobilitando tutti i massicci riuniti al Corviale. Insuperabile esempio di esperienza, abilità lessicale e cultura, ripercorre alcuni suoi must, dall’alba della scena (mozzafiato la sua Cielo su Roma a cappella) fino a un nuovo singolo sganciato in anteprima e pronto a denotare come un ordigno di strofe e coerenza stilistica, in combo alle acrobazie in break-dance della crew di ballerini in tute Originals di foggia. Un flow tanto old school quanto contemporaneo che non indugia nello schierarsi come un manifesto di valori nella panoramica globale corrente.
«Il rap è un universo di sottogalassie in cui ogni MC o ascoltatore può trovare ciò che cerca», sottolinea Danno in conferenza stampa. «L’importante è non scordare il peso delle parole in un mondo che le piega e strumentalizza di continuo, perché la forza e il significato delle parole sono la linfa per credere in qualcosa e formulare la propria identità alzando la testa dinnanzi alla paura». Un artista olimpionico, che condensa nel proprio repertorio riferimenti sempre calzanti a film d’essai, letteratura e pilastri musicali senza restrizioni: dagli amati Beastie Boys al cantautorato impegnato di De André, Dalla o Rino Gaetano.
Il suo trattato di romanità in abiti rap, passa così a un altro re capitolino, reclamato dal pubblico trepidante: Noyz Narcos schiera i 64 colpi della “soundtrack” ufficiale del Red Bull 64 Bars e l’intero complesso sobbalza. Puntuale e simbolico il passaggio da Danno a Noyz – che ritorneranno insieme in un feat. conclusivo. «Quando ho iniziato il rap è stata una necessità. L’importanza massima era il contenuto e in questo devo molto a Danno per avermi avvicinato all’essenza di questo genere. Questa musica non ha bisogno di piegarsi necessariamente al pop, ai ritornelli vendibili o alle vocette che ti attraversano le orecchie per poi sparire. Servono giovani che si creino un’identità definita, uno stile che riesce a farsi sentire forte e chiaro dalla prima barra e che rimane impresso nel tempo».
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Il suo amore per la Capitale trasuda dal suo outfit a tre strati (in ordine track jacket; maglia gialla, e maglia nera della divisa adidas dell’AS Roma), ma anche in ogni pezzo portato in scaletta: transitando fulmineo e possente da Zoo de Roma al ritornello accorato di Sinnò me moro con la base struggente di Gabriella Ferri cantata in coro da tutto lo stadio. Pietre miliari del suo palmares e successi recenti come Respira che ci proietta alla collaborazione memorabile con Salmo e Marracash nel disco Cult.
Si allontana dal palco per poco, perché tornerà protagonista nella batteria conclusiva di duetti conclusivi che prende il largo con il remake magistrale di Luna Piena di Fabri Fibra feat. Ele A: «È stato come chiudere un cerchio» ci ha spiegato Fabri dietro le quinte. «Questo era un beat originale di Neffa ed è proprio lui ad avermi presentato Eleonora quando mi ha chiesto un parere su uno dei suo primi pezzi che stava provando per Canerandagio. È un’artista molto forte, porta una voce nuova. Spero che avvicini sempre più persone con la sua musica».
Dopo il tandem esplosivo di Lazza & Tony Boy; Noyz riprende possesso del palco insieme a Danno, esibendosi per la prima volta (dopo un assaggio lontano al Leoncavallo di Milano) in Karasho, estrapolata dalle memorie granitiche del disco Verano Zombie. Eccoli i due Re di Roma mentre (ri)fanno la storia del rap dominando la scena per poi dissolversi a bordo stage come due anti-eroi senza macchia e paura. Si scambiano un grazie reciproco pregno di rispetto che consacra in una parola il senso di questa edizione del RedBull 64 Bars. Per i rap-addicted, il 64 Bars di Corviale ha fornito una passerella inestimabile tra il passato, presente e futuro di questa musica.
