In Finlandia abbiamo trovato il festival più bello d’Europa | Rolling Stone Italia
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In Finlandia abbiamo trovato il festival più bello d’Europa

Il Solstice Festival ha tutto ciò che cercavamo: un ambiente naturale incredibile immerso nel sole di mezzanotte, ottimi soundsystem e il senso di comunità spesso smarrito dalla club culture. Il racconto

In Finlandia abbiamo trovato il festival più bello d’Europa

Solstice Festival

Foto: Gaia Carnevale

È mezzanotte e il sole sta iniziando lentamente a calare. Non lo farà mai davvero del tutto, fermandosi appena sopra i grandi laghi frastagliati nella regione dell’Ostrobotnia Settentrionale in Finlandia per poi risalire del tutto tra qualche ora. Sono a poco più di 20 km dalla Lapponia, appena una quarantina dal confine russo. È fine giugno e il termometro segna 0 gradi, ma qui le temperature sono queste, parliamo di un luogo coperto dalla neve per 200 giorni l’anno. Con il consiglio di vestirmi a strati, indosso tutta la mia valigia e non ho più forme. Ma il sole nordico di mezzanotte durante il solstizio d’estate scalda a suo modo, e abbronza. È il terzo giorno del Solstice Festival, quello che scopro essere probabilmente il miglior festival in Europa. Ma andiamo con ordine.

Per arrivare a Ruka, il piccolo villaggio sciistico che ospita il Solstice, il viaggio dall’Italia è lungo, è vero, ma piuttosto semplice. Con Finnair si vola comodamente fino a Helsinki dove, con un volo interno sempre garantito dalla puntuale compagnia nazionale finlandese, tra un locale succo di mirtillo e l’altro ci si avventura a nord per un paio d’ore per atterrare al piccolo aeroporto di Kuusamo (il consiglio è di volare la sera così da assistere allo spettacolo dei colori del midnight sun). Per piccolo intendo che durante una giornata ospita solo due voli in partenza e due in arrivo, giusto per darvi la dimensione del luogo sperduto in cui ci stiamo inoltrando. Da lì, ancora mezz’ora di auto (qualcosa in più in bus) ed eccoci arrivati – totalmente fuori stagione – in questo piccolo villaggio fatto di pochi hotel, un paio di negozi di attrezzature sportive, qualche ristorante (per qualche strana ragione la maggioranza di cucina italiana), un market. Per chi vi scrive semplicemente un paradiso naturale, visto le temperature in contrasto con il clima sahariano di Milano.

Foto: Gaia Carnevale

Foto: Gaia Carnevale

Foto: Gaia Carnevale

Per entrare al Solstice, la cui location è posizionata sulla cima di una collina a 500 metri d’altezza, ci sono due possibilità. O si cammina una ventina di minuti in salita o si prende uno skilift, che già di per sé è uno strano modo per raggiungere un festival di musica elettronica. Al terzo giorno, io che soffro di vertigini, seduto su questa sedia di ferro volante riesco pure a godermi lo splendido scorcio di pini, abeti e betulle che circonda l’area. Arrivati in cima è come trovarsi in una cartolina: lo sguardo si può perdere in chilometri e chilometri di vegetazione florida e laghi, con una vista a 360 gradi sula vallata. Non ricordo un festival con un paesaggio più incredibile. Un landscape che il sole di mezzanotte rende quasi ultraterreno, disegnando un’atmosfera a dir poco psichedelica. «Il sole di mezzanotte ti fotte, ma in senso positivo», mi racconta Joni Stanley, che del festival è uno degli organizzatori insieme ai suoi altri compagni (tutti dj) del Post Bar, il locale senza dubbio più figo di Helsinki. E in effetti Joni ha ragione: qui si inizia a ballare alle 4 del pomeriggio e quando si finisce alle 2, con il sole che dipinge traiettorie da alba, il corpo non è stanco. È come se non si attivasse il processo naturale che la notte richiama, mantenendo il corpo in uno strano, e quasi allucinato, stato di superpotere.

Sui tre palchi – il Peak, situato all’interno di un punto di arrivo per skilift e con alle spalle della consolle un panorama mozzafiato, il Valley, tutto in legno incastonato nella conca della vetta, e il Kelo, un tendone rialzato sospeso sulla valle – si alternano principalmente dj e producer di musica elettronica (nelle sue varie forme, dall’house alla techno, dalla post-club all’ambient), mentre circa duemila persone presenti vibrano sotto la precisione sonora dei soundsystem. Ecco, dimenticatevi di festival come il Primavera dove dagli impianti si sente spesso troppo basso, a volte addirittura male, qui in Finlandia la questione suono è presa molto sul serio: «La nostra è una cultura del soundsystem. Prima viene il soundsystem, poi di conseguenza palco. È tradizione, è cultura, il clubbing qui si fa così», mi conferma fiero Joni.

