Rolling Stone Italia

Il Concertone 2023 è stato un videogame di sopravvivenza della sinistra italiana

Cronache d’un Primo Maggio umidissimo in cui s’è assistito alla spettacolarizzazione (e al tentativo di esorcizzazione) degli esiti negativi della sinistra italiana. Fino al (quasi) finale: la bomba estalló

Foto: Roberto Panucci

Il primo Primo Maggio dell’era Meloni, rispettando le previsioni e i modi di dire, è stato lunghissimo e umidissimo. Infatti, se la Mangiatorella era l’acqua ufficiale del festival di piazza San Giovanni, quella piovana ne è stata l’ufficiosa.

Si è trattato di un Concertone come tanti altri: a volte emozionante, a volte convenzionale; spesso ridondante o didascalico, talora entrambe le cose; solo in un caso, come vedremo, sorprendente. Eppure, quest’anno, l’idea di Woodstock dei sindacalisti italiani ha avuto una marcia in più, al punto da produrre numeri da record assoluto sui social media (in particolare, su TikTok è trending topic per gran parte della giornata, con 20 milioni di visualizzazioni assolute) e ottimi comunque anche per la diretta di Rai 3 (è stata l’edizione più vista dal 2011). Ed è stato proprio grazie al temporale che ha afflitto il sagrato della basilica Lateranense per tutta la durata dello spettacolo. Le perturbazioni atmosferiche, pur avendo reso più avventuroso il lavoro dietro le quinte, hanno facilitato di non poco quello sul palco. Sia i conduttori che gli artisti, infatti, avevano a disposizione un poderoso argomento in più (a volte anche l’unico), adattabile a qualunque occasione di introduzione, siparietto o intermezzo si presentasse loro. Tra un pezzo e l’altro, tra una pubblicità di Rai 3 e una marchetta del copione, come gentiluomini inglesi, non facevano altro che commentare il tempo.

Puoi fare il concerto con il leitmotiv retorico più retorico di sempre (i diritti, declinati usando articoli della Costituzione, reali o d’invenzione, facendoli indossare agli ospiti quasi fossero abiti di scena, non sempre calzanti a pennello); puoi lasciare che sia Luciano Ligabue a dire una delle cose più di sinistra dell’intera giornata (anche al netto del folle attacco kamikaze del fisico Rovelli al ministro della difesa Crosetto); puoi far pronunciare ad Ambra – quasi per un’assurda par condicio – una dichiarazione assai ambigua sulla relatività dell’importanza delle vocali nelle forme femminili delle professioni; insomma puoi impegnarti in tutti i modi consentiti dalla legge e dalla Rai per ravvivare la scaletta; ma è impossibile da battere la potenza iconografica della pioggia che scende sui volti giovani e indefessi del pubblico, così come su quelli degli artisti e delle loro band che, sotto la pioggia – e per la regia – sembrano cantare e piangere all’unisono. Anzi: la pioggia è un espediente così vincente che bisognerebbe prendere in considerazione l’ausilio di rain machine di estrazione cinematografica, in occasioni future; se non di cannoni sparaneve.

Dire che siano stati gli spettatori a fare questo Concertone, nel 2023, è una frase meno demagogica che mai. Avvolti in improbabili ponchi fluorescenti, e probabilmente tossici; privati dei servizi igienici se non nelle estreme retrovie e, ovunque, delle inseparabili borracce isotermiche – quelle sì senza PVC, ma sequestrate ai cancelli, insieme agli ombrelli non pieghevoli, dalla sicurezza (per la cronaca: San Giovanni solo sa come e dove sono stati occultati, nel corso dei controlli, i pochi a punta rimasti sulla piazza); sottoposti a 9 ore per 50 musicisti di cui la metà esordienti o emergenti; sono state le migliaia e migliaia di ragazze e ragazzi presenti in piazza i veri eroi della giornata. Per loro il Primo Maggio 2023 è stato un videogame di sopravvivenza giocato al livello pro.

