«Anch’io ne ho 25!», urla entusiasta il tizio dietro di me, manco avesse trovato un coetaneo in mezzo a migliaia di ottantenni. Il coetaneo in realtà è il gruppo che sta sul palco. Francesco Bianconi sta spiegando che i Baustelle hanno 25 anni, visto che hanno iniziato a far dischi nel 2000 con il Sussidiario illustrato della giovinezza, «titolo pretenziosissimo, si vedeva fin dall’inizio che eravamo delle teste di cazzo». A occhio e croce il tipo avrà davvero 25 anni e quindi può darsi non fosse neanche nato quand’è uscita La canzone del riformatorio, eppure la canta come se parlasse di lui, come se fosse un pezzo della sua adolescenza. La canta in modo talmente gioioso da sembrare disperato.
Questo succede a un concerto dei Baustelle e soprattutto a quello di ieri al Forum di Assago: hanno un repertorio talmente ampio in termini di temi ed epoche che ognuno può cantare un po’ più forte la “sua” canzone. Due fidanzati suppergiù trentacinquenni urlano che “l’arte di lasciar andare è meglio di scopare, forse il vero amore è questo volontario naufragare nella realtà”, parole che uno può intonare (nel loro caso stonare) solo a un concerto dei Baustelle. Due ragazze non smettono di saltare, urlare, guardarsi felici. Le sanno tutte e non perdono un colpo nemmeno quando arriva lo scioglilingua impossibile di Nabucodonosor. Le persone, qui, recitano l’attacco “Giorni senza fine, croci lungomare, profughi siriani costretti a vomitare” come altrove si canta “Siamo solo noi che andiamo a letto la mattina presto e ci svegliamo con il mal di testa”. Quando cantano tutti i pubblici si somigliano, ma ogni pubblico è disfunzionale a modo suo.
«Questa sorta di festa finale», per dirla con Bianconi, è sia un modo per chiudere il ciclo di El Galactico, sia una celebrazione dei 25 anni del gruppo. Pensateci: il tempo che ci separa dal 2000 è lo stesso che allora ci separava da Rimmel di De Gregori o da Amico fragile di De André, un’eternità nella canzone popolare. Se vi siete mai appassionati in modo viscerale al repertorio di qualcuno sapete che un moto di gelosia ha spesso accompagnato il successo di gruppi un tempo di culto e poi diventati popolari, come se ai vecchi fan stessero sottraendo qualcosa, come se il successo fosse un tradimento. E invece vedere ieri sera tanta gente cantare a squarciagola Gli spietati è stato spettacolare. Significa che in questi 25 anni qualcosa è passato. E anche se non sono al centro della comunicazione quotidiana sulla musica, e anche se qualcuno li considera una band superata, dei fighetti dai testi inutilmente verbosi e fintamente colti (tutto falso), i Baustelle hanno messo da parte un repertorio fortissimo che oggi suona a suo modo popolare. Sono canzoni di tutti.

Foto: Kimberley Ross
Poi d’accordo, i palazzetti non sono il loro habitat naturale, nell’introduzione di La canzone del parco l’eco è tale che se ti giri di lato senti una seconda batteria che rimbomba in fondo al Forum, ma è stata una grande festa. Magari si sono apprezzati meno del solito i timbri e la forza della band che Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini hanno rifondato col chitarrista Lorenzo Fornabaio, il tastierista Alberto Bazzoli, il bassista Milo Scaglioni e la batterista Julie Ant, ma una celebrazione del genere ci voleva, la meritano. Forse esagero, forse mi sto facendo fregare dalla retorica del palazzetto come tappa importante di una carriera, ma prima di ieri sera non avevo mai avuto la sensazione che questa band fosse entrata nel lessico quotidiano di tante persone. E no, il Forum non era sold out, ma chi se ne frega, smettiamo di fare i contabili.
