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Gazzelle al Forum ci ha ricordato che non vuole essere un intellettuale, ma solo farci cantare

Il cantautore romano ieri sera a Milano ha dato l’impressione di aver raggiunto ciò che desiderava dalla sua carriera: portare sul palco canzoni da far cantare a un pubblico di fedelissimi, senza orpelli, né sovrastrutture

Foto: Emanuela Giurano

Ce lo ricordiamo lo zucchero filato? Sono passati sette anni da Superbattito, album d’esordio di Flavio Bruno Pardini in arte Gazzelle in cui Zucchero filato era forse il più sbilenco di quei singoli tanto da cogliere tutti quanti in un momento in cui la convinzione diffusa (e, con il senno di poi, forse un po’ ingenua) era che la musica italiana fosse a un crocevia epocale. Allora il dibattito doveva essere grosso modo concentrato attorno alla ridefinizione della scena indie in termini di it pop, passaggio critico inevitabile dopo che ormai tutte le principali radio e le grosse distribuzioni passavano abitualmente brani dei vari Thegiornalisti, Calcutta e, appunto, Gazzelle. E così quel singolo riuscì per il rotto della cuffia a cavalcare l’onda dell’entusiasmo critico e a essere considerato interessante, nel senso snob del termine. Stessa sorte toccò poi all’album; un’intellettualizzazione collettiva nei confronti di artisti che probabilmente da ragazzini negli anni ’90 tra Manuel Agnelli e Max Pezzali avrebbero scelto il secondo,

Dopo aver ascoltato 31 delle 55 canzoni pubblicate da Gazzelle in questi otto anni di carriera nell’arco di due ore di concerto al Forum di Assago completamente sold out (con, in apertura, Selmi) risulta evidente, chiara e lampante una cosa: a Gazzelle di essere interessante non è mai fregato nulla. Tutta la sua carriera, forse tutta la sua stessa vita avevano come ultimo e unico fine quello di radunare 15 mila persone (l’estate scorsa all’Olimpico di Roma almeno il triplo) e fare sì che cantassero ogni singolo ritornello come se fosse l’inno italiano. Fine della storia: quale sarebbe altrimenti il fine di scrivere 55 canzoni sostanzialmente indistinguibili l’una dall’altra (il momento medley di chitarra acustica, con Nero, Ora che ti guardo bene, Coltellata e Scintille è particolarmente rivelatore della fedelissima appartenenza di Gazzelle al team dei quattro accordi) se non per le diverse strategie – per lo più verbali – adottate per essere memorabili e, di conseguenza, cantabili in coro?

Foto: Emanuela Giurano

La stessa Zucchero filato, a distanza di anni, si è rivelata per quello che è sempre stata e ha sempre voluto essere: un coro da stadio. E il live di Gazzelle, di cui comunque vale la pena apprezzare la cura nella resa degli arrangiamenti e il valore aggiunto di una band affiatata e capace composta da un power trio con l’aggiunta di violoncello e violino, è il classico live in cui a fare la differenza è il pubblico. Il dodicesimo uomo, si dice nel calcio. E sebbene quello milanese sia notoriamente un po’ timido rispetto ad altre piazze, soprattutto quando si tratta di assecondare il momento in cui il cantante finge di aver finito il live per farsi richiamare fuori per il bis (escamotage che finalmente inizia a dare segnali di stanchezza), si occupa comunque egregiamente di dare vita al vero wall of sound dello show.

La fanbase di Gazzelle, oltre che da molti laureati e da più ragazze che ragazzi, come emerge dai sondaggi ad alzata di mano proposti dal palco dall’altrimenti tendenzialmente silenzioso cantante, sembra comprendere solo fedelissimi, al punto che è quasi impossibile decretare i momenti più partecipati del live, dato che il pubblico canta dall’inizio alla fine, alzandosi sulle gradinate già dal terzo pezzo – Vita paranoia – con buona pace degli steward. Quando lo stesso Gazzelle, di nuovo in modalità Istat, chiede al pubblico in quanti fossero già stati a un suo concerto in precedenza, praticamente tutto il Forum alza la mano: di occasionali, accompagnatori e curiosi non sembra esserci traccia. Persino alcuni poliziotti in divisa si sono intrufolati nelle gradinate per cantare e filmare il concerto: per inciso, li preferiamo così.

Foto: Emanuela Giurano

Ecco, tornando allo zucchero filato: qualche anno fa quando parlavamo di Gazzelle (e di tutti gli altri) in qualche modo cercavamo di tratteggiare le sembianze del suo successo. Sotto sotto, e scagli la prima pietra chi è senza peccato, ci avrebbe deluso sapere che alla fine il suo successo avrebbe assunto questi connotati, ovvero gli stessi connotati del successo dei vari Cremonini o Pezzali che in fondo per una qualche forma non dichiarata di snobismo cercavamo di immaginarci distanti da lui, quasi appartenenti a una specie differente. Ma è un errore determinare il successo altrui sulla base della nostra idea di successo: lo volevamo interessante, lui voleva solo essere il direttore del coro; lo volevamo next big thing del complesso fenomeno dell’indie italiano in evoluzione, lui voleva essere il più popolare possibile facendo le stesse canzoni di sempre, forse le uniche che sa e che vuole fare. Flavio Bruno Pardini, in arte Gazzelle, oggi dà l’impressione di essere tutto ciò che ha sempre voluto essere: esiste forse una definizione più onesta di cosa sia il successo?

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