CCCP, la recensione del concerto al Carroponte | Rolling Stone Italia
Sesto rossa e paranoica

I CCCP nell’ex Stalingrado d’Italia, una seduta psichiatrica coatta

L’orizzonte è sempre inquieto, il teatro brutalista e grottesco di Ferretti, Zamboni, Fatur e Annarella ha senso anche nel 2024. L’hanno dimostrato ieri sera al Carroponte. Ora vogliamo un piano quinquennale e musica a un volume più alto

I CCCP nell’ex Stalingrado d’Italia, una seduta psichiatrica coatta

Annarella e Ferretti coi CCCP al Carroponte

Foto: Starfooker

Avevano annunciato la fine della loro storia («per mancanza d’aria») il giorno della scomparsa di Giancarlo Pajetta, partigiano, comunista e deputato. Uno che aveva avuto il coraggio di andare a Mosca nel 1980 per comunicare al congresso del PCUS il disagio del Partito Comunista Italiano per la politica di Breznev in Polonia e Afghanistan. Sono tornati con i postfascisti al governo in Italia, l’Unione Sovietica che non c’è più e l’Ucraina che deve difendersi dall’aggressione di Mosca. «Non possiamo rifare i CCCP perché sarebbe ridicolo», aveva detto un anno fa Giovanni Lindo Ferretti presentando la mostra da cui tutto è ripartito. «Qualcuno continua a fare rock’n’roll a una certa età, ma non è da noi. Non c’è una reunion perché non c’è una band».

Avevano escluso la possibilità di fare concerti e invece ieri sera erano qui, al Carroponte di Sesto San Giovanni, a pochi chilometri da Milano, all’inizio di un tour italiano di una quindicina di date. Sono sempre stati un gruppo di contraddizioni, i CCCP Fedeli alla linea, impossibile da interpretare in maniera univoca. E il non sentirsi obbligati a essere coerenti (altro che fedeli alla linea) ha sempre fatto parte del loro fascino. Coerente è esibirsi nell’ex Stalingrado d’Italia, nell’area di un’ex fabbrica della Breda, ex colosso della siderurgia. Coerente per chi voleva stare «dalla parte del mondo dell’acciaio e del cemento dell’Unione Sovietica contro quello di plastica e paillettes dell’America».

Ieri sera i CCCP erano qui, in carne (di Fatur) e ossa (di Ferretti). Con la chitarra di Massimo Zamboni e i mille cambi d’abito di Annarella, «un corpo femminile che si veste per il piacere di vestire se stessa», come ha detto di recente lo stesso GLF. Ed è bellissima, aggiungiamo noi ai commenti sentiti tra il pubblico. Ecco, il pubblico. Tanti, tantissimi quelli che non possono mai averli visti prima, per il semplice motivo che nel 1990 che segnò lo scioglimento non erano ancora nati. Ci sono, ovviamente, i coetanei della band, ma non sono una maggioranza bulgara (pardon) come ci si sarebbe potuto aspettare. Ci sono perfino dei bambini, qualche cresta, anche un ragazzo vestito da Vopo, come sulla copertina di Ortodossia, il primo 45 giri. E fuori dal Carroponte, a concerto finito, pure un paio di padri con lo sguardo preoccupato, quelli che vanno a prendere le figlie non ancora patentate e che non assoceresti mai a un concerto dei CCCP.

Molti Clash e Sex Pistols (a basso volume, a proposito di contraddizioni) nella musica pre-concerto, e poi arriva Depressione caspica, arrivano loro. Ferretti, mani in tasca, è in totale controllo della situazione, subito signore e padrone del palco. Si muove il meno possibile, come anche Zamboni, del resto, che con le sue corde taglia a fette tutta la scaletta. Fatur è un burattino grottesco e amabile e Annarella è Annarella, la benemerita soubrette. L’aspetto teatrale è quello che risalta maggiormente riguardo al live che il gruppo ha deciso di proporre. Coerentemente con la propria storia e a quarant’anni e pochi giorni di distanza dalla prima esibizione live di questa formazione dei CCCP, in una sorta di spettacolo teatrale tutto loro. Era il 4 maggio 1984, e in un locale di Reggio Emilia venne organizzato il Černenko Party, per festeggiare l’elezione di Konstantin Černenko a nuovo segretario del PCUS. La principale attrazione della serata, almeno sulla carta, era Maurizio Ferrini con il suo recital Stazione orbitale rasoterra. Altro che signora Coriandoli.

