Magic in the Night: Bruce Springsteen al Madison Square Garden | Rolling Stone Italia
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Magic in the Night: Bruce Springsteen al Madison Square Garden

Meno improvvisazione e più narrazione, i fantasmi del passato, la E Street Band enhanced: è un rocker uguale e diverso quello che s’è visto a New York e che arriverà in Italia. La recensione del concerto

Magic in the Night: Bruce Springsteen al Madison Square Garden

Bruce Springsteen al Madison Square Garden, 2023

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US

«Una cosa speciale per New York», dice Bruce Springsteen dopo essere tornato sul palco del Madison Square Garden. È sabato sera e da un paio d’ore Springsteen canta di mortalità. Soozie Tyrell attacca una delle grandi melodie rock al violino e la E Street Band s’avventura nella mini opera rock Jungleland, un pezzo da 11 minuti risalente a 48 anni fa. E la fa con talmente tanta forza e drammaticità e perfezione da far sembrare falsi tutti quei pezzi sulla caducità delle cose. La morte? Parrebbe impossibile. Il declino? Non stasera.

Alla base del nuovo tour di Springsteen con la E Street Band c’è questo paradosso, la danza tra gli anni che passano e gli anni che non sembrano passare, tra l’attitudine del tipo prove-it-all-night e gli implacabili richiami al giorno che verrà, “quando le nostre estati giungeranno alla fine”, come canta Springsteen in I’ll See You in My Dreams, straziante chiusura dello show da solo in acustico.

La E Street Band non è più «la più grande bar band al mondo»

In tutti questi anni Springsteen ha promosso sul palco il valore della spontaneità e la possibilità di cambiare la scaletta all’ultimo minuto, accettando anche le richieste del pubblico esposte coi famosi cartelli, anche di pezzi che non suonava dai tempi in cui era presidente Ford. La band, però, ha un’altra faccia ed è quella di un’estrema rigidità fatta di prove su prove. Ed è quest’ultimo l’aspetto che emerge in questo tour con una scaletta che non cambia quasi mai, forse per consentire ai musicisti di concentrarsi sui dettagli delle canzoni invece di essere pronti a suonare uno dei 100 pezzi minori con un preavviso d’un millisecondo. Il punto è che c’è una linea narrativa che lega la maggior parte dei pezzi, così come l’idea palese di mostrare tutte le facce e le epoche della band. Se il titolo The Eras Tour non fosse stato preso da un’altra artista, avrebbe potuto usarlo Springsteen.

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US

Manca l’improvvisazione di un tempo

Al di là di Jungleland, c’è un solo momento nella scaletta in cui ci si può aspettare di sentire di tutto. Al Madison Square Garden si è ascoltata la cover forse un po’ abusata di Trapped di Jimmy Cliff (nella tappa precedente c’era Darkness on the Edge of Town, che era meglio). Nell’Eras Tour, Taylor Swift riserva uno spazio specifico alle canzoni a sorpresa, in modo da proporre ogni sera alcuni pezzi meno noti. Col repertorio che ha, e che conta Western Stars del 2019 che non ha presentato dal vivo, anche Springsteen potrebbe proporre qualche pezzo meno scontato, contando anche che ci sono canzoni come Johnny 99 che possono essere tranquillamente evitate.

La E Street Band è una macchina da guerra

La E Street Band è sempre stata una sorta di anacronismo creativo e la cosa è ancora più vera nel 2023. Sul palco ci sono vari settuagenari che spiegano al mondo come si fa musica. Springsteen non è l’unico fisicamente in gran forma. Steve Van Zandt è apparso rinvigorito e qua e là lo si è visto correre sul palco. Ma la performance più sfidante è quella che affronta Max Weinberg, un batterista da stadio di 71 anni in formissima. Se per via del suono dell’arena non sempre è stato facile sentire bene Garry Tallent, è sempre divertente vedere l’apporto di Nils Lofgren, dal fantasioso pezzo di chitarra ritmica su No Surrender alla versione potenziata di Rosalita.