 

 
 
 
 
 
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Sarà la psichedelia solare, l’ambientazione naturale, il fatto che si dorme tutti nello stesso villaggio grosso poco meno di qualche chilometro quadrato, la dedizione di un pubblico che è arrivato mettendo sulle spalle ore e ore di viaggio (per il turista quanto per il local, visto che da Helsinki sono 7 ore di auto, come da Milano a Napoli per intenderci), ma qui si respira una vibe diversa. Tutti sorridono, tutti ballano. Essendo un boutique festival da 2000 persone è un attimo infatti che una conversazione attorno al fuoco (ci sono ben due falò pensati per i più freddolosi) diventi una conoscenza che si protrae per tutti e tre giorni. Non c’è differenza tra chi è sopra il palco e chi sotto, tutti conversano, creando – per una volta senza retorica – un senso di comunità. C’è curiosità, in fondo ci si sente un poco pionieri di un mondo nuovo. Siamo tutti qui per le stesse ragioni: ballare e recuperare sanità mentale in un mondo sempre più furente. Se la club culture mostra, in gran parte d’Europa, un senso di stanca, oltre che a uno attaccamento al concetto di comunità (spesso) di facciata, il Solstice è di un’onestà palese, e mi rimette presto in pace con un ambiente che mi sembrava stesse davvero iniziando a perdere il contatto con le proprie radici. Per intenderci, solo il fatto di indossare una sciarpa del St. Pauli mi ha fatto conoscere più persone che in un mese di eventi nel capoluogo lombardo.

Stupisce anche una grande libertà del pubblico di esplorare lo spazio circostante, con pochissimi spazi transennati (c’è fiducia che nessuno si imbucherà senza biglietto, qui certe cose non si fanno), e una presenza ridotta di addetti alla sicurezza, sempre molto defilati. Si fa festa, si è felici, non c’è bisogno di quell’iper-controllo spietato che conosciamo alle nostre latitudini. C’è un team di giovani volontari per chi avesse bisogno di aiuto e una tenda per il relax per chi vuole allontanarsi da ogni possibile input sonoro e luminoso. Per gli altri, non resta che il party. «Non c’è una grande cultura legata al day parting in Finlandia, e noi volevamo ribaltare tutto questo. E per farlo abbiamo scelto un posto in cui in questa stagione non si è soliti venire (il villaggio di Ruka, senza turisti, ospita solamente 800 abitanti). Quindi chi arriva fin qui è perché ci crede, lo desidera davvero», mi chiarisce Joni con un sorriso mentre mi offre qualcosa da bere per scaldarmi: «Siamo alla quinta edizione effettiva, ci siamo dovuti fermare due anni per la pandemia, e ora abbiamo raggiunto la dimensione che volevamo. Siamo partiti con poche centinaia di persone, ora ne abbiamo duemila da tutta Europa. Questo è quello che ci eravamo prefissati». Bravi tutti allora.

E la musica? Tra i set che abbiamo vissuto quelli che si sono presi una parte del nostro cuore sono stati i landscape ambient dello sloveno e/tape, il set iper-percussivo della brasiliana Badsista («qui è ancora più bello che su Instagram», ci ammette quando la incrociamo per il festival), il rituale post-hyper-pop del local hero Glayden in coppia con Erika Sirola arricchito da una luce mistica che ha immerso il pubblico seduto del Kelo stage in un mondo altro. E poi ancora la presa bene della regina di casa Hanna Ojanen, i bassi della dj e musicista tedesca di origine cinese Polygonia e la doppia versione dj e producer ambient di Upsammy.

Foto: Gaia Carnevale

Foto: Gaia Carnevale

Foto: Gaia Carnevale

Tra un tacos rivisitato con carne di renna, una zuppa calda di salmone e uno shot di liquore alla liquirizia Salmiakki, come si fa a dormire quando, uscendo dal festival si discende la collina alle 2 del mattino inoltrate nell’alba infinita del cielo finlandese? Per paradosso, il modo migliore è continuare a ballare agli after che si tengono in una delle baite del villaggio che tanto ricorda, per oscurità e attitudine, proprio il Post Bar di Helsinki. Qui ogni notte fino alle 6 del mattino due set riabituano lo sguardo all’oscurità mentre il corpo batte i suoi ultimi colpi sul dancefloor. Superato il trauma di uscire nella luce abbagliante si può raggiungere velocemente la propria abitazione che come tradizione, ospita una sauna privata dove ritrovare il calore perso durante la giornata, prima di cedere definitivamente al sonno previa chiusura di ogni possibile pertugio luminoso.

Per la comunità, l’organizzzione, il suono, la natura (permettetevi di esplorarla tra trekking e lunghi percorsi in bici elettrica in cui è più facile incrociare delle renne che altri umani), il Solstice Festival ci ricorda che la club culture ha ancora la capacità di unire, di creare uno spazio sicuro dove liberarsi. Lascia anche un grande spunto di riflessione sul tema, soprattutto per quando l’oscurità della notte nasconderà i sorrisi della sua comunità. Chiamatelo utopia, chiamatelo TAZ; il Solstice è un miracolo naturale, proprio come il sole di mezzanotte in Finlandia.

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