Justin Timberlake sa ancora come si fa | Rolling Stone Italia
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Justin Timberlake sa ancora come si fa

La popstar è tornata a Milano dopo quasi vent'anni: un concerto che è un greatest hits e che ha messo d'accordo 30.000 persone. Ieri era il 2008, e andava decisamente tutto bene

Justin Timberlake sa ancora come si fa

Justin Timberlake agli I-DAYS di Milano

Foto: Giuseppe Craca

«Chi suona stasera?» chiede un signore sulla sessantina a uno dei paninari di fronte all’Ippodromo. «Justin… Justin qualcosa», risponde il proprietario del chiosco prima di aggiungere: «Roba da ragazzine». Sarà colpa del suono di quel nome, Justin, sempre un po’ liceale dei telefilm, perché all’Ippodromo San Siro, ieri sera, di ragazzine non se ne sono viste. Ma neanche di ragazzini. Ci sentiamo serenamente di dire che non c’era una persona sotto i trenta, e aggiungiamo un’altra cosa: grazie per averci confermato che la skincare coreana funziona, signore dei panini.

Età a parte, c’erano 30.000 persone (!) alla data italiana di Justin (Timberlake, sì) ieri sera all’Ippodromo San Siro per I-Days Festival. Un vero successone di pubblico, anche perché l’ex *NSYNC non si vedeva nel nostro Paese dal 2007. Quasi vent’anni d’assenza che però non si sentono: JT è ancora molto, molto simile a come lo ricordavamo. Sono le 21:30 quando attacca con la data italiana del suo The Forget Tomorrow World Tour. Un concerto che, capiamo subito, sarà una sequenza di hit. Si comincia con Mirrors, si chiude con SexyBack e Until the End of Time. In mezzo, tutti i singoli che l’hanno reso grande. Señorita, Cry Me a River, Like I Love You, eccetera. Poco dei suoi ultimi due dischi, tanto, tantissimo da quei masterpiece pop che sono Justified e FutureSex/LoveSounds, album che tra il 2000 e il 2010 lo hanno proiettato nell’Olimpo delle popstar più amate del pianeta.

E, bisogna dire, Justin ha passato gli anni a tenersi in forma: sul palco sembra di vederlo nella sua versione di tanti anni fa. Balla tantissimo, canta, ed è accompagnato da una superband (i Tennesee Kids). Tra ballerini e musicisti ci sono quasi venti persone on stage. Missione: intrattenere.

Justin Timberlake è un ragazzo cresciuto con la telecamera in faccia, e si vede. È un ottimo performer, ma è anche un ottimo piacione: sa come si tiene appeso il pubblico. Non è un caso se lo fa da prima di prendere la licenza media. «Questo show a Las Vegas sarebbe perfetto», dice il giornalista Luca De Gennaro, di fianco a noi, e non c’è frase che riassuma meglio lo spettacolo che abbiamo visto. Dare al pubblico quello che vuole, che è ancora più facile se hai un portfolio di hit così.

Justin Timberlake agli I-Days di Milano. Foto: Giuseppe Craca

Qui si potrebbe aprire un grande capitolo: quello per cui da una parte le popstar monetizzeranno sempre di più le cose fatte in passato che quelle più recenti. Si potrebbe parlare del concetto di nostalgia, di come viviamo un eterno loop temporale che ci vuole sempre lì, a sentire quello che conosciamo già e che dall’altra parte intrappola, se così possiamo dire, gli artisti con una grande carriera alle spalle in una sorta di limbo da cui non è facile uscire. Ma questa è un’altra storia.

Justin Timberlake è venuto a Milano per ricordarci e forse ricordarsi chi è e chi è stato: uno dei più grandi. Non a caso è stato probabilmente l’unico membro di una boyband americana (e sottolineiamo americana, ché qua abbiamo Robbie Williams) a tentare con così tanta fortuna la strada da solista (cosa che, per esempio, non è riuscita a nessuno dei rivali Backstreet Boys). E sentire il meglio del suo repertorio tutto di fila fa un certo effetto (un grazie anche ai sempre cari Timbaland e Pharrell). Altri anni, altri mondi, altro tutto. Senza contare la capacità nel riuscire a proporre tutto senza sembrare una copia sbiadita di allora.

Quello di ieri sera è stato un live divertente, suonato (con la band ma anche da solo, in alcuni brani, come la recente Selfish), cantato da una folla enorme, e che ci mette di fronte a una grande verità che sappiamo già ma che ogni tanto è meglio ricordare. Perché se Justin Timberlake è stato recentemente (soprattutto in America) oggetto di tantissime critiche (dal caso Britney Spears alla tetta di Janet Jackson, passando per la Generazione Z che trova “cringe” alcune sue mosse sul palco), basta chiudere il telefono e guardare tutta la gente che c’era ieri per capire che al Paese reale di cuoricini e di opinioni di gente che si mette il telefono in faccia frega poco o niente. Ieri sera era il 2008, Justin Timberlake ballava sul palco e andava decisamente tutto bene.

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