Per entrare al Primavera Sound quest’anno bisogna superare due totem. Il primo sono delle action figure giganti delle Superchicche, il celebre cartone animato con le tre ragazzine colorate coi superpoteri. Qui rappresentano le headliner Charli XCX, Sabrina Carpenter, Chappell Roan. Poco dopo c’è uno striscione con su scritto “Steve Albini First”, in memoria del celebre musicista e produttore, la cui storia è legata in modo particolare al festival visto che il suo gruppo, gli Shellac, ne era praticamente resident band. L’anno scorso, appena dopo la scomparsa, gli era stato dedicato un palco. Quest’anno il palco è tornato a un brand e Albini è stato omaggiato così.
Forse non c’è modo migliore, in effetti, di sintetizzare l’inizio di questo Primavera e la vibe che troveremo in questi tre giorni di show. Da un lato il festival ha ceduto definitivamente tutti gli spot da headliner al pop, sia quello più ambiguo di Charli che a quello che mangiaclassifiche di Sabrina Carpenter. Dall’altro il rock prova a resistere occupando gli altri stage a gomiti alti. Con il pop sono arrivati i ragazzini e le ragazzine, anche molto minorenni, alla loro prima esperienza di festival (sperando sia di buon auspicio per esplorarne altri), con il rock sono rimasti quelli che bonariamente chiamerò boomer (qui la categoria è rocker maschio con pochi o zero capelli e la maglietta di qualche band già arrivata alla seconda reunion), ma che oggi, rispetto alla storia del festival, hanno un compito delicatissimo: difendere l’eredità controculturale di Steve Albini.
La partita, numericamente, è impari. I biglietti non si sono volatilizzati per Stereolab, Spiritualized, Jesus Lizard, ma naturalmente per le tre supereroine. A far tutti i felici ci han provato, tra mosh-pit e stage diving, gli Idles, e ci proveranno poi i Fontaines D.C., ma il solco tra le due fazioni sembra oramai insanabile. Ieri la marea verde acida del pubblico molto fluido della Brat Summer sembrava quasi ricordare, per coesione, le invasioni dei tifosi durante i mondiali. E anche il tifo non era da meno. Difficile immaginare una contro-risposta fortemente estetica dal fronte della maglietta nera commemorativa di un tour. D’altro canto è facile immaginare un padre che porti un figlio o una figlia al Primavera dividendosi così: «Vado a piangere Albini, tu vai a onorare la mother Charli, ci vediamo all’entrata più tardi».
Il Primavera Sound 2025 parte proprio da dove era finito, con Charli XCX. Un anno fa qui era stata presentata la prima data di Brat (che sarebbe uscito solo la settimana dopo). E, diciamolo, il Primavera l’aveva sbagliata alla grandissima rilegando la popstar dell’Essex a un palco di media grandezza mentre già attorno iniziava a innalzarsi la marea verde. Il festival così ha, con un po’ di furbizia, richiamato la popstar, messa sul main stage all’1 del mattino con la scusa di presentare una data di Sweat, il tour congiunto con Troye Sivan, anche lui di ritorno dopo la performance dello scorso anno.
Questa due ore di gay-friendly-power-pop divertono e entusiasmano il pubblico; l’unico peccato è che il tour è praticamente quello visto lo scorso anno sui due differenti palchi, se non giusto per un paio di momenti congiunti. L’effetto è che entrambi, idolatrati come nessun altro, perdono un po’ della potenza solita di un set proprio, trovando difficoltà a costruire il giusto climax di emotività e energia. I continui scambi di palco (Troye fa tre pezzi, poi è il turno di Charli, poi di nuovo Troye, di nuovo Charli) danno quasi la sensazione di un coito interrotto (la similitudine sessuale viene automatica dopo il live pornografico inscenato da Sivan) tra due adolescenti quando il famigerato padre di cui sopra torna a casa dopo lo splendido concerto degli Spiritualized, un’elevazione ultraterrena che libera dai desideri carnali entrando nella sfera, ça va sans dire, spirituale.

FKA Twigs. Foto: Clara Orozco
FKA Twigs ci spiega come si fanno i live da popstar ma, come Charli, ci ricorda anche che cantare non è più così necessario, lasciando scorrere spesso le tracce in formato album mentre la vediamo ballare, esibirsi in una lap dance, recitare, fare dimostrazioni sull’utilizzo della katana in stile Kill Bill. Tutto stupendo, una meraviglia dal punto di vista visivo, ma poi ci vuole la semplicità del piano e voce sul palco vuoto di Cellophane per toccarci davvero e tirar fuori una lacrima (lo farà anche lei, grande attrice o no non importa). I Nourished by Time ci fanno presente che si può anche cantare tutti stonatini e suonare comunque cool e fighi, mentre gli Snow Strippers sono un reminder che nell’era del post-tutto presenziare è già considerato sufficiente.
Ma in tutto questo dove mettiamo l’elettronica? Se a Jamie XX (ti vogliamo bene, ci fai bailar ma che paraculo sei diventato?) preferiamo di gran lunga i Brutalism 3000 (finalmente un po’ di musica per gabber), la notte è tutta un susseguirsi di dj e producer. Ma forse anche qui, come nei club ultimamente, il genere mostra un momento di iper-saturazione. La sensazione è che tutto suoni un po’ già ascoltato, già sentito, poco emozionale. C’è bisogno di una scossa.
Finito il day 1, quel che resta è una domanda: chi vincerà tra le Superchicche del pop e la resistenza unita del rock in nome di Steve Albini? O ci si troverà a metà strada in un grande compromesso storico per il futuro del festival?