Santa complicità: il concerto di Joan Thiele in Santeria, a Milano | Rolling Stone Italia
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Joan Thiele in concerto, santa complicità

Parole e immagini dallo show di ieri (ne ha fatti due, in realtà) alla Santeria di Milano. «Fatevi rispettare!» dice alle ragazze del pubblico. E così sia

Joan Thiele in concerto, santa complicità

Joan Thiele a Milano

Foto: Claudia Vanacore

Dagli altoparlanti arriva la voce della nonna che intona in napoletano Pazzerella mentre il buio viene attraversato dal fumo di scena. Joan Thiele sale sul palco sulle note di La forma liquida con un velo bianco che copre il capo e avviluppa il corpo. Non è solo un elemento scenico: è un velo da Madonna, da santa laica avvolta dalle luci di un contrasto caravaggesco. Richiama un immaginario sacro, popolare, femminile che non ha nulla di devoto in senso religioso, ma ha molto a che fare con il culto dello sguardo, della presenza, del corpo che diventa simbolo.

Per qualche minuto Joan è una figura lontana, quasi un’icona. Alla fine della prima canzone lascia cadere il velo mostrandosi in un abito nero che lascia scoperte le gambe. Non c’è scenografia, solo le luci, i fumi, un ventilatore che muove i capelli, ma soprattutto c’è il corpo della cantante che segue la musica e ne cambia continuamente funzione.

Foto: Claudia Vanacore

Joan non interpreta solo le canzoni: le attraversa. È magnetica senza essere distante, carismatica senza imporre nulla. C’è una tensione costante tra sacro e terreno, tra devozione e desiderio di libertà. Quel velo iniziale resta addosso anche quando non c’è più: è un simbolo di forza femminile, di autodeterminazione, di una “santità” che non chiede permesso e non chiede assoluzioni. Thiele canta per sé stessa e proprio per questo finisce per parlare a tutti. «Fatevi rispettare!» urla durante Puta. In prima fila ci sono solo donne di qualsiasi età ed estrazione sociale, in pelliccia, felpa, abito, tacchi e sneaker.

Le persone in sala partecipano con gli occhi lucidi e spalancati. È un concerto intimo. Tutta l’attenzione è su di lei. Joan Thiele viene guardata con una forma di adorazione che non ha nulla di fanatico: è riconoscimento. Le ragazze in prima fila la seguono in ogni gesto, in ogni movimento lento delle mani, in ogni pausa. C’è amore, complicità, identificazione, gratitudine per le parole.

Foto: Claudia Vanacore

È il canto delle donne forti e della loro fragilità, un manifesto di libertà, di autodeterminazione. Dice «io canto per me» ed è una dichiarazione politica intima, sussurrata, che in sala arriva chiarissima. E molte sembrano cantarla insieme a lei.

Il magnetismo nasce da lì. Joan Thiele non seduce, non conquista: si offre. Il suo corpo è parte della narrazione. Una forza femminile attraversa tutto il concerto, una sicurezza calma, non aggressiva, che diventa modello più che messaggio. È la forza dell’autenticità di una musicista vera che si è fatta le ossa nei club da adolescente, che si emoziona ricordando quando qualche anno prima ad ascoltarla erano pochi affezionati qui alla Santeria, dove questa sera fa un doppio set sold out, uno alle ore 18 e uno alle 21.30.

Joanita ha sonorità splendide, se chiudi gli occhi vedi il deserto, il ceruleo del cielo estivo, percepisci il senso di indipendenza di chi viaggia. La componente sudamericana della sua identità emerge senza essere mai esplicitata, a parte la cover finale di Deja la vida volar di Víctor Jara: è nel ritmo delle canzoni, nel modo in cui le chitarre, centrali, quasi narrative avvolgono i pezzi. Non riempiono: disegnano spazi. Sono riverberate, secche, rimandano al desert rock, al western psichedelico, ma anche a certo surf oscuro e al folk elettrico di frontiera. I riff non sono mai virtuosistici: funzionano come linee di orizzonte, ripetitivi e ipnotici, creano un senso di avanzamento lento, quasi rituale attraverso la lucidità esecutiva della band che comprende basso, chitarra, batteria, tastiere.

Con Frah Quintale. Foto: Claudia Vanacore

C’è una tensione costante tra radici analogiche e pulizia contemporanea del suono: niente saturazioni aggressive, piuttosto una distorsione calda, trattenuta, che accompagna la voce senza sovrastarla. Dal vivo, le chitarre diventano vento, polvere, movimento d’aria. Sono loro a costruire quella sensazione desertica di attraversamento come in Cinema, Eco e Cruz.

Sul palco appare Frah Quintale in berretto rosso, sorridente, che canta insieme a Joan Occhi da gangster. Impossibile trattenere le lacrime con l’interpretazione de L’invisibile, dedicata a Ornella Vanoni, dolce, sensuale. Una padronanza vocale impeccabile, nessuna distrazione, nessun rumore inutile. Solo sguardi fissi, sorrisi sinceri, occhi lucidi. Quando il concerto finisce, l’applauso è lungo e carico, l’unico modo possibile per restituire qualcosa di ciò che è stato ricevuto.

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