Ha scritto l’autore indiano Shiv Khera che «la visione è la capacità di vedere l’invisibile. Se si riesce a vedere l’invisibile, è possibile ottenere l’impossibile». Quasi 50 anni dopo la pubblicazione — in piena esplosione punk — di Oxygene, album imprescindibile per l’elettronica a venire, di un allora ventottenne musicista visionario francese, siamo ancora qui, a guardare con incredulità “l’invisibile” da lui generato e ad ascoltare ipnotizzati Jean-Michel Jarre.
Tra le pietre millenarie di tufo giallo dell’Anfiteatro del Parco Archeologico di Pompei, eruttate dal Vesuvio, gioiello antico Patrimonio UNESCO, proprio Jean-Michel Jarre — dopo lo show in Piazza San Marco a Venezia — è stato protagonista di uno spettacolo venuto dal (suo) futuro in un luogo in cui le anime del passato, cancellate dalla furia del Vesuvio, sembrano ancora dimorare, per un evento inserito nel cartellone del festival BOP – Beats of Pompeii.
Tra giochi di luce, laser che si scagliano in cielo, maxi schermi, pannelli luminosi, macchine del fumo, al centro della scena — come Capitan Harlock alla guida della sua nave volante Arcadia — Jean-Michel Jarre, atterrato nel cuore della storia, ha giocato con l’arte, la tecnologia, l’intelligenza artificiale, la musica. Come un gladiatore 3.0, pronto a combattere “il lato oscuro della nostra epoca”, in un luogo che millenni fa ospitava altri giochi: quelli cruenti e mortali tra gladiatori. «Questo concerto è stato pensato appositamente per Pompei» dice Jarre dal palco. «è un sogno che si avvera poter mettere in scena il mio spettacolo in questo sito di straordinaria bellezza e valore universale».
Raccontare uno show di Jean-Michel Jarre significa descrivere un’esperienza immersiva, multisensoriale, dove l’aspetto musicale — a volte quasi secondario — è inscindibile da quello visivo ed emotivo. Il concerto si apre con Les Chants Magnétiques 1, composizione tratta dal suo quarto album in studio, uno dei primi nella storia a contenere campionamenti di suoni naturali. L’atmosfera avvolge i presenti, immergendoli in un flusso di suoni e luci che durerà due ore.
Dopo un quarto d’ora, sulle note di Epica Oxygene, il pubblico si alza in piedi, trasformando l’anfiteatro romano, con i suoi 1955 anni di storia, in una delle più antiche discoteche del mondo. Per Jarre Oxygene è il suo Tubular Bells (Mike Oldfield), il suo Sirius (Alan Parsons), il suo My Life in the Bush of Ghosts (Brian Eno e David Byrne), la sua Phaedra (Tangerine Dream), il suo From Here to Eternity (Giorgio Moroder): pietra miliare e punto di riferimento di un’elettronica con un cuore pulsante pop.
Il 76enne artista di Lione, l’uomo dei record, circondato dai suoi synth e dalle sue macchine, accompagna per mano i presenti nel suo mondo fatto di echi, riverberi, effetti sonori. Evoca la natura, le onde del mare, i versi degli animali, i sospiri dell’universo, i battiti cyberpunk dei robot. Tra sample e loop propone alcuni tra i suoi brani più noti: Sex in the Machine, Oxygene 2, Arpégiateur, Zoolookologie, Équinoxe 7, The Architect, Zero Gravity, Exit, Industrial Revolution.
Ogni pezzo si fonde con i giochi di luce e con le immagini proiettate su tre grandi schermi e sei pannelli verticali posizionati ai lati della scena. La narrazione visiva si adatta al ritmo, ai suoni, all’atmosfera. Suono, spazio, immaginazione danzano liberi, si sovrappongono, si rincorrono: non ci sono muri, non ci sono barriere. La sua musica elettronica è quasi fisica, palpabile, tutt’altro che astratta.
«Ho lavorato con l’IA per immaginare questo show, non bisogna avere paura della tecnologia» spiega al pubblico (così come aveva spiegato a noi durante un’intervista). «Vorrei che le persone non avessero paura dell’intelligenza artificiale. Ogni grande invenzione, come la scoperta del fuoco o l’invenzione della scrittura, ha sfidato l’intelligenza umana e l’evoluzione. Sovvertire la tecnologia: questo è ciò che gli artisti e i creativi dovrebbero fare oggi». E lui, da quasi 50 anni, gioca e sfida la tecnologia.
Prima di suonare Robots Don’t Cry (Movement 3) ricorda che la musica elettronica è nata in Europa, e cita l’italiano Luigi Russolo (inventore dell’arco e del piano enarmonico), che non la sua “arte dei rumori” è considerato uno dei padri del genere. Herbalizer, Oxygène (Part 19), Équinoxe 4, Brutalism, Oxygène 4, Epica, Stardust, Quatrième Rendez-vous, Les Chants Magnétiques 2, completano l’esperienza sonora immersiva, regalando ai presenti un viaggio sensoriale nel suo grande quadro artistico.
Jean-Michel Jarre ancora una volta è riuscito nell’impresa impossibile di far intravedere, attraverso le sue visioni, l’invisibile, proprio come aveva teorizzato Shiv Khera. Lo ha fatto proseguendo lungo sentieri già tracciati da pionieri come Karlheinz Stockhausen – paragone che scrivo con le debite proporzioni – che, con la programmazione dei computer e lo studio delle onde acustiche, ha saputo creare una commistione tra scienza e intuizione sonora, spingendo gli ascoltatori verso un ammaliante ignoto.








