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I Foo Fighters hanno reso omaggio (due volte) a Taylor Hawkins: e adesso?

Si è tenuto a Los Angeles il secondo concertone per il batterista. Noi c’eravamo. Ecco alcune riflessioni su un mega show capeggiato da Dave Grohl che pone interrogativi sul futuro della band

Foto: Javier Torres/AFP via Getty Images

Premesso che il Forum di Inglewood ha una capienza di quasi 20 mila persone, la differenza sostanziale tra il secondo concerto-tributo a Taylor Hawkins e la prima serata londinese, di meno di un mese fa, è l’atmosfera più raccolta venutasi a creare a Los Angeles, anzi, diremmo quasi più intima. Da una parte abbiamo l’enormità dello stadio di Wembley, che ci fa subito correre con la mente a Live Aid o al Freddie Mercury Tribute, dall’altra un palco più piccolo, fin troppo per la quantità di ospiti presenti, che fa assomigliare questo concerto a una delle tante jam tra star del rock e del pop che in questa città sono all’ordine del giorno. Anche perché l’evento londinese è stato trasmesso gratuitamente in diretta streaming, quello californiano è invece rivolto ai soli spettatori presenti (i filmati ufficiali potrebbero essere resi disponibili più avanti).

I Foo Fighters a Los Angeles giocano in casa, avendo le radici proprio nella metropoli californiana, e Taylor Hawkins era cresciuto a Laguna Beach, non troppo distante da qui. In effetti, a scorrere la lista dei nomi in cartellone, si avverte il carattere local della serata, una sorta di rimpatriata tra amici, anche se gli amici (e amiche) in questo caso si chiamano Josh Homme, Pink, Miley Cyrus, Tommy Lee, Jack Black e Joe Walsh.

Abbiamo dunque provato a raccogliere un po’ di idee dopo sei ore di show cominciato alle 7 di sera spaccate e finito esattamente nel momento in cui le lancette dell’orologio segnavano l’una di notte, non un minuto più, non uno meno.

Donne che sostituiscono gli uomini

Ci sentiremmo quasi di dire che le donne sono state le protagoniste di questo tributo. Tocca infatti a Violet Grohl, sedicenne figlia di Dave, salire per prima sul palco per una toccante versione di Hallelujah di Leonard Cohen. E da lì in poi sarà la volta di Joan Jett, Nancy Wilson delle Heart e soprattutto la grande assente di Londra, Alanis Morrissette, nella cui live band Taylor Hawkins aveva fatto il debutto sulla scena internazionale. Alanis esegue un solo brano, la mega-hit You Oughta Know e lascia il palco mentre gli schermi proiettano una sua foto insieme a un giovane Taylor. Musicalmente, la parte del leone la fanno però la scatenata Pink (che canta con i Queen), Miley Cyrus (con i Def Leppard) e soprattutto Taylor Momsen dei Pretty Reckless, che rende giustizia a The Day I Tried to Live e Black Hole Sun dei Soundgarden insieme a Matt Cameron e Kim Thayil degli stessi Soundgarden e Krist Novoselic dei Nirvana (scusate se è poco). Chiamare delle donne a interpretare brani originariamente cantati da uomini vocalmente molto dotati (vedi Freddie Mercury e Chris Cornell) è un vecchio escamotage che continua a funzionare. Qui però non si tratta soltanto di tonalità alte. Qui c’è del talento vero.

L’importanza delle jam

I Foo Fighters sono una band che di jam se ne intende. Nel corso della carriera ne hanno fatte parecchie. Figurarsi in un’occasione come questa. «È come se ci fosse una porta girevole che viene attraversata da tutti i nostri eroi», dice Grohl a proposito del viavai di star che c’è sul palco. Nemmeno si ha il tempo per andare in bagno che qualche leggenda del rock viene annunciata. Ci sono artisti giovanissimi come Derek Day dei Classless Act e anziani come Brian May e Joe Walsh (quest’ultimo ha appena riformato i James Gang, la sua band pre-Eagles di cui Hawkins era un grande estimatore) che fanno la loro porca figura. La compagine heavy metal viene degnamente rappresentata da Lars Ulrich e Geezer Butler. Insomma, non ci sono limiti, a riprova del fatto che che il rock è la musica più trasversale di sempre. A un certo punto sale sul palco anche il famoso stand-up comedian Dave Chappelle, sornione e con la sigaretta accesa in bocca, che canta un’esilarante versione di Creep dei Radiohead, facendone suo il ritornello: “I’m a creep, I’m a weirdo / What the hell am I doing here? / I don’t belong here”. Mentre Chappelle lascia il palco, l’altro Dave se la ride: «Non ve l’aspettavate, vero?».

Il paradiso dei batteristi

Per forza di cose, sono tantissimi i batteristi che, nel corso della serata, salgono sul palco del Forum. A ben guardare, questa sera è presente la crème de la crème del batterismo mondiale in campo rock: ci sono i turnisti di lusso come Josh Freese e Omar Hakim, i virtuosi come Danny Carey dei Tool (che infatti viene messo a suonare con Geddy Lee e Alex Lifeson dei Rush), maestri del groove come Jon Theodore dei Queens of the Stone Age e tantissime star: Stewart Copeland (Police), Lars Ulrich (Metallica), Tommy Lee (Mötley Crüe), Matt Cameron (Soundgarden), Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), Travis Barker (Blink-182), Brad Wilk (Rage Against the Machine). Ognuno ci mette del suo, sia quando si tratta di suonare brani delle proprie band di appartenenza (come Next to You e Every Little Thing She Does Is Magic per Copeland), sia quando arriva il momento di dare la propria impronta ai pezzi degli altri (Cameron è mostruoso ogni volta che impugna le bacchette, come sulla serratissima Low dei Foo Fighters, che ricorda un po’ la “sua” Jesus Christ Pose). C’è anche Rufus Taylor, figlio di Roger dei Queen, che da qualche tempo si dice sia uno dei possibili candidati a sostituire Hawkins nel caso i Foos decidessero di continuare.

