La recensione del concerto dei 1975 a Milano | Rolling Stone Italia
Still… At Their Very Best

I 1975 hanno portato al Forum di Milano il loro romanzo borghese

Ieri abbiamo avuto la conferma: ci troviamo di fronte a un grande gruppo (pop)rock. La band capitanata da Matty Healy (ultimo esemplare di etero dannato) è diventata adulta, sposando un suono più pulito (di scuola yacht rock) e abbracciando temi più universali. Controversie? Nessuna

I 1975 hanno portato al Forum di Milano il loro romanzo borghese

I 1975 al Forum di Milano

Foto: Jordan Hughes

L’interno di una villetta a due piani. Potrebbe essere la casa di una famiglia borghese in un qualche sobborgo americano negli anni ’70. Ci sono le librerie, gli scacchi, il televisore col tubo catodico. Arriva una macchina, vediamo i fari tagliare il buio attraverso le finestre. Si sentono dei passi, l’auto lampeggia quando viene chiusa con il telecomando e la porta d’ingresso si apre. Ad entrare nella casa sono i 1975 in formazione allargata (i quattro fondatori Matthew “Matty” Healy, Adam Hann, George Daniel e Ross MacDonald più cinque turnisti). I musicisti disposti su due livelli raggiungono le loro posizioni accendendo varie abat jour e la memoria torna a quel segmento di Stop Making Sense in cui i Talking Heads eseguono This Must Be The Place (Naive Melody) utilizzando proprio l’escamotage delle luci e dell’ambientazione casalinga. I 1975 entrano così in una nuova era, quella del romanzo borghese.

Dimenticatevi il gruppo che è stato bandito da Kuala Lumpur, il frontman che mangia carne cruda sul palco o limona tutti, le controversie legate al politicamente corretto. Ieri sera a Milano i 1975, e in particolare Matty Healy (molto spesso, in fondo, è stato lui a trascinare la band in queste acque) non hanno tentato nessuna scorciatoia per finire sulle prime pagine dei giornali di oggi. Certo Healy ha esordito in scena accendendosi una sigaretta al pianoforte, sorseggiando un superalcolico, ma la posa da dannato che lo contraddistingue è stata diluita dalla musica, posta al centro dell’evento e liberata totalmente da ogni possibile atteggiamento vagamente compromettente. Per una volta i 1975 sono sembrati davvero maturi (parliamo comunque di una band di over 30), intenti a lasciare un segno nel pubblico senza astute trovate da far rimbalzare su X o Tik Tok la stessa sera. In fondo Healy ce lo aveva detto un anno e mezzo fa quando avevamo parlato dell’ultimo disco della band Being Funny in a Foreing Language: «Nichilismo e dipendenze sono cool quando hai 20 anni, poi cresci. In questo punto della vita dove sono ora si è un po’ più universali».

Una band matura, dal linguaggio universale. Questa è l’impressione che si ascoltando le 22 tracce – estratte principalmente da Being Funny in a Foreing Language e da A Brief Inquiry into Online Relationships – per poco più di due ore di concerto tirato, senza momenti morti o trucchi per ingannare il tempo. Un set solido, ben studiato nei dettagli scenografici e narrativi che, nonostante dosati al minimo, inquadrano il concerto in un universo estetico che ben indica la direzione scelta dalla band.

I 1975 per questo tour abbandonano ogni velleità sperimentale; in scaletta non appaiono i brani più interessanti ed elettronici (a loro modo quelli più British) del progetto come I Like America & America Like Me, Yeah I Know o Frail State Of Mind, a cui vengono preferite canzoni come If You’re Too Shy (Let Me Know) o It’s Not Living (If It’s Not With You) che tracciano la nuova identità del progetto: gli inglesissimi 1975 sono diventati una pop-rock band americana di fine anni ’70, qualcosa che sta tra lo yatch rock e l’AOR.

Foto: Jordan Hughes

Non è quindi difficile immaginare che in quella villetta dove la band si sta esibendo la collezione dei dischi sia composta da album di Christopher Cross (a cui la band deve il sample di Bagsy Not In Net da Notes On A Conditional Form del 2020), Hall & Oates, Steely Dan, giusto per indicare alcuni dei nomi che possono tornare in mente all’ascolto di brani come Looking For Somebody (To Love), Happiness e Oh Caroline che aprono lo show tra sostenuti ritmi funky, melodie semplici e cantabili e languidi sax. Bianchissimi nell’approccio, ma con una matrice black; dei Vampire Weekend semplificati, spudoratamente pop, sempre e comunque borghesissimi. In tutto questo Healy accetta il ruolo di ultimo baluardo della rockstar etero, il musicista strappamutandine che fa impazzire il suo pubblico e in particolare le donne (che in sala si aggirano sull’80% dei presenti a sentire le grida e i cori che accompagnano quasi tutte le tracce del live), mettendo in mostra tutto il parco di mossette e pose da intellettuale maledetto.

Il live avrebbe in sé anche il rischio di scadere nell’anacronismo, ma la capacità della band di non perdersi nell’effetto nostalgia di un tempo che fu passa attraverso l’estetica portata sul palco e, soprattutto, passa attraverso i testi di Healy che ironizzando sul contemporaneo conferiscono al progetto un tocco edgy che ben attecchisce in quell’ampia fascia demografica che si muove tra Millennial e Gen Z a cui la band si rivolge. Frasi come “Know some vaccinista tote bag chic baristas / sitting in east on their communista keisters / writing about their ejaculations” (“conosco alcune bariste vaccinate con delle tote chic / sedute sulle proprie chiappe comuniste / a scrivere delle proprie eiaculazioni”) da Part of the Band o “Danny says we’re living in a simulation / but he works in a petrol station” (“Danny dice che stiamo vivendo in una simulazione / ma lavora in un benzinaio”) da It’s Not Living (If It’s Not With You) o ancora “I like socks with sandals / she’s morе into scented candles / Oh, I’ll nеver get that smell out of my bag” (“Mi piacciono i sandali indossati con le calze / lei è più interessata dalle candele profumate / oh, quell’odore non se ne andrà mai più via dalla mia borsa”) da When We Are Together, creano un ponte, un continuum temporale che riportano le reference sonore nel contemporaneo lasciando una patina sempre e comunque cool – una sorta di marchio di fabbrica 1975 – sulla band.

Il pubblico balla, salta – su It’s Not Living (If It’s Not With You) quasi si raggiunge l’effetto piccola scossa di terremoto a la Travis Scott – si emoziona. Tutto funziona: i 1975 suonano benissimo, Healy non sbaglia una nota e in tutto il concerto non accade nemmeno un mezzo problema tecnico. Un live intimo, come la dimensione casa vorrebbe evidenziare, ma da grande (pop)rock band. I 1975 sono diventati grandi e forse è per questo che dopo questo tour – titolato ironicamente The 1975 Still… At Their Very Best (i 1975 ancora al loro meglio) – entreranno in una già annunciata pausa di riflessione a tempo indeterminato. Il cerchio è chiuso.

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