Questo per quanto riguarda la forma. A livello di contenuto il Concertone si è confermato l’opposto esatto dell’operazione culturale che ha portato avanti Nanni Moretti con il suo ultimo film, Il sol dell’avvenire, cioè la presentazione dell’allucinatorio punto di vista di una singola persona che fa coincidere il proprio fallimento esistenziale, in quanto essere fallibile, nonché mortale, con l’esito negativo della versione del Partito comunista operante nel suo Paese. In piazza San Giovanni è avvenuta invece (come ogni anno) la spettacolarizzazione della scomposizione (e del tentativo di esorcizzazione) degli esiti comunque negativi dell’intera sinistra italiana (e ben oltre la fine del comunismo), nei successi e nella vitalità di 50 persone diverse, di cui una, per dire, è costituita da Johnson Righeira.

Ma non è colpa dei conduttori o degli autori. Così come ci sono aziende too big to fail, il Concertone di piazza San Giovanni è ormai da molti anni troppo grande per essere di sinistra. Del resto, il ruolo di concerto del Primo Maggio progressista-radicale è stato ampiamente rivendicato e ottenuto da quello di Taranto, abbastanza piccolo e progressista-radicale da essere infatti interrotto per lo stesso maltempo che invece, a Roma, è stato trasformato in notevolissime opportunità oratorie e scenografiche (v. i fuorisede che si coprono a vicenda con gli ombrelli non sequestrati, più volte ricordati da Ambra).

A proposito ancora di Angiolini, ieri alla sua sesta edizione consecutiva – e tanto salda nella sua posizione di Amadeus dei sindacati confederali da far sembrare quello di Sanremo un seggio traballante – aveva principalmente tre compiti, tutti portati a termine magistralmente: 1) ricordarci quanto il suo co-conduttore Fabrizio Biggio fosse scomodo; 2) chiedere scusa a membri del Governo o a tifosi della Lazio per eventuali gaffe commesse sul palco (ma, al tempo stesso, confermando la libertà espressiva della linea editoriale); 3) sottolineare, dimenandosi dietro le quinte, gli highlight musicali della giornata (facilitando di non poco il compito ai cronisti che cercavano di rintracciarne mentre il fango si accumulava sotto le scarpe e, in certi casi, sopra i colleghi).

Fabrizio Biggio, dal canto suo, avrebbe avuto l’obiettivo di supportare Ambra nella sua triplice missione; ma, di fatto, ha solo detto cose scomode, come lo spot sulla sicurezza in auto per Anas o l’apologia dei nuovi contratti per rider di JustEat. È stato evidente lo spirito di sacrificio da parte di una persona tanto scomoda.

Ogni tanto la conduzione dello show ha subito quello che – se non fosse che la sinistra italiana, ogni anno, riparte, in generale, dal Concertone; e, in particolare, da Ambra – sarebbe potuto sembrare un glitch di centrodestra. A un tratto i conduttori hanno annunciato, dopo aver decantato la bellezza del palco: «Chi è che rende possibile tutto questo?». Uno si sarebbe aspettato: la Cgil, la Cisl, ecc.; oppure, male che vada, le Pringles. Ma Biggio è scomodo. Allora si è pensato alle maestranze. Invece, no: la sorpresa dietro l’angolo è stata un pubblico encomio della security, chiamata sul palco stesso, su cui si è così formata una chorus line di buttafuori.

La pioggia tendeva a democratizzare le differenze di rango, look e simpatia tra le tante parti visibili e invisibili di cui è fatto uno show tanto colossale. Al netto dei colori di ombrelli e ponchi, infatti, erano tutti bagnati fradici: conduttori e artisti, agenti e pr, fan di Francesco Gabbani e giornalisti nell’area stampa. A proposito: come da tradizione, nel backstage del Concertone artisti, imbucati e vari livelli di separazione tra le due categorie, tra cui soprattutto gli influencer, hanno sperimentato i nuovi look della stagione. Quest’anno, che va di moda il montanaro urbano, è stato commovente vedere come gli scarponcini Salomon in Gore-Tex, indossati sotto le minigonne o gli skinny jeans, finalmente abbiano conosciuto una loro parziale ragion d’essere.