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US

I fiatisti extra migliorano (quasi sempre) il sound

La sezione fiati funziona quando aggiunge qualcosa d’interessante, il che accade spesso, come negli stacchi alla New Orleans di Johnny 99, nelle canzoni di The Wild, The Innocent, and the E Street Shuffle e, naturalmente, in Tenth Avenue Freeze-Out. È superflua quando i musicisti sono costretti a bissare, quasi coprendoli, i riff di Dancing in the Dark e Glory Days.

Jack Clemons è un miracolo

Se le canzoni di questo tour sono piene di fantasmi, Jake Clemons ne invoca uno solo. Il suono del suo sax tenore è sempre stato simile in modo inquietante a quello dello zio Clarence Clemons. Ma al Garden, dopo più di un decennio trascorso nella band, Jake è parso particolarmente simile al predecessore, anche se, avendo 43 anni, ci mette un tocco di energia giovanile in più. Charlie Giordano è sembrato invece meno legato alle parti di organo di Danny Federici. Ma del resto lo stesso Federici era raramente legato alle parti che lui stesso aveva inciso in studio.

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US

La gente non sa più come comportarsi ai concerti

Dopo la fine della pandemia, tanti si sono lamentati del fatto che la generazione Z, educata da TikTok, ha iniziato ad assistere ai concerti senza avere la minima idea di come comportarsi, arrivando a picchi di maleducazione senza precedenti anche nei confronti dei musicisti. Il problema non è generazionale, ma universale. Basti pensare al tizio a fianco del palco che continuava a scrivere sul telefono senza degnare d’uno sguardo la band durante la prima esecuzione di Jungleland nel tour o al gruppo di impiegati di mezza età impegnati in un’accesa conversazione urlata sui voti dei figli durante una versione soft di Last Man Standing che Springsteen ha dedicato al compagno di band dei Castiles George Theiss. Le persone più coinvolte stavano in fondo e forse c’entrano i prezzi dei biglietti.

Springsteen invece sa come si fa

Chiude gli occhi mentre canta Badlands per la milleduecentoventinovesima volta (così dice Brucebase) e trae energia dal pubblico. Riserva qualche sorpresa nell’assolo su Kitty’s Back allontanandosi non poco dal suo consueto vocabolario armonico per adattarsi alle scelte più avventurose dei fiati. E ancora, non si capisce come, riesce a cantare in modo più potente verso la fine che all’inizio del concerto.

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US

Poche storie: è “sways”

Conscio del dibattito sul fatto che il verso di Thunder Road sia “Mary’s dress sways” o “Mary’s dress waves”, Springsteen canta “sways” in modo esageratamente marcato e con un sorriso grande così.

La fine del concerto richiama l’inizio

Si capisce quant’è curata la scaletta dal fatto che l’ultima canzone I’ll See You in My Dreams potrebbe benissimo raccontare la fine dell’amicizia cantata in No Surrender, che apre il concerto. La chitarra e i dischi da tre minuti che insegnano più cose della scuola sono ora i ricordi di un amico scomparso in Dreams: “Ho la tua chitarra qui vicino al letto”, canta Springsteen, “tutti i tuoi dischi preferiti e tutti i libri che hai letto”.

Set List
“No Surrender”
“Ghosts”
“Prove It All Night”
“Letter to You”
“The Promised Land”
“Out in the Street”
“Candy’s Room”
“Kitty’s Back”
“Nightshift”
“Trapped”
“The E Street Shuffle”
“Johnny 99”
“Last Man Standing”
“Backstreets”
“Because the Night”
“She’s the One”
“Wrecking Ball”
“The Rising”
“Badlands”
“Jungleland”
“Thunder Road”
“Born to Run”
“Rosalita (Come Out Tonight)”
“Glory Days”
“Dancing in the Dark”
“Tenth Avenue Freeze-Out”
“I’ll See You in My Dreams”

Da Rolling Stone US.

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