Macché Primavera Sound, è il Sónar il luogo dell’alternativa e della creatività | Rolling Stone Italia
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Macché Primavera Sound, è il Sónar il luogo dell’alternativa e della creatività

L’altro grande festival di Barcellona, votato all'elettronica, è tornato a comunicare un forte senso di appartenenza. È il posto dove vai per farti sorprendere: «Io questi non li ho mai sentiti, ma sai che…»

Macché Primavera Sound, è il Sónar il luogo dell’alternativa e della creatività

Arca a Sónar 2022

Foto: Orozoco Clara

Ricordate quando dicevano che l’elettronica era la musica del futuro, la musica delle nuove generazioni, delle nuove forme di fruizione? Quella che avrebbe preso il mercato soppiantando quasi tutto il rock che c’era prima, che sarebbe rimasto il feticcio solo di una retroguardia di zoccolo duro? Bene: sotto molti punti di vista, signore e signori, tutto questo non è successo. E aggiungiamo: per fortuna. Ma attenzione, occhio al paradosso – lo aggiungiamo dicendolo prima di tutto da appassionati di elettronica. Questo è il bello, questo è il paradosso. La cartina di tornasole di tutte queste dinamiche? Inevitabilmente, Barcellona alle porte d’estate: la città catalana nell’arco di poche settimane (tra fine maggio e metà giugno) ospita infatti il più significativo festival mondiale dedicato alla musica indie rock in senso lato, il Primavera, ed il più significativo festival mondiale dedicato alla musica elettronica e alle musiche “nuove”, il Sónar. Entrambi nati come bagatella per pochi appassionati, sono esplosi fino a diventare dei Moloch. E quindi sono il campo da battaglia per eccellenza, nel sancire dove va – o potrebbe andare – la musica oggi. E domani.

All’inizio il proscenio se l’è preso soprattutto il Sónar. A metà anni ’90 l’elettronica era ancora una faccenda nuova, rivoluzionaria, e lo era ancora di più col twist dato dal festival all’intera faccenda: arty, ironico, contaminato, non solo insomma grandi adunate danzerecce ma un discorso più complesso ed elaborato. Eppure, nonostante questa voglia di complicarsi la vita, anno dopo anno con l’avvento del nuovo millennio il Sónar è letteralmente esploso, diventando da raduno di un manipolo di fissati a “il” festival, capace di radunare sia gli intellettualissimi pensosi che i casinari caciaroni sotto lo stesso tetto (sopra lo stesso dancefloor), più tutto quello che ci sta in mezzo – ed è tanto. Il Sónar era il futuro che si faceva presente, era la rivoluzione che schiantava via tutto il vecchiume rock, era la fine dello star system vecchio stile, era una rivoluzione generazionale. Era, era, era.

Poi è arrivato il Primavera. Che con l’idea di rappresentare una riserva indiana per gli appassionati di indie ed alternative – mentre lì fuori tutti parlavano della rivoluzione dance, dei nuovi suoni, di come il rock fosse destinato a morire – ha colto proprio nel segno e, quando nel 2005 è uscito dai relativamente angusti limiti della location al Poble Espanyol per conquistare gli sconfinati spazi modernisti del Parc Del Forum, ha tolto gli ancoraggi e si è abbandonato a una crescita esponenziale. Ma davvero: esponenziale. Crescita che è stata anche quella del Sónar, sia chiaro: che nel frattempo estendeva la propaggine notturna del festival, portandosi nei mega-hangar della nuova fiera cittadina, quella fuori città, facendo così esplodere in alto i numeri, un aumento numerico che alla lunga si è rifratto anche sulla parte diurna, uscita a un certo punto per cause di forza maggiore dal cuore del centro storico cittadino (negli spazi del MACBA, il Museo d’Arte Contemporanea, il perno del tentativo di riqualificare il malfamato Raval) per arrivare agli spazi ben più ampi della fiera meno periferica, quella di Plaza Espanya, più piccola rispetto alla sede dei gozzovigli notturni fuori città ma comunque piuttosto vasta. Insomma: crescita esplosiva per entrambi.

Per un po’ Sónar e Primavera si sono fronteggiati nei numeri e nella corsa al rialzo, un derby ferocissimo fatto di una rivalità mai dichiarata pubblicamente ma molto vissuta dai team dei due festival. E poi, ad un certo punto, il Primavera ha vinto. Investendo senza freni, ha vinto. Ha iniziato a chiamare un numero sempre più gigantesco di artisti, e un calibro di headliner sempre più pop, più costosi e più mainstream (tanto il mondo indie scopriva quanto era ironicamente bello e interessante il mainstream, e si faceva andare bene e con entusiasmo pure J Balvin); e a un certo punto, per stravincere, si è messo pure allegramente a invadere il campo, chiamando dj ed act elettronici che un tempo avresti visto solo ed esclusivamente al Sónar, mentre di là infuriavano Shellac e Pavement. Ora, figuriamoci: il Primavera continua ad avere Shellac e Pavement (e meno male), ma oltre a questo ha semplicemente tutto. Non solo in line up, anche nel pubblico.