L’altra faccia della medaglia è che alcune delle esibizioni minori hanno finito per rassomigliarsi molto, sotto l’acqua: alcuni guizzi di creatività erano ammortizzati dalle gocce che non hanno mai cessato di cadere. Giacché non era sempre possibile riconoscersi al volo nel backstage ciò si traduceva, sorprendentemente, in una maggior gentilezza media col prossimo. Erano così ripristinati alcuni usi e costumi di epoche d’oro della musica dal vivo: ad esempio, chiedere scusa in caso di riversamenti di vino rosso nello zaino da alpinismo altrui.

In attesa di salire sul palco, prima di un’intervista, gli artisti si scaldavano come potevano. Alcuni di essi, di particolare rilievo (con almeno tre pezzi in scaletta), venivano collocati in presepi di fortuna, con manager e ufficio stampa che gli alitavano addosso da due lati, alla bue e asinello; mentre tecnici e giornalisti, come re Magi, gli portavano in dono microfoni, fumo passivo e birra.

Tra gli highlight performativi sottolineati dalle reazioni di Ambra non si può non citare, in questo caso senza retorica, l’energia trasmessa da Emma Marrone, e non solo mentre canta ma anche mentre legge Virginia Woolf; o l’esibizione di Tananai, che conferma il raggiungimento del terzo stadio evolutivo del Pokémon di Cologno Monzese: da debuttante stonato, a sensibile che si applica, a gif vivente. Il pubblico è andato in cuteness overload quando, al termine dell’esecuzione di Tango, Alberto Cotta Ramusino ha espresso tenera soddisfazione per la reazione del pubblico, diventano uno dei meme istantanei del giorno. Piero Pelù che ostenta sulla maglietta la sindone punk di Mattarella, evidenziando così una componente rock del Presidente della Repubblica, è forse meno originale della semplice ma determinata soavità espressiva di una Ginevra.

Per fortuna il Concertone 2023 si è rivalutato interamente grazie al penultimo artista ad apparire sul palco: quella di Stefano Righi, noto anche come Aspro Marinetti, ma soprattutto come Johnson Righeira. Senza di lui questo Primo Maggio sarebbe stato un Sanremo a scoppio ritardato senza classifica; o un ultimo soundcheck per stabilire se i singoli invernali funzionassero ancora. E solo un nostalgico degli anni ’80 particolarmente presbite avrebbe potuto ravvedere, nella sua uscita, un semplice momento di divertentismo nel contesto di una scaletta demoralizzante.

È stato come se tutto ciò che era avvenuto nel corso di un’interminabile giornata campale – bestemmioni inclusi – ci avesse voluto in qualche modo preparare a questa performance monorigheira. Eppure, proprio come i romani con la pioggia, ci siamo comunque fatti cogliere impreparati.

Il Righeira, celebre antropologo dell’estate, com’è noto ha una visione ciclica del tempo: Vamos a la playa e poi L’estate sta finendo. Ieri, in esclusiva per il Concertone, li ha invertiti di ordine. Boom!

Proprio il momento più trash della giornata (che aveva ispirato pesanti accuse di incoerenza in molti dei destinatari del WhatsApp riservato che lo posizionava in un momento così enfatico della scaletta, poco prima di Rocco Hunt), non solo è stato uno dei momenti più coerenti con una possibile auto-rappresentazione della sinistra attuale (Johnson ha brandito una bandiera antifascista, sventolandola solo per essere subito occultata dalla regia televisiva). Ma ha finito per essere anche quello più sensibile rispetto ai destini dell’umanità tutta. Infatti il testo di Vamos a la playa non contiene solo un invito, parecchio reiterato, a recarsi in spiaggia, magari al momento ritenuto da ciascuno più opportuno.

Quello che potrebbe essere il meno compreso testo musicale di sempre, riletto più attentamente (o letto per la prima volta) anche grazie all’inversione cronologica operata ieri da Johnson, in realtà contiene un messaggio post-apocalittico straordinario, perfettamente in tema con la fine non solo della bella stagione, ma di tutte le stagioni, e dunque con la temperie politica globale; in grado di gettare, una volta di più, un’ombra sospetta su chiunque l’abbia ballata spensieratamente, e un faro di luce sulla potenza lirica dei Righeira: “Vamos a la playa / La bomba estalló / Las radiaciones tostan / Y matizan de azul” (“Andiamo in spiaggia / La bomba è esplosa / Le radiazioni bruciano / e tingono di blu”). Sipario.

Iscriviti