La Niña in concerto è incontenibile | Rolling Stone Italia
Figlia d’ ’a tempesta

La Niña in concerto è incontenibile

Ieri sera ha portato alla Triennale di Milano i pezzi di ‘Furesta’, ma anche alcuni classici della canzone napoletana in una performance tutta purezza, coerenza, energia

La Niña in concerto è incontenibile

La Niña live in Triennale a Milano

Foto: Francesca De Nigris

È arrivata La Niña in Triennale con un’energia esplosiva e incontenibile e una quantità di tamburelli e mandolini che non si vedevano su certi palchi da decenni. Non si risparmia, non lesina, non si intimidisce nella città della Madonnina. È Milano a sentirsi intimidita e ammirata da una sicurezza così debordante, da una fisicità profonda e magnetica, da una donna che entra senza bussare e si prende tutto.

«Mi chiamo La Niña perché, anche se sono una donna forte e cresciuta, c’è una parte di me che vorrebbe solo essere quella bambina che sta nel suo giardino a guardare la natura e gli animali», dice. Esegue uno dopo l’altro tutti i pezzi migliori della sua discografia: Guapparìa, Mammamà, Sanghe, Figlia d’ ’a tempesta. Ogni titolo è un’allegoria, ogni parola dipinge più che descrivere come solo la lingua napoletana sa fare. Pica Pica rappresenta la testardaggine, Manalonga (che si può ascoltare solo in vinile) è la depressione, Salomè è un inno femminista su cui il pubblico di donne giovanissime accanto a me si scatena in un atto liberatorio.

La Niña usa tutti i topoi classici della canzone popolare e in questo innova poco: la terra, il dolore, la nostalgia, la ricerca di una promessa migliore, l’amore anelato. Nelle canzoni di Furesta si sente tutto l’attaccamento alle radici, il frutto di un’infanzia confusa «in cui l’unico conforto erano i gatti». È una donna di mondo e una donna di nido che vuole tutto, ma soffre per la cosa più vecchia del mondo, l’amore.

Il concerto ha un assetto folk e antico che crea un contrasto col contesto della Triennale così istituzionale e milanese. Ci sono quattro donne sul palco a tammorre, nacchere, voci, chitarra. E poi ci sono una tastiera e una parte elettronica, l’unico spazio in cui un uomo fa capolino. Si balla (poco in verità), si ascolta (tantissimo e in profondità). Racconta i brani e li canta con voce cristallina, impeccabile, «da secchiona» come commenta un’amica. Ricorda in questo senso la FKA Twigs di Magdalene molto più della Rosalía a cui viene spesso accostata per il modo in cui rimaneggia la musica locale in chiave pop.

Foto: Francesca De Nigris

La Niña non sembra interessata solo a portare sé stessa a Milano. Il suo è anche un viaggio antologico nella canzone folk napoletana: Maruzzella (col vocoder), Era de maggio, Il canto delle lavandaie del Vomero del 1200, il featuring con Franco Ricciardi a chiusura del concerto. Con un solo disco all’attivo insieme all’EP Vanitas del 2023 più una manciata di singoli, è forse anche l’unico modo per saziare il pubblico che non accenna ad andarsene. Figlia d’ ’a Tempesta la canta due volte, la seconda in una versione ritmata e dritta che la gente canta a squarciagola. “Sta femmena ’e niente mo vò tutte cose, mo vò tutte cose / E tene na rraggia ca nun arreposa, ca nun arreposa / Ha dato la vita e ce l’hanno luata nu milione ‘e vote  / Vestuta ‘a puttana e vestuta da sposa” (“Questa donna di niente adesso vuole tutto, vuole tutto / e tiene una rabbia che non trova pace, che non trova pace / ha dato la vita e gliel’hanno tolta milioni di volte / vestita da puttana e vestita da sposa”. In questa outro c’è la sintesi di tutta la sua musica, del suo sguardo femminile, della sua lucidità lirica, del suo modo di scrivere-manifesto. 

È un concerto minimale, l’allestimento è inesistente, le luci basiche. La musica è talmente teatrale che non ha bisogno di visual, scenografie, A/V show. Lo sfondo è quello del giardino della Triennale, una trama di alberi intrecciati. La Niña usa l’arte come maschera, il dialetto come mezzo per non farsi capire dagli invasori, quasi a sottolineare che siamo noi gli stranieri nella sua musica. 

Ma una cosa è certa: Dentro la sua musica c’è l’oro di Napoli. Ci senti l’incomprensione di Pino Daniele, i mandolini di Murolo, la Tammurriata nera, Maria Nazionale, il blues di James Senese, la tarantella del popolo e la procacità di Sophia Loren. Non ci senti le piacionerie di Liberato e nemmeno il suono “mediterraneo” dei Nu Genea. La Niña è purezza e coerenza, è la celebrazione di una cultura.

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