C’è un’atmosfera decisamente americana prima dell’inizio del concerto di Olivia Rodrigo a Milano. Come ogni popstar che si rispetti, infatti, anche al suo lo spazio si riempe di ragazze e ragazzi (più le prime) che ne emulano il look. Scendere alla metro Lotto e ritrovarsi magicamente dentro il liceo di Mean Girls: top colorati, gonne di paillettes, qualche cappello da cowboy in stile ranch di Voghera. Tutto rigorosamente viola come le copertine dei suoi dischi. E poi lyrics delle sue canzoni sulle t-shirt (menzione speciale al padre che indossava “perfect all-american bitch”), eccetera eccetera. Un mood da Regina George ma con sentimenti, rilassato, quello che solitamente anticipa una tempesta (in questo caso anche ormonale) e interrotto solo dall’arrivo di un sacco di tiktoker, che entrano nell’area guest dell’Ippodromo San Siro tra le urla di teenager in cerca di selfie. Le gemelle davanti a noi, con cui presto facciamo amicizia, riconoscono tutti: «Lei ha fatto Il collegio», ma non si scaldano più di tanto. Loro sono qui per Olivia.
Non dovranno aspettare molto, visto che Olivia Rodrigo, 22 anni from California, sale sul palco intorno alle 21.20, per la sua unica data italiana di quest’anno, e dopo che i suoi primi e per ora unici due dischi l’hanno catapultata nei piani altissimi dello stardom mondiale. Dalla spinta iniziale di Taylor Swift, passando per Kim Kardashian che quando molla Kanye pubblica nelle stories di Instagram il brano Drivers License, inno di ogni fine di relazione che si rispetti, in pochi anni Rodrigo ha imposto la sua musica e la sua faccia nelle classifiche di tutto il mondo.
Foto: Giuseppe Craca
Il concerto inizia con la band sulle note di Obsessed e Ballad of a Homeschooled Girl, due brani in stile pop-punk da inizio millennio, perfetto per un liceo a stelle e strisce. E confermiamo l’impressione che abbiamo avuto all’inizio: sembra proprio di stare dentro la colonna sonora di un film con Lindsay Lohan. Olivia è stata forse tra le prime a riappropriarsi in maniera così prepotente di quel sound, fatto di melodie pop, chitarre rock e anni 2000. Tutte le sue canzoni potrebbero essere ambientate tra corridoi tempestati di armadietti metallici, al ballo in cui si elegge la reginetta, sui vialetti delle ville di Los Angeles. Nel suo set di un’ora e mezza alterna i due mood: quello che vi abbiamo appena descritto e l’altro, quello delle ballad al pianoforte. Il tutto per raccontare l’amore secondo la Gen Z, le storie degli ex, i traumi post rottura. Ma anche la rabbia, la ribellione, il malessere urlato solo come una ragazza di vent’anni può fare.
Neanche a dirlo, le fan seguono in un unico movimento Regina Rodrigo: pugni arrabbiati sul letto alternati a pianti (veri, basta guardarsi intorno per vedere fiumi di lacrime) e autoironia. Lei è bravissima, sicura, è in tour da due anni e questa per lei ormai è routine. La band picchia quando deve picchiare e sparisce quando lei rimane sola, nei momenti più intimi. Viene sempre da pensare come possano queste ragazze giovanissime diventare dall’oggi al domani così grandi, potenti e influenti da rimanere sane di mente. Lei, qualche giorno fa, è tornata nei titoli dei giornali perché pare paghi a tutta la sua troupe uno psicologo. C’è qualcosa di più Gen Z di così?
Nel concerto tutte le sue hit: Traitor, Bad Idea Right?, Jealousy Jeaolusy, Deja Vu (la preferita delle gemelle), il tutto sempre in questa alternanza di up and down che rende il concerto estremamente ritmato. Il ritorno di quel pop-punk, dicevamo, ma con un’anima diversa, decisamente più femminista, ribelle, perché «ok, sto male, ma poi mi dimentico e vado avanti anche senza di te».
Foto: Giuseppe Craca
In un mondo di fidanzate di Temptation Island, che alla fine tornano quasi sempre con quei tossiconi dei loro fidanzati, qui i falò di confronto sono una cosa seria: le ragazze hanno il controllo. Anche se la maggior parte di loro è ancora ben lontana, anagraficamente, da potersi permettere anche solo il foglio rosa, figuriamoci una drivers license.