In effetti, a parte l’omonimia e una certa somiglianza fisica (un dettaglio curioso ma anche un po’ imbarazzante a dire il vero), il rampollo di casa Queen (attualmente in forza ai Darkness) se la cava piuttosto bene. Lui è uno dei batteristi che Grohl e compagni hanno infatti scelto per l’atto finale, quando sparano una raffica dei loro brani più celebri, ognuno con un drummer diverso. È l’occasione giusta per capire se i Foo Fighters senza Taylor Hawkins hanno ancora senso. Perché soltanto pochi mesi fa non avremmo potuto immaginare nessuno dietro quelle pelli, se non lo stesso Dave Grohl.

Morale della favola? È tutto molto bello, ma nessuno dei batteristi che osserviamo riesce a rendere completamente naturale la simbiosi. Quasi nessuno, in realtà. Perché il batterista che ci riesce meglio fa anche lui Hawkins di cognome. Si tratta infatti di Shane, figlio sedicenne di Taylor, che sulle note di My Hero e I’ll Stick Around si rende protagonista di una prova che lascia senza parole. Lo avevamo già visto nei video di Londra, diventati non a caso virali, ma dal vivo fa tutto un altro effetto: fin dalle prime battute pesta sui tamburi con una potenza, una precisione e una passione che di solito un ragazzo di quell’età non ha. E in qualche modo riesce ad evocare lo spirito del padre. Che sia l’inizio di qualcosa di più grande?

Supergrohl

I concerti di Londra e di Los Angeles costituiscono probabilmente il più imponente tributo a un musicista scomparso da quello organizzato in onore di Freddie Mercury nel 1992. Lì però si trattava del frontman di una delle più grandi band della storia del rock, di un personaggio unico e leggendario. Immaginare un trattamento del genere nei confronti di un batterista, anche di una band molto famosa, sarebbe stato improbabile all’epoca. Hawkins era talentuosissimo e molto amato (lo testimonia l’ondata di cordoglio che ha investito il mondo della musica all’indomani della sua scomparsa), nonché fondamentale nel suo dualismo con Dave e negli equilibri interni al gruppo, ma pur sempre un batterista, ovvero un musicista che se ne sta nelle retrovie per definizione. Il punto è questo: il tributo a Taylor Hawkins è stato (indirettamente ma non troppo) anche un tributo a Dave Grohl. Al talento di Dave Grohl. Alla potenza mediatica di Dave Grohl. Nessuno, come lui, ha incarnato in questi anni l’immagine della rockstar che piace a tutti e con cui tutti vogliono collaborare. In effetti, nel corso della sua carriera Grohl ha collezionato collaborazioni di lusso come noi da ragazzini collezionavamo figurine. E non stupisce che oggi, per ricordare il suo amico, possa permettersi di chiamare chiunque gli venga in mente sentendosi sempre (o quasi) rispondere di sì.

Come a Londra, anche sul palco di Los Angeles Dave Grohl c’è sempre, ed è il protagonista assoluto: introduce gli ospiti, racconta aneddoti legati a Taylor, si diverte e si commuove. Naturalmente suona la chitarra e canta con i Foo Fighters, ma spesso e volentieri suona soltanto la chitarra (anche quando di chitarre sul palco ce ne sono già troppe) o addirittura il basso (come con Wolfgang Van Halen). E non si risparmia nemmeno come batterista: lo vediamo infatti svariate volte sedersi dietro le pelli, ma in particolare con i Them Crooked Vultures (la superband formata insieme a John Paul Jones dei Led Zeppelin e Josh Homme dei Queens of the Stone Age, riformatasi per l’occasione), i James Gang e i Rush (anche se con loro suona poco, cedendo poi le bacchette a Chad Smith e Danny Carey), questi ultimi introdotti da Jack Black. Se ne sta in disparte solo quando Brian May si mette al centro del palco e dedica a Taylor Love of My Life. A fine concerto Dave è grondante di sudore, ha la maglia strappata all’altezza dell’ascella (non si è mai cambiato nel corso della serata) ed è ancora visibilmente commosso. Tutto si può dire di lui tranne che non sia un tipo genuino. Uno che nel rock ci crede veramente. Come non volergli bene.

Il futuro dei Foo Fighters

Dopo la morte di Taylor Hawkins, in molti hanno pensato a una fine prematura dei Foo Fighters. Troppo importante il suo ruolo all’interno della band e troppo intenso il suo rapporto con Dave. Il fatto stesso che quest’ultimo avesse già dovuto affrontare un lutto che quasi rischiava di porre fine alla sua carriera non lasciava certo molte speranze sul fatto che, molti anni dopo, avrebbe ancora una volta trovato la forza di andare avanti. L’annuncio dei concerti-tributo, invece, queste speranze le ha riaccese e oggi possiamo certificare un fatto incontrovertibile: i Foo Fighters sono ancora al top della forma. Il set con cui concludono le sei ore di concerto di Los Angeles è memorabile e non lascia certo presagire una fine prematura. Sembra, piuttosto, l’inizio di una nuova era. E le parole di Chris Shiflett, che qualche giorno fa ha dichiarato di aspettarsi un nuovo album della band, non fanno che rafforzare questa tesi.

Congedandosi dal pubblico, Dave Grohl ringrazia i presenti e dice che il fatto che una sola persona unisca così tanta gente lo riempie di gioia. E conclude con un «we love you, Taylor» mentre gli amplificatori ancora vibrano. Un’eredità musicale del genere non può andare sprecata.

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