Emma Nolde, all’anagrafe Emma Maestrelli, classe 2000, toscana di San Miniato, non è più una promessa. È diventata grande nell’arco di tre album e cinque anni. Ma soprattutto, che abbia svoltato lo si capisce meglio ascoltandola dal vivo al Locomotiv Club di Bologna, dove ieri sera ha messo in scena l’ultimo concerto del tour e ribaltato la sua discografia trasformandola in un organismo vivo, irregolare, sporco ed estremamente fisico. Con lei Marco Martinelli alla batteria, Andrea Beninati al violoncello e percussioni, Francesco Panconesi al sax, piano, synth e cori, Federica Sutera al basso e cori e Jacopo Fagioli alla tromba. Una band allargata rispetto alle date precedenti che non accompagna soltanto, perché crea paesaggi sonori, taglia e ricuce, all’occorrenza amplifica, distorce o è in grado di farsi da parte per far risaltare la personalità e le ispirazioni della frontwoman.
Il locale è sold out e alle 9.30 esatte inizia un concerto che sembra lo spartiacque di una carriera. Intro è un’apertura sospesa, con i sample che in loop sussurrano l’incedere della vita di tanti che però iniziano a provare un rifiuto: “Sveglie, passi, passi / Giorni chiari, cene, pranzi, chiavi / Strade, casa, letto, poi / Nient’altro, poi nient’altro”. Un mantra che si trasforma in un atto di volontà. Che infatti esplode in Pianopiano!, il brano-antidoto e un invito a rallentare. Dal vivo cresce in maniera viscerale, tra elettronica e rock, fino a diventare un salmo. Con Storia di un bacio Emma vira per un attimo verso il lirismo e la voce diventa perfetta per una confessione. Poi arriva Resta, che live perde la forma levigata del disco e diventa quasi liturgica e sorretta da imperfezioni che sono parte integrante del suo modo di “restare umani”.
Emma Nolde gioca con i contrasti. CQVT è spigolosa, mentre Voci stonate rivendica la fragilità come forza, una sorta di ferita poetica. Respiro è un’esplosione che parte in sottrazione e finisce in tempesta, Berlino mette in scena l’anima più notturna e urbana, con le tastiere a disegnare ombre (e cantata con il pubblico all’unisono). La scaletta intreccia i tre dischi in continuazione, come a voler sottolineare una coerenza formale di fondo. La stessa parte della luna illumina il pubblico (con i cellulari spianati a fare video), mentre Te ne sei andata per ballare apre alla fase più psichedelica, con Tuttoscorre che riporta a suggestioni terrene, mentre Emma si prende lo spazio per parlare ai presenti, ai quali si rivolge ancora come a vecchi amici che sono soltanto dall’altra parte dello spazio scenico: «È una serata che mette una bandierina sulla nostra amicizia. Tutte le persone che vengono ai concerti hanno una sensibilità, un rispetto, una voglia di ballare che mi fa davvero piacere essere qui e vorrei saliste uno per uno». Con Sempre la stessa storia parole e suoni si inseguono, fino all’approdo di Sirene, dove i presenti si sciolgono grazie a una delle vette emotive del live. L’energia torna a scorrere con Mai fermi, Indipendente, Sconosciuti e Nero ardesia, il brano con cui ha vinto il premio Ernesto De Pascale al Rock Contest 2019.
Foto: Lorenzo Stefanini
Come annunciato precedentemente sui social, non è mancata la sezione jukebox. Dopo aver invitato chi la segue a scegliere una serie di brani da chiederle durante il concerto, non solo li ha eseguiti, ma ha fatto anche salire sul palco chi si è proposto di accompagnarla. Fino all’ingresso di Baltimora (vincitore di X Factor 2021) che ha chiuso su Dormi e in un duetto delicato e potente dedicato ai civili palestinesi che stanno soffrendo: «Penso alla gente che rinuncia a cibo e cure mediche, ma anche all’amore. Che è importante tanto quanto mangiare e curarsi. E questa rinuncia mi emoziona ancora di più da parte di chi mette in pausa queste emozioni. La cantiamo per chi non può amare, visto che siamo nella parte del mondo dove possiamo farlo. Facciamo più casino possibile con un urlo che possa arrivare fuori da queste mura», ha spronato Emma indossando la bandiera della Palestina.
Una pre-chiusura di impegno civile (arrivata dopo che aveva anche esposto la bandiera arcobaleno), che ha anticipato il bagno di folla che Emma e i musicisti hanno voluto regalarsi scendendo dal palco e mischiandosi in platea in una parata che si è risolta in un dj set da cameretta. A conferma della ricerca di empatia verso la sua gente e che ha trasformato il Locomotiv in una sala prove condivisa. In questo concerto, però, Emma Nolde ha dimostrato anche tutte le sue potenzialità, che sono notevoli e non più solo in prospettiva. Riesce a passare dal cantautorato etereo (le influenze di Niccolò Fabi sono dichiarate) alla poesia in musica (con echi di Jeff Buckley), dall’hard rock (nella postura di certe sfuriate ricorda la Gianna Nannini degli esordi) alle suggestioni electro o ai ritmi hip hop, per poi tornare alla psichedelia noise (via Verdena), con un cantato che spazia dal sognante al graffiato e sempre accompagnato da una forte corporeità (Paola Turci docet).
Come successo per Lucio Corsi, anche Emma Nolde dal vivo non è indie, ma non è nemmeno soltanto una cantastorie. È rock, in ogni sua forma, che riaffiora da crepe digitali e cerca nuovi alfieri per smuovere una generazione che non si accontenta dell’effimero. E a Bologna, Emma Nolde ha dimostrato di essere una validissima rappresentante di chi è ancora convinto che non esista algoritmo in grado di contenerlo.
Foto: Lorenzo Stefanini
