Bastano uno, forse due minuti per capire che Brandi Carlile gioca in un altro campionato. Sale sul palco del teatro del Vittoriale di Gardone Riviera, la «conca marmorea sotto le stelle» immaginata da Gabriele D’Annunzio, affiancata dagli amici e collaboratori di sempre Tim e Phil Hanseroth. Una lesbica dichiarata cresciuta con le Indigo Girls ed Elton John che indossa un gilet assurdo, due gemelli che sembrano usciti da un film anni ’50, tre voci, tre strumenti acustici, piedi che battono per terra come dannati. E una canzone, Raise Hell, nata dalla frustrazione durante un tour con Ray LaMontagne e diventata manifesto di riscatto ed emancipazione. Il suono è assieme terragno, travolgente e meravigliosamente limpido, i tempi perfetti, il messaggio potente. Due ore dopo non ci saranno dubbi: esiste un’altra America, esiste un’altra musica.
Brandi Carlile ci ha messo una ventina d’anni a venire in Italia. È valsa la pena aspettarla. Quello di ieri sera a Tener-a-mente, la rassegna che si tiene in uno dei posti migliori in cui può capitare d’assistere a un concerto in Italia, non è stato solo il suo primo show nel nostro Paese, ma anche l’ultimo del Lost Time Tour. Se negli Stati Uniti Carlile è una star e un simbolo, se nel Regno Unito è quasi di casa anche per via dell’influenza che la musica inglese ha avuto su di lei, nell’Europa continentale è ancora un’artista di culto. Ha deciso di recuperare il tempo e girare l’Europa solo adesso, 18 anni dopo il boom di The Story, sei anni dopo i Grammy per By the Way, I Forgive You, quando ormai non ci si sperava più, la si pensava fenomeno solo americano. E invece eccola qua: l’emozione, sua e del pubblico composto anche da molti stranieri, è evidente. La gente la adora, lei non fa che ripetere quanto sono speciali il posto, il pubblico, la serata.
«Look at this place!», esclama quando arriva sul palco. Per le prime canzoni è sola coi gemelli, ma non serve altro, sembrano una band di sei elementi. «Country isn’t Southern, it’s Western», dicono là da dove viene lei, dalla parte del Pacific Northwest di cui fa parte anche la Seattle del grunge (è amica di molti musicisti della scena e ha cantato coi Soundgarden), ma dov’è anche forte la tradizione della musica bianca nordamericana per eccellenza. Il concerto è un viaggio nel suo repertorio e nelle sue passioni, le prime canzoni sono un omaggio alle radici. Gli Hanseroth completano le armonie a tre parti con una bravura quasi innaturale, lei canta in modo incredibile e si stupisce che gli italiani conoscano le parole delle sue canzoni. Riascoltate stasera in quest’ordine, sembrano quasi delineare un percorso che va dai tormenti e dalle incertezze giovanili alla gioia famigliare espressa da certi testi più recenti.
Siccome siamo un pubblico incredibile, così dice lei, Carlile decide di cambiare la scaletta in corso e di cantare e suonare coi gemelli senza alcuna amplificazione Cannonball. Si portano sul fronte del palco, quasi si sporgono verso il pubblico. «Non l’ho mai fatto prima in un posto all’aperto». La fanno in un silenzio irreale, ad accompagnarli è solo il frinire di un grillo, il boato finale è gioioso e assordante. Tutti si alzano in piedi, come del resto succede alla fine di quasi ogni canzone.
A un certo punto arrivano sul palco le SistaStrings, ovvero le sorelle Chauntee e Monique Ross, violinista e violoncellista, ma pure coriste notevoli. A parte un tastierista che si unisce occasionalmente al gruppo, non c’è nessun altro e non c’è batteria che taglia le frequenze. Il suono elettrificato più distorto è quello del violino. È una di quelle serate in cui fai pace con la musica e ti godi un concerto con altre 1500 persone suonato da gente che ha talento e che ha ci ha lavorato su, che sa stare sul palco e modulare l’espressività. Ripensi al rimbombo degli stadi, a certi carnai, alla noncuranza per la qualità della musica. Stasera il pubblico non è carne da macello.
Foto: Davide Mombelli
«È questo lo scherzo di fine tour?», chiede la cantante quando sul palco sale a sorpresa una squadretta di figli Hanseroth e Carlile. La musica di questo prodigio americano sta all’intersezione di varie tradizioni: il country, sì, ma anche il crooning anni ’50 e il rock eccentrico del suo idolo e amico Elton John e molte altre cose. Riesce in una sola canzone a farti sorridere e venire il magone. Ci riesce perché canta da dio ed è una musicista vera. Sul palco porta la sua singolarità, ma anche un aggiornamento dell’esperienza americana per l’epoca delle lotte per la parità di diritti.
Cresciuta in un contesto religioso piuttosto bigotto, disfunzionale e povero, ha infine costruito la sua famiglia allargata e alternativa. Dalla moglie Catherine Shepherd, già collaboratrice di Paul McCartney, ha avuto le figlie Evangeline ed Elijah, a cui dedica You Without Me, sulla difficoltà di conciliare vita da musicista e maternità, e soprattutto The Mother, sulla sua vita sconvolta dalla nascita della primogenita. Phil Hanseroth ha sposato la sorella della cantante, Tiffany. Le foto le scatta la moglie di Tim, Hanna Hanseroth. E durante il momento d’euforia folk senza freni di Hold Out Your Hand si ritrovano tutti sul palco, una famiglia matta e larga di cui il pubblico per qualche minuto sente di far parte.
Il manifesto di ciò è forse The Joke, un gioco di prestigio vocale, un pezzo commovente sull’emarginazione, una speranza o forse una promessa fatta durante la prima presidenza Trump che alla fine come nei film vinceranno i buoni e quindi anche un po’ l’America rappresentata in modo vivido stasera, in quest’utopia famigliare e collettiva. Carlile la canta divinamente, dice che le è venuto da ridere perché prima della nota più alta temeva d’ingoiare un insetto. E poi, per mandare tutti a casa prima dei bis, interpreta A Case of You di Joni Mitchell, che proprio lei ha aiutato a risalire sul palco dopo l’aneurisma. Dopo Unchained Melody con Audrey McGraw, la figlia di Faith Hill e Tim McGraw (presenti al Vittoriale) che ha aperto il concerto, arriva Party of One. Carlile la suona alle tastiere, poi si alza quasi volesse godersi la coda strumentale suonata dalle SistaStrings, l’ultimo arrangiamento per archi di Paul Buckmaster.
Si accendono le luci, l’impianto diffonde la musica che segnala che il concerto è finito, molti s’assembrano sotto al palco. Brandi Carlile riappare per qualche istante mentre se ne va, la gente la saluta, lei ricambia, tutti sorridono, qualcuno fotografa la Luna sul lago. Nessuno vuol andar via, tutti vorrebbero prolungare di qualche istante uno dei concerti dell’anno.
Set list:
Raise Hell
The Things I Regret
Dying Day
Broken Horses
The Story
Right on Time
Cannonball
You Without Me / The Mother
You and Me on the Rock
Who Believes in Angels?
Whatever You Do
Hold Out Your Hand
Turpentine
The Joke
A Case of You
SistaStrings Jam
Sinners, Saints and Fools
Unchained Melody (con Audrey McGraw)
Party of One