E qui sta il punto. Il nuovo pubblico non va più al Sónar. Il nuovo pubblico ventenne dagli ascolti fluidi, che non vuole più barriere di genere, che mette in playlist qualsiasi roba, che usa la musica come flusso continuo in streaming, che ascolta tantissime cose per far vedere che ne sa (ma ne approfondisce un numero limitato, perché costa tempo e fatica e farlo fa pure un po’ boomer), che immortala ogni attimo prezioso della propria vita su Instagram e forse addirittura su TikTok, oggi va al Primavera. Si trova meglio. Il presente, lo trova lì. Poi, se di suo è più festaiolo, se per un paio di sere vuole quasi solo ballare e non pensare ad altro, magari va al Sónar notturno; però se è anche appassionato di musica, ha paura di trovarci solo gli unni della techno, quelli che pensano solo allo sballo (e in effetti ne trova, non ci sono solo loro, ma ne trova). Quindi lascia perdere.

LSDXOXO a Sónar 2022. Foto: Fernando Schlaepfer

Se tutto questo vi pare un de profundis per il Sónar, in realtà no. In realtà, è l’esatto contrario. In questo 2022, dal grande buco pandemico lungo due anni il Primavera è venuto fuori battendo ogni record numerico, e con una line up semplicemente stratosferica per vastità; il Sónar invece ha messo in campo una line up più modesta, con pochissimi nomi grandi o giganteschi, piena anche di act locali (costano meno, foss’anche solo nei trasporti…), con una quantità esorbitante di nomi che ti fanno chiedere «E questo chi diavolo sarebbe?» il che si traduce nel fatto che, sul mercato del booking, non costano cifre spropositate, anzi. Questo dice il 2022. Insomma: il Sónar è diventato, fra i due, il parente povero. E in questo modo però è tornato in parte ad essere ciò che era alle origini: il posto strano, originale, diverso, particolare, il posto dove si lavora più sulle idee e sul concetto che sui nomi e sulla fama. È diventato, nella parte diurna, anche il festival con una età media piuttosto alta: lo zoccolo duro è infatti rappresentato da chi ha una lunga militanza, da chi ha iniziato a venire a fine anni ’90 e primi anni 2000 e non ha più smesso anche ora che è sui 40 se non oltre, innamorato non solo della musica – quello di sicuro – ma anche della stranezza, della presa a bene dove ciò che è arty è anche un po’ ironico e molto festaiolo, dove ciò che è intellettuale è anche un po’ fricchettone.

Ha flirtato col mondo del fashion, il Sónar, in anni recenti: il festival delle nuove tendenze, dei giovani, eccetera eccetera, quello dove i grandi conglomerati massificanti globali di moda, automotive e comunicazione trovano più giusto investire. Ma ora il Primavera si sta prendendo tutta la torta, forte dei numeri e degli investimenti pantagruelici, che sfociano nell’aura di place to be universale. Il Sónar si sfila in parte invece dalla corsa; diventa – o torna ad essere – il luogo dell’eccezione, dell’alternativa, della creatività, delle strade meno battute. (Ri)trovando così un senso di appartenenza presso il proprio pubblico storico, quello che lo segue dall’inizio, che ora in particolar modo nella parte diurna è la vera architrave. Ed è una bella cosa. Il Sónar è tornato a comunicare senso di appartenenza, quest’anno, più degli anni passati, più delle edizioni passate.

