La prima volta che ho visto un concerto di Lady Gaga era il 2010. Eravamo sempre lì, al Forum di Assago. Gaga era famosa da poco, da quando quel suo primo disco, The Fame, l’aveva catapultata dall’oggi al domani in cima alle classifiche. Hit dance, occhiali da sole, balletti rigidi e un po’ di mistero sul suo conto: la formula di Gaga era semplice, irresistibile. Tutti volevano sapere di più su quella ragazza di origini italiane che amava Freddie Mercury e che stava facendo ballare il mondo.
Erano gli anni in cui c’erano ancora dei soldi e in cui i cantanti facevano promozione in giro per il mondo. Se lo ricorda bene Simona Ventura, che ha ospitato proprio Gaga a Quelli che il calcio dando vita a uno scambio rimasto nella storia (sdibedeleiba incluso).
All’epoca, Gaga non voleva far sapere il suo vero nome. «My name is Lady Gaga», rispose alla conduttrice che si era messa a urlare “Stefani Germanotta” in diretta tv. Ieri sera invece, dal palco del Forum, Gaga ha urlato il suo nome completo: Stefani Joanne Angelina Germanotta.
Quello che è successo nel frattempo è unico. Forse Gaga ha usufruito degli ultimi periodi validi in cui a un artista pop era concesso diventare leggenda. Lei ce l’ha messa tutta: disco dopo disco, film dopo film. Alcuni andati bene, altri male. E quando andava male c’era sempre qualcuno pronto a celebrare il funerale.
Gaga però ha affrontato i suoi primi 15 anni come fanno i grandi: sperimentando, cambiando. Facendoci capire che può fare quello che vuole, pur rimanendo sé stessa. Nessuno si è quindi stupito che i biglietti per questi concerti fossero introvabili, che la gente si fosse appostata con le tende fuori dal Forum, o che in generale l’attesa per questo suo ritorno con il Mayhem Ball Tour (il tour del caos) fosse altissima.
Proprio col disco uscito quest’anno, Gaga ha riportato il suo sound a quello degli esordi. Esagerato, sfrontato, dance. E proprio con questo concerto ha ribadito il concetto: «Posso essere un sacco di cose, ma dentro sono ancora quella che avete conosciuto allora».
Il Mayhem Ball Tour non è un concerto. È un’opera noir di Broadway ambulante. Costumi pazzeschi (all’inizio entra in scena in una specie di struttura di velluto alta qualche metro, un po’ bambola di Squid Game ma versione vittoriana), e per tutto il concerto il concetto è, di base, quello che urlava in Born This Way. Questo è uno show per gli strani, per i diversi.
Due ore e mezza che sembrano un film di Tim Burton tra teschi, zombie e balli infernali. Ma anche un po’ Alice nel paese delle meraviglie spruzzato da alcuni momenti mitologici. Un meraviglioso caos dove lei è regina e tutti noi suoi sudditi. Un girone infernale dove però non si sta mica male, anzi. Un girone infernale dove puoi essere, fieramente, quello che vuoi.
Il concerto è organizzato in atti che si parlano tra loro (e in questo Madonna ha fatto scuola). E tutte le Gaga che conosciamo cambiano forma per diventare più gotiche che mai. Come un lungometraggio dark fantasy, appunto, pieno di comparse, scheletri e morti che tornano in vita. Dove il pubblico viene inquadrato e magicamente ha gli occhi verdi di un mostro. Metafora del mondo interiore di Gaga, ma pure del mondo di tutti quelli che sono lì stasera.
All’inizio, mentre si aspetta che entri sul palco, sembra di non stare manco al Forum. Una luce rossa illumina le persone, abbiamo già varcato la porta dell’inferno. Sullo schermo scorrono i messaggi dei fan. «Mi hai insegnato a essere unico», «Hai cambiato la mia vita».
L’effetto di Lady Gaga sui suoi fan va spiegato nel contesto storico in cui è successo. I social non erano quelli di ora, le sensibilità su alcuni temi (omosessualità, o in generale accettazione del diverso) erano indietro anni luce. La popstar più famosa del momento cantava “I’m beautiful in my way / ’Cause God makes no mistakes”. Gaga è stata ed è una popstar politica, questi versi di Born This Way sono la risposta perfetta a ogni “Io sono Giorgia” del mondo. E chi c’era stasera e c’era anche 15 anni fa se lo ricorda bene.
Per questo il concerto di Gaga, che ripetiamo concerto non è perché sarebbe riduttivo, è qualcosa di più che uscire di casa per andare a sentire le canzoni del proprio artista preferito. È andare al cospetto della popstar che ha creato un movimento, quello dei Little Monsters. Che magari ora hanno pure 40 anni, ma sempre piccoli mostri rimangono.
Il tutto mentre sul palco succede sempre qualcosa di incredibile. Come quando entra sulle stampelle per cantare Paparazzi, o quando un simil Caronte la traghetta sul fiume, o ancora quando esce da un teschio gigante. C’è anche un momento più intimo, al pianoforte, quando prima di attaccare Joanne ringrazia le sue nonne italiane (Simona Ventura approves again).
Due ore e mezza in cui ballare, divertirsi, buttare tutto fuori. Lady Gaga è ancora e sarà sempre quella di Born This Way, e questo tour ne è la prova. Nelle interviste ricorda spesso di quando era giovane e qualche suo hater aprì un gruppo Facebook chiamato “Stefani Germanotta non sarai mai famosa”. Bastano cinque minuti di concerto per capire invece che “Stefani Germanotta sarà famosa per sempre”. Anzi: Stefani Joanne Angelina Germanotta. Così le sue nonne sono contente.