Foto: Kimberley Ross

Un cartello con scritto “Tutti esauriti”, una bandiera del PCI, gli accrocchi di legno di Fatur, ieri sera con poche ed efficaci trovate sceniche i CCCP ci hanno trasportati dentro un teatro brutalista in cui ciascuno può dare la propria interpretazione di quello che vede. Il loro live, ha detto tempo fa Massimo Zamboni, «era una seduta psichiatrica coatta: il pubblico subiva la terapia liberatoria che noi praticavamo». È ancora così. E come in uno spettacolo teatrale (o in una seduta psichiatrica) non ci sono i dialoghi con il pubblico e i «grazie, siete bellissimi».

La band è decisamente in palla, nelle retrovie sul palco ma in prima fila nei suoni punk-wave che escono dalle casse. Giusto citare tutti (l’ha fatto anche Annarella ai titoli di coda): Luca Rossi (basso), Simone Filippi (chitarra), Ezio Bonicelli (violino), Simone Beneventi (percussioni) e Gabriele Genta (percussioni). L’atmosfera delle date a Berlino è irripetibile, ma chi all’Astra Kulturhaus c’era giura che a Sesto tutto suonava molto meglio. «E non c’era Scanzi», scherza qualcuno, che poi torna serio e dice i CCCP “italiani” sono molto più intensi. Azzardando una metafora sessuale, Berlino è stata la prima volta di due persone che si sono amate tanto tempo fa e poi ritrovate dopo una lunga separazione. C’erano emozione e amore, ma a Sesto il sesso è stato molto più soddisfacente, per tutti. Per i CCCP tra loro e anche tra loro e il pubblico.

Non c’è quasi niente della liturgia rock, se non il pogo che parte appena si alzano i ritmi. Ferretti è concentratissimo e magnetico. Urla quando serve. Profondissimo, invece, quando il sentimento si prende tutto. Balla con Annarella su Oh! Battagliero e da solo su Punk Islam. Dal pubblico parte il coro «Palestina libera», proprio prima di Guerra e pace. Ci sono un disturbante monologo di Fatur e la cover in italiano di Bang Bang che introduce Spara Jurij. Ferretti parla una volta sola, e cita il primo album del gruppo per celebrare «il conseguimento della maggiore eta del MiAmi», il festival che ospita il concerto e che compie appunto 18 anni. «Quando il festival è iniziato noi non c’eravamo. Diciotto anni fa pensavamo di morire lì per lì». E poi parte Mi ami?.

Foto: Kimberley Ross

Istantanee da un concerto emozionante, come la versione acustica di Annarella, con Zamboni a citare l’Hallelujah di Leonard Cohen, o almeno così ci è sembrato. Lo stesso Zamboni che prende il microfono per Kebabträume, mentre Annarella balla in una disco immaginaria sulle note di un synth pop anni ’80 che sembra una hit proveniente da un universo parallelo. «Grazie Milano» lo dice solo Fatur al termine di Vota Fatur, un appello che chiunque tra il pubblico è pronto a raccogliere. Si chiude con Amandoti, solo un violino e tutti sul palco.

Al Carroponte c’è stata tanta, tantissima energia. Come doveva essere negli anni ’80 e come non era scontato che fosse nel 2024. Non sembravano quattro che si sono ritrovati. Sembravano proprio quelli che alcuni ricordano e gli altri hanno visto su YouTube. Niente abbracci e pacche sulle spalle. Solo quella cosa chiamata CCCP che, incoerentemente (e quindi coerentemente), è tornata a esistere. Più che una reunion sembra una resurrezione.