Organizzato in due atti, il primo bello serrato e aperto da Bianconi che suona il gong tipo Pink Floyd a Pompei, il concerto ha pochissimi cali di tensione. Durante l’intervallo quasi acustico in formazione ridotta (i tre Bau originali più Bazzoli) si sono ascoltati una Alfredo lenta, una preghiera resa ancora più straniante dalla foto di Rampi sullo schermo, e poi Love Affair («Che pezzo!», esclama una ragazza) e soprattutto Un romantico a Milano e Le rane, quest’ultima con una coda favolosa, praticamente Piero Umiliani via Stereolab. Vedere e ascoltare tanta gente proprio a Milano cantare “io vi amo, vi amo ma vi odio però vi amo tutti” l’ha fatta sembrare non solo una dichiarazione del gruppo al pubblico e viceversa, ma anche del Forum alla città più amata e odiata d’Italia. Niente effetti speciali, giusto una mirror ball che scende durante una versione rivisitata di Amanda Lear e uno schermo usato per lo più per proiettare frasi o parole tratte delle canzoni (la mia preferita: “L’idiozia di questi anni”). Unico ospite Tananai in Pugili impazziti. Mai visto i Baustelle altrettanto leggeri, gioiosi, sereni. «È un’emozione gigantesca, vi vogliamo bene», ha detto Bianconi.
Il concerto si è chiuso com’è iniziato, col cantante che suona il gong alla fine di una tiratissima Il liberismo ha i giorni contati. Prima però si sono ascoltate una versione magnetica di Nessuno, quella specie di Credo spettrale che mette assieme Gaber, De André e Lennon, il singolo Nabucodonosor – Essere vivo, con Bianconi che ha fatto anche la parte di Niccolò Contessa, e poi la «canzone di non amore» Una storia. Per pochi minuti ha fatto sentire tutti quanti come la protagonista e ha fatto urlare il suo “Che cosa penseranno adesso di me?” come se ci riguardasse personalmente, miracolo delle canzoni che ti fanno provare empatia con personaggi d’invenzione e che raccontano un’epoca limitandosi a narrare una storia piccola e ignobile. «Diffidate dalle imitazioni, ragazzi», dice Bianconi, ma tanto sono inimitabili, e poi «una notte così non la dimenticheremo facilmente». Forse non la dimenticheranno nemmeno quelli seduti sulle gradinate che si sono alzati e hanno cantato dall’inizio alla fine i tre bis La guerra è finita, Gomma e Charlie fa surf. Posati gli strumenti, i sette musicisti sono rimasti sul fronte del palco qualche minuto in più a prendersi gli applausi. Se è finito qualcosa, è finito in bellezza.
Un concerto del genere che è sia una festa, sia un arrivederci a chissà quando («non fra 25 anni», promette Bianconi) spinge a fare i conti con quel che rappresenta questo gruppo nato marginale, direi volutamente marginale, e diventato via via più popolare. Raccontando storie altrui e quindi andando concorrente in un’epoca di fortissimo autobiografismo, nascondendo emozioni e sentimenti dietro l’apparente distacco del narratore, i Baustelle sono riusciti a raccontare un pezzo d’Italia e l’idiozia di questi anni in modo accorato, sicuramente convincente, lontani da facili ironie, cinismi e scorciatoie retoriche. Ascoltare per la prima volta queste canzoni in un palasport con questo calore, con questo trasporto ha reso ancora più chiaro uno dei loro talenti: rendere cantabile un’epoca in cui c’è poco da cantare.

Foto: Kimberley Ross
Set list
I provinciali
L’arte di lasciar andare
Gli spietati
Il Vangelo di Giovanni
La morte (non esiste più)
La canzone del riformatorio
Veronica n° 2
La canzone del parco
Baudelaire
Alfredo
Love Affair
Un romantico a Milano
Le rane
Pugili impazziti con Tananai
Spogliami
Amanda Lear
Monumentale
Nessuno
Nabucodonosor – Essere vivo
Una storia
Contro il mondo
Il liberismo ha i giorni contati
La guerra è finita
Gomma
Charlie fa surf














