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Interisti, ieri sera Noel Gallagher vi ha dedicato ‘Don’t Look Back in Anger’

Il concerto al Forum di Assago: tante canzoni, tra cui classici e lati B degli Oasis, e poco rock’n’roll, battute sul calcio e la sagoma di Pep Guardiola sul palco. Musica, non autocelebrazione

Foto: Giuseppe Craca

«Non abbiamo bisogno di fare gli idioti sul palco: siamo lì per suonare le nostre canzoni». Rispose così Noel Gallagher, ai tempi di Definitely Maybe, a chi osservava che una band che apriva il suo primo album con una canzone che diceva “stanotte sono una rock’n’roll star” avrebbe potuto agitarsi un po’ di più di fronte al proprio pubblico. Una risposta che veniva in mente, quasi trent’anni dopo, ieri sera al Forum di Assago durante l’unica data italiana di Noel e dei suoi High Flying Birds. Attacco alle 8 e mezza precise, con buona pace di chi non legge l’orario stampato sul biglietto, e alle 10 in punto è tutto finito. Una band che dà l’idea di essere lì a fare il proprio lavoro, guidata da un artigiano di quelli bravi, come già avevamo scritto dopo aver ascoltato per la prima volta l’ultimo Council Skies. Noel ne tira fuori cinque pezzi per aprire il concerto, coerentemente con il pensiero espresso in un’intervista al Corriere della Sera: «Ho pubblicato un album pazzesco».

Sul palco pieno di piante e fiori freschi, c’è solo la musica, altro che rock’n’roll star. Giù dal palco, nel Forum pressoché pieno, è proibito fare cori. Quanto parte il primo «Noel! Noel!», lui risponde con uno «shhhhhh», per fortuna accompagnato da un sorriso bonario. Nelle prime file c’è un cartello con una richiesta: chi l’ha preparato vorrebbe ascoltare il lato B di Some Might Say, il singolo che anticipò di qualche mese l’uscita di (What’s The Story) Morning Glory, l’album della definitiva consacrazione degli Oasis. «Talk Tonight? Not tonight, sorry» è la risposta, e saranno tra le poche parole pronunciate durante la serata. Nessuna punzecchiatura al fratello, nessuna battuta sul fatto che «se Liam non suonasse le canzoni degli Oasis non riuscirebbe a riempire nemmeno un posto da 30 persone». Noel invece punta sulle B side (Half The World Away, The Masterplan, Going Nowhere) e su una Live Forever acustica e scarnificata che perde per ko con la versione originale.

Sullo sfondo, la sagoma di cartone a grandezza naturale di Pep Guardiola, trasferita sul palco dopo aver fatto da «supervisore del piano tattico» (parole di Noel) durante la registrazione dell’ultimo album, sembra sorridere alle battute a tema calcistico del più famoso tra i tifosi del City. Forse ispirato da un altro cartello (“Lukaku Wonderwall”) che scherza sulla sfortunata finale di Champions League, Noel chiede «cosa è successo con l’Inter?», prima di dedicare ai tifosi nerazzurri una Don’t Look Back in Anger con le chitarre a tutto volume, che sarà il momento migliore della serata anche giù dal palco, cantata a squarciagola pure dai non pochi che in quel lontano 1995 non erano ancora nati.

Ammesso che sia un problema, la condanna di Noel Gallagher saranno sempre quei due album irripetibili e le canzoni in essi contenute. La sua scelta è quella di non percorrere il sentiero dell’autocelebrazione. C’è da scommettere che il prossimo anno, con il fratello impegnato dal vivo con i pezzi di Definitely Maybe nel suo trentennale, si farà una lunga vacanza e al ritorno chiederà: «Cos’è successo con Liam?».

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