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MYSS KETA e Milano, Milano fa festa

La maschera della cantante diventa il ritratto della sua città: da Mahmood fino alle ragazze di Porta Venezia

Foto di Kimberley Ross

La città che prende e che non dà, Milano funziona troppo, Milano dal sindaco testimonial arcobaleno all’occorrenza, città-stato europeista eppure così inevitabilmente provinciale. Ritratto spietato, ma estremamente preciso – Contro Milano – pubblicato da un giornale elettivo del milanese che non si arrenderà mai – ché la domenica è Bloody Mary al Deus. Una città intraducibile, nemmeno quando ci sei dentro fino al midollo, necessariamente estranea anche agli indigeni. Figlia del tempo che detta ma che non sa fermare, e da Gaber o le luci a San Siro, la penna avverte: «Non scherzare con la main bitch». MYSS KETA entra in scena, moderna Madunina in tulle.

Il male oscuro milanese, scrivevano, “la übris”, immortale escamotage occidentale da mille e una notte. Übris, peccato originale, che la MYSS rammenta subito nella prima canzone che apre l’ultimo live del tour Paprika XXX. «Buonasera Milano, non vi dico quanto siete belli perché altrimenti vi montate le testa». Eschilo, Euripide, MYSS KETA. La tragedia greca dove il palco dell’Alcatraz diventa la via in cui espiare tutto, senza buon senso. #Beppesala o il fuorisede che nasconde l’accento dopo la prima volta al Plastic.

Foto di Kimberley Ross

Una corona di pizzo a forma di cuore domina la folla, la ragazza «casa e keta» ha preso la platea. Sono passati anni da quando un video iniziò a rimbalzare dal Naviglio al Picchio, ma quasi nessuno ci avrebbe scommesso un’unghia. Oggi, mentre è impossibile farsi spazio tra il pubblico, tra Burqa di Gucci, Xananas, B.O.N.O., si respira il trionfo. Ma con lo ‘sticazzismo’ giusto per essere credibile. Visual ovviamente cheap, i cambi d’abito della diva, i dissing a Rosalía – «mi spia in streaming per rubarmi le mosse» –, e spazi techno, drum & bass, electro, finché un tizio nel parterre, rapito dall’estasi, si getta nel paragone con i Depeche Mode (è successo davvero), mentre Quentin 40 accompagna la protagonista in 100 rose per te.

I ketamini, nel frattempo, scattano uno tsunami di selfie con chiunque e il concerto torna uno spazio di evasione, “Sento il cuore fa Tunz tunz tunz para para tunz tunz tunz”. Sia benedetta la voce sul palco e la leggerezza che nasconde dietro la mascherina, ne avevamo tutti bisogno. Inizia Le faremo sapere, dove la ‘e’ diventa l’accento giusto sulla notifica di Grinder, sample con cui i dj scandiscono la serata.

Foto di Kimberley Ross

La scaletta avanza e la definizione si sfalda. Invasati che sembrano rubati da Pose, la futura sposa della porta accanto, la queen che domani deve andare a lezione senza trucco; tutto il pubblico è nel carosello caleidoscopico che da In gabbia (non ci vado) – “non cerco l’amore, dov’è il mio spacciatore”, realismo implacabile – porta al Gabibbo in overdose di Golem, Fa paura perché è vero con Mahmood. Fino all’inno, Le ragazze di Porta Venezia, realizzato nella versione con Joan Thiele, Elodie, Priestess e Roshelle.

Momento amarcord, dove MYSS presenta le ragazze originarie – Miuccia Panda, la Cha Cha e la Iban – e poi subito Monica e Adoro, Pazzeska o Milano sushi e coca, dove l’estetica diventa il sipario fra il guilty pleasure e il simbolo, forse ancora inconsapevole di racchiudere una città dietro una mascherina inutile, perché inutile da svelare.

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