Gli Who a Firenze, il nostro report del concerto - Rolling Stone Italia
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Gli Who sono ancora la miglior live band rock del mondo

Ieri sera Townshend e Daltrey, a quasi ottant'anni, hanno dato il meglio di loro stessi sul palco del Firenze Rocks con un lungo show con orchestra. Non è stato un ritrovo di vecchi nostalgici, ma un'occasione per i più giovani di vivere un pezzo di storia della musica

Gli Who sono ancora la miglior live band rock del mondo

Gli Who live a Firenze Rocks

Foto: Elena Di Vincenzo

Pensavano di morire prima di diventare vecchi Pete Townshend, 78 anni, e Roger Daltrey, una primavera di più. Invece sono riusciti persino a fare un tour accompagnati da un’orchestra. Se sono almeno trent’anni che la strofa sprezzante di My Generation viene utilizzata ironicamente in quasi tutti gli articoli a tema Who, oggi la sensazione è più quella di una boutade scaramantica, dove forse i soli a non toccarsi durante le continue esecuzioni del pezzo erano Keith Moon e John Entwistle. Che sia per quello o meno, resta il fatto che oggi probabilmente nessuno dei sopravvissuti a quell’epoca storica sia in forma quanto loro, Rolling Stones compresi.

E dire che lo show di ieri al Firenze Rocks era stato preceduto da una performance sì impeccabile di Tom Morello e della sua band, ma che aveva lasciato decisamente attoniti i più per la scelta di inserire in una scaletta per forza di cose risicata, un pezzo come The Gossip dei Maneskin. Senza entrare nelle sterili polemiche che hanno accompagnato la collaborazione, infatti, è apparso quantomeno straniante il fatto di togliere spazio a qualche perla del suo repertorio e dar spazio a un pezzo del genere. Viene da pensare che fuori dai nostri confini la band italiana venga percepita davvero ancora come la best new thing del panorama. Per il resto, poco da dire a un musicista che decide di entrare sul palco sulle note di Bella Ciao e di uscire su quelle di Power To The People di John Lennon.

Basta dare un’occhiata alla setlist degli Who per comprendere che lo show che ci aspetta sarà lungo e, va da sé, pieno di hit. A differenza dell’ultima volta, quella che ne celebrava il cinquantesimo anniversario, per questa occasione le scelte appaiono meno “prevedibili”, o comunque per quanto possibile più finalizzate all’esecuzione con l’orchestra. Non è un caso dunque che l’apertura venga lasciata ala magniloquente Overture di Tommy, il disco che, insieme a Quadrophenia, farà da padrone nel corso delle due ore successive. Il connubio tra rock e musica colta, per quanto affascinante, non sempre è stato in grado di emozionare e il disco con l’orchestra, negli ultimi decenni, aveva finito per assumere il ruolo di precursore della morte artistica di un gruppo. Non è difficile immaginare artisti di livello ritrovarsi dopo qualche anno e dire: “Ok, il greatest hits con i pezzi risuonati l’abbiamo fare, il disco di cover pure, ci manca solo l’orchestra”. Qui invece, complice anche la struttura di molti dei brani del gruppo, le due filosofie si fondono alla perfezione, fino a dare spesso l’impressione di trovarsi a vedere un film di fantascienza musicato dagli Who.

Foto: Elena Di Vincenzo

E per i pezzi meno adatti che si fa, lì escludiamo? Assolutamente no, ci prendiamo mezz’ora sul palco senza gli altri musicisti e vi facciamo sentire cosa sono ancora gli Who senza tanti orpelli. In questo senso, la scelta di dividere in tre atti lo show è forse il capolavoro, soprattutto grazie a una versione di rara intensità di Behind Blue Eyes, che fa da apripista per il gran finale. Townshend e Daltrey sconvolgono per tenuta fisica, entusiasmo e tecnica (il primo è la vera star del concerto, il secondo non prende una stecca nemmeno su richiesta del pubblico), mentre Zak Starkey, ormai da più anni nella band rispetto a Keith Moon, è semplicemente il più grande batterista della propria generazione (non ce ne voglia il buon Dave Grohl). Difficile immaginare una cosa del genere una decina di anni fa, con Daltrey spesso vittima di una carriera passata ad urlare e Townshend devastato dall’acufene e da una vita sempre al limite, ma per come si è vista stasera, questa è una band che può andare avanti così per almeno un altro lustro. Con buona pace di quelli che pensano che gruppi così siano solo testimonianze sbiadite di un’epoca irripetibile per vecchi nostalgici.

Non stupisce che il pubblico fosse infatti composto in larga parte da giovani poco sopra i vent’anni, desiderosi di entrare a far parte della storia forse della band live più grande di sempre. Così come ha fatto sorridere vedere alcuni di questi esaltarsi su pezzi come Who Are You o Won’t Get Fooled Again per via della loro presenza in C.S.I.. Se ancora non vi siete convinti a cercare i voli per una delle prossime date del tour, provate almeno a cercare in rete le esecuzioni di Love, Reign O’er Me e Baba O’Riley. Poi ne riparliamo.

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