Jamz Supernova al Sónar de Día 2022. Foto: Martinia Riel

Sia chiaro: si parla sempre di numeri alti, altissimi. La parte notturna è andata sold out, o giù di lì: e questo significa un 25 mila persone a sera se non di più. La parte diurna no, ma 10/15 mila persone al giorno sono state fatte eccome: non un bagno di folla immenso, ma comunque tanta roba. Persone che nel Sónar Dia hanno scoperto che in Australia – vedi Partiboi69 – e Nuova Zelanda – vedi Lady Shaka – c’è un clubbing caciarone ma appassionante (il primo, in particolar modo, è matto e divertentissimo); che in generale il fatto di puntare non solo sull’Europa ma aprendosi al mondo, nel programmare la line up in console, fa perdere forse in raffinatezza snob e rigore stilistico ma fa guadagnare sul divertimento crasso; che comunque nel Regno Unito il mestiere di dj lo sanno sempre fare un passo avanti agli altri (Jamz Supernova, bravissima); che gli artisti che piacciono all’intellighenzia hipster hanno, almeno in questo periodo, la sinistra tendenza a fare dei live che sono più dei cabaret in playback che concerti, e allora meglio chi la butta sull’humour e la presa per il culo (Tommy Cash) di chi si prende troppo sul serio (LSDXOXO, Sega Bodega); che rispetto all’intellighenzia hipster attenta a cogliere lo spirito dei tempi può essere meglio il caro, vecchio nerdismo: perché il concerto per pianoforte e sintetizzatori analogici messo su da Uncompressed (il trio composto da Hainbach, Look Mom No Computer e Cuckoo: un progetto voluto da Patreon, che ha anche patrocinato i talk nei tre giorni del festival – questi sono i contributi belli degli sponsor) ha avuto un sapore quasi di antico, nel suo indulgere con strumentazione elettronica vintage suonata di fronte a tutti, ma è stato bellissimo, uno degli highlight del festival.

Dopo questa sfilza di nomi, facile che stiate pensando «Boh, io questi non li ho mai sentiti». Ecco: questa è la ragione sociale del Sónar. Far suonare nomi mediamente «mai sentiti» di fronte a centinaia, migliaia di persone per palco, in arrivo da tutto il mondo. Persone curiose. Persone che non cercano tanto conferme, ma cercano col sorriso soprattutto scoperte: qualche volta ballando, qualche volta godendosi un semplice electronic cabaret. Orgogliosi di fare parte di un’aristocrazia fricchettona dell’ascolto, e non del supermercato dell’industria dei grandi nomi e dalla fama planetaria, che sia di nicchia o meno.

Uncompressed al Sónar 2022. Foto press

Poi chiaro, nella parte notturna – visti gli spazi che devi riempire i fatturati che devi fare – devi andare comunque un po’ di grana grossa. Quando sei fortunato, becchi dei venerabili maestri che ancora oggi riescono a fare dei live set semplicemente sconvolgenti per impatto, ma davvero sconvolgenti: Chemical Brothers. Quando sei così così, becchi nomi celebratissimi ma che dal vivo strappano più sbadigli che euforia (Bonobo) o che devono dare una migliorata notevole al propri live nuovi sia nell’assemblare i pezzi che nel lavorare i visuals (Moderat). Ma nel Sónar Noche comunque succede che dj bravissimi ma di nicchia abbiano di fronte 10 mila persone a botta (Joy Orbison, Avalon Emerson, Batu), e quando questo accade allora anche la compagnia dei soliti noti del mainstream tech-house contemporaneo da botteghino (Richie Hawtin, la DeWitte, Reinier Zonneveld, Eric Prydz, Anfisa Letyago…) ti sembra un po’ meno da botteghino e più da sincera voglia di dare solida musica da ballo futurista alle persone. Del resto, il 90% dei dj dello star system commerciale della club culture autonominatasi underground (ma, esattamente come per l’indie italiano che si è dato al pop, di underground non c’è più un tubo) oramai non va più al Sónar inteso come festival ma colonizza i party collaterali del cosiddetto Off Sónar, un contesto che ormai andrebbe rinominato Sempre I Soliti Nomi.

Chemical Brothers a Sónar 2022. Foto: Nerea Coll

Il Primavera è bellissimo, ha una qualità alta ed è riuscito a diventare rito collettivo mainstream senza svendersi troppo l’anima (e pazienza se ora certe gente ci va pensando di essere al Coachella, occupandosi più degli hashtag che di altro). Ma il Sónar, perdendo la corsa contro il suo competitor cittadino, si è ritrovato nella condizione di ancorarsi di nuovo bene alla sua anima più autentica, mantenendo comunque sempre una grandezza e un impatto fuori scala rispetto a qualsiasi altro evento nel mondo dell’elettronica e della musica non convenzionale. Nella sfortuna della sconfitta, la fortuna dell’identità. Un tempo l’etica e l’estetica del beautiful loser era 100% indie, l’elettronica invece era il nuovo-che-avanza-e-tutto-conquista: ironico, quanto possano cambiare le cose. Ironico davvero. Ma quello che conta è che il Sónar continua a essere un posto bellissimo – e molto, molto particolare – dove stare, dove poter andare. Sì. Anche se non avete più vent’anni.

Se volete essere artefici del vostro divertimento e non invece farvi guidare dagli hype e dalle messe cantate, ora più di prima difficile davvero immaginare un posto migliore. Il 2022 ha detto questo. Il 2023, pandemie e Putin permettendo, vedremo.

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