«Il concerto senza voce più divertente che abbia fatto», dice verso la fine Manuel Agnelli. È così. La voce è mezza andata, lo si capisce dalle prime due canzoni, è un inizio difficile, sgolato, stonato. «Inutile nasconderlo», dice dopo Ballata per la mia piccola iena, lo sbalzo di temperatura l’ha lasciato mezzo afono e quindi chiede aiuto al pubblico del Carroponte di Sesto (MI) affinché canti al posto suo, cosa che succede puntualmente e con piacere. Il massimo o il minimo, dipende dai punti di vista, è Strategie, che s’ascolta in versione quasi strumentale, tipo Afterhours feat. Carroponte. È bello e brutto allo stesso tempo: manca qualcosa e quando urla esagerando platealmente in coda a certi pezzi Agnelli sembra un animale che stanno sgozzando, ma la supplenza del pubblico fa sembrare il concerto particolarmente partecipato, gli dà calore, fa capire quanto certi passaggi di canzoni per niente facili sono rimasti impressi nella memoria di chi li urla verso il palco con le braccia alzate. Per due ore Agnelli non smette di dire «grazie, grazie, grazie».
In quanto al divertimento, è senz’altro vero per la seconda parte. La prima è dedicata alla riproposizione dalla prima all’ultima canzone di Ballate per piccole iene del 2005 (tranne Male in polvere, così come nella seconda parte verrà tolta Germi). È un’immersione in un altro tempo e in un altro rock, in un disco fatto di sesso e demoni, l’amore come patologia, la cocaina, la disillusione, il malessere, l’autodistruzione. Peccato per il suono, certi riff non t’arrivano allo stomaco come dovrebbero, il violino almeno dalla mia postazione non si sente, in compenso Dario Ciffo dà una mano nelle parti vocali. Si sentono, eccome, il calore e la partecipazione del pubblico. E poi, come spesso succede nei concerti dedicati della prima parte a un solo album, quando arrivano le hit – in questo caso da Male di miele a Non è per sempre anticipate da La canzone di Marinella (sì, quella) – c’è aria di gioia e ricreazione. Mi guardo attorno e “forse non è proprio legale sai, ma sei bella vestita di lividi” la urlano tutti col sorriso sulle labbra (ciao ciao politicamente corretto) almeno quanto “il vero che muore succhiandomi il cazzo”. “È solo un po’ di me che se ne va” la sento cantata a squarciagola anche da un tizio che a fine concerto torna a casa da solo in bici in viale Sarca.
Si sa che da tempo gli After sono Manuel Agnelli più chiunque chiami in quel momento. Per questo giro ha voluto la formazione che ha inciso il disco del 2005, ovvero «mio fratello» Giorgio Prette, Andrea Viti e Dario Ciffo più il musicista aggiunto Giacomo Rossetti, già al suo fianco nel tour solista. Non sono i migliori Afterhours di sempre e a tratti, dal punto di vista musicale, sembra d’essere tornati a una ventina d’anni fa, le canzoni di Ballate perdono qualcosa nel suono sporco e distorto del Carroponte, ma l’approccio più diretto non è un difetto quando si tratta di tirare fuori bordate come Non si esce vivi dagli anni 80 o anche il riffone di Chissà com’è.
Sotto lo scheletro industriale dell’ex Breda Siderurgica non ci sono solo quarantenni e cinquantenni. Agnelli lo vede dal palco e ringrazia (di nuovo) «tre generazioni» di fan, e pure quella che verrà. Immagino che avvicinarsi ai 60 e vedere carne fresca che salta sulle tue canzoni non dev’essere effettivamente male. Durante Dea dà istruzioni al pubblico per creare una specie di wall of death, un cerchio vuoto sotto al palco per poi «scatenare l’inferno» al suo comando. È lo zio che insegna ai nipoti come si fa.
Camicia chiara e cravatta scura, Agnelli è anche lo zio che ha un pensiero in testa: partecipate, incontratevi, fate qualcosa, che mi pare il sottotesto di questo tour aperto dalle band di Carne Fresca, la rassegna per emergenti di Germi, il locale milanese di Agnelli (al Carroponte ci sono pure i Dirty Noise della figlia Emma). La risposta alla crisi musicale del nostro Paese, ha detto a Rolling un paio di mesi fa, non verrà da artisti ossessionati da like, cuori, numeri e dati, ma da chi riesce a convince la gente a pogare, a incontrarsi, a confrontarsi di persona. Anche al Carroponte parla della «musica di merda» che ci circonda. Non ce l’ha col rap o con la trap, spiega, ma col sistema musica, «media e discografiche» che appiattiscono ogni cosa. Quando qualcuno del pubblico urla qualcosa, lui lo zittisce con una battuta. «Non ho capito cos’hai detto, ma era sicuramente una cosa importantissima».
E poi c’è la Palestina. Agnelli non tira fuori slogan, ma dice che «è importante che non ci facciamo inchiodare a casa anche dalle fazioni, è il gioco che vogliono che noi giochiamo, metterci uno contro l’altro. Ci sono cose incontestabili per le quali nessuno sta facendo abbastanza. Dobbiamo fare molta più pressione per il cessate il fuoco in Palestina». Applausi. «La cosa più importante è non rimanere a casa e non rimanere in silenzio. Nell’epoca dei social network schiacciamo un bottone e ci illudiamo di partecipare alla vita democratica, ma non è vero. In questa maniera stiamo a casa e siamo innocui. Dobbiamo scendere in strada, dobbiamo farci sentire, dobbiamo farci vedere fisicamente, solo così possiamo fare pressione. Nessuno di noi vuole passare come la generazione che si è voltata dall’altra parte come è successo 80 anni fa. Nessuno vuole passare come la generazione che aveva altro da fare», conclude prima di attaccare Padania, malinconicamente bella oggi come nel 2012.
Manuel Agnelli pare sinceramente stupito dalla tanta gente che è venuta a vedere questi nuovi, vecchi After, molta più di quella che c’era qua per il suo concerto solista che ricordo meno carico e partecipato, ma musicalmente più vario e ricco. «Una cosa così non l’abbiamo mai vista», dice guardando il pubblico. E però il prezzo lo pagano le tante persone che sotto a un Carroponte imballato di gente non riescono nemmeno a starci, a meno di non andare in fondo dove il palco è un francobollo. S’assembrano perciò di lato e cercano d’intravedere qualcosa nonostante i piloni, gli alberi, la gente. Hanno pagato il biglietto come tutti, eppure sembrano degli imbucati che spiano il concerto. Ma alla fine pure loro, che non vedono niente e sentono poco, cantano Voglio una pelle splendida come se fossero in prima fila. E chissà, magari stanno pensando che è stato il concerto più divertente che non hanno visto.
Set list:
La sottile linea bianca
Ballata per la mia piccola iena
È la fine la più importante
Ci sono molti modi
La vedova bianca
Carne fresca
Chissà com’è
Il sangue di Giuda
Il compleanno di Andrea
La canzone di Marinella
Strategie
Lasciami leccare l’adrenalina
Dea
La verità che ricordavo
Male di miele
Quello che non c’è
Non si esce vivi dagli anni 80
Padania
Bye Bye Bombay
Non è per sempre
Voglio una pelle splendida














