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Mai vista una Napoli così bella come quella di Liberato in Piazza del Plebiscito

'Nove maggio' a sorpresa feat. Calcutta incappucciato, citazioni colte, 'O core nun tene padrone' in una Santa Barbara di fuochi d’artificio. È la prima di tre sere consecutive, tutte sold out, ma è come se il suo plebiscito Napoli l’avesse già fatto da tempo. Se c’è un nuovo Re da incoronare, sicuramente va in giro vestito come uno spettro dell’Anello di Tolkien

Foto: Giuseppe Maffia

La sirena a manovella nell’outro di Nun ce penzà risuona nel porticato napoleonico di una Piazza Plebiscito imballata di gente felicemente sudata. Da brividi pensare come lo stesso identico suono, nel 1943, esattamente lì, avvertiva le persone dell’imminente arrivo di stormi di B-17 “Flying Fortress” americani carichi di bombe, presagendo morte e distruzione. Oggi invece, 80 anni esatti dopo, Napoli sta vivendo una delle annate più luminose da decenni. E Liberato ne è il simbolo.

Liberato in Piazza del Plebiscito. Foto: Giuseppe Maffia

A maggio, nel mini live allo Stadio Maradona per la festa del Napoli, aveva recitato al piano la formazione vincitrice del terzo scudetto, in una speciale versione di O core nun tene padrone. Cappuccio in testa, ski mask sopra gli occhi e una maglietta azzurra col numero 95 che qualche genio giornalistico aveva interpretato come un omaggio a Pierluigi Gollini. Ora, senza nulla togliere al secondo portiere in prestito dall’Atalanta, la numerologia dantesca di Liberato ci suggerisce un significato un filo diverso: nove, cinque. Nove maggio, come il singolo che ha dato il via alla sua carriera e che ieri sera a sorpresa decide di cantare insieme a Calcutta, anche lui incappucciato.

Tra l’altro, è la prima apparizione live del Calcuttone nazionale quest’anno, appena prima di un tour autunnale che è già tutto sold out ancora prima di cacciare fuori un solo pezzo dal nuovo album. Non è un caso che, sin dagli inizi, lui e Liberato si siano incrociati più di una volta nel percorso, tanto che a una certa più di una persona pensava che uno fosse l’altro (lol). Comunque, in qualche modo, questa rinascita del songwriting all’italiana la si deve in parte anche a loro. Bisogna riconoscerglielo.

Foto: Giuseppe Maffia

Liberato non solo attinge dal tempo, ridando vita a una tradizione che la globalizzazione trap stava portando via al neomelodico. Ma attinge anche dallo spazio, vestendo di citazioni estere i suoi pezzi. Su Cicerenella porta sul palco una decina di elementi di corpo di ballo vestiti con abiti tradizionali, ma tra una mossa e l’altra saltano fuori passi di vogueing mica da ridere. È questo che mi fa impazzire di Liberato: le citazioni colte. Au Seve di Julio Bashmore, piazzata lì tra un pezzo e l’altro, fa trasparire una cultura sopraffina da clubber londinese, la stessa che poi ti ritrovi in pezzi come Me staje appennenn’ amò. A una certa, poi, dopo un crescendo tutto strobo e lanciafiamme (ce ne sono dieci davanti al palco, sparano lingue di fuoco alte almeno due metri) parte un break jungle davanti a 20mila persone e non so quanti poliziotti: scene improbabili, ma onestamente bellissime. «Ma comm cazzo si bella Napoli» anche l’uomo misterioso al microfono è d’accordo.

Foto: Giuseppe Maffia

Sull’ultima O core nun tene padrone, dopo aver sudato per quasi due ore, si raggiunge il climax di intrattenimento, con una Santa Barbara di fuochi d’artificio che fa strabuzzare gli occhi anche ai napoletani, gente che non si impressiona facilmente per queste cose. È la prima di tre sere consecutive, tutte sold out, nella piazza principale della città, ma è come se il suo plebiscito Napoli l’avesse già fatto da tempo. Se c’è un nuovo Re da incoronare, sicuramente va in giro vestito come uno spettro dell’Anello di Tolkien.

Foto: Giuseppe Maffia

È vero: quest’anno si parla molto di Napoli, perché pare che vada molto di moda. Si vedono magliette azzurre ovunque, anche agli eventi più menosi delle varie week milanesi. La moda però un giorno passerà come tutte, ma a Napoli poco importerà. Nun ce penzà.

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