E se Sabrina Carpenter al Primavera alla fine fosse stata una buona idea? | Rolling Stone Italia
Is it that sweet?

E se Sabrina Carpenter al Primavera alla fine fosse stata una buona idea?

Il day 2 del Primavera Sound è stato la scena del crimine: il pop da classifica si è guadagnato un posto da headliner in quello che fu il festival del rock alternativo. È stato un male assoluto? No, anche per un certo senso di colpa degli organizzatori. Ve lo spieghiamo meglio

Sabrina Carpenter

Sabrina Carpenter al Primavera Sound di Barcellona nel 2025

Foto: Sharon Lopez

La prima volta che sono venuto al Primavera Sound a Barcellona era il lontano 2009. Andando a memoria (che buona non è) tra gli headliner c’erano Sonic Youth, My Bloody Valentine, Neil Young. Era l’epoca in cui i festival in Europa suonavano il rock, in varie sue forme, dove l’indie dei Bloc Party (anche loro in scaletta) divideva il cartellone con le ricerche più sperimentali degli Spiritualized. Fast forward al 2025, e in cartellone come headliner troviamo le Superchicche (sì, sono state presentate così) del pop Charli XCX, Sabrina Carpenter e Chappell Roan. Qualcosa di grosso è successo.

Rispetto al 2009, il Primavera è tutt’altro festival. La venue si è allargata in modo esponenziale con il pubblico e ora alle ore di punta sembra di essere in centro a Tokyo, se solo Tokyo fosse stata conquistata da un esercito vestito dalla sezione Festival di Asos. Cosa che al Giappone non augureremmo mai. I biglietti di questa edizione sono volati all’annuncio delle tre supereroine ma, se escludiamo il nome di Charli (già presente l’anno scorso nonché la meno canonica del trio), trovare in cartellone artiste come Carpenter e Roan è stato per molti visto come un tradimento: ma com’è possibile che il festival del rock abbia ceduto così spudoratamente alle classifiche, a TikTok, al mondo della musica di oggi?

Il Day 2 al Primavera è diviso tra questo sentimento: c’è chi è arrivato nel primissimo pomeriggio e ha messo il camper sotto il palco dove si sarebbe esibita Sabrina e chi ci teneva a ripetere “io quella non vado a sentirla manco sotto tortura”. Ecco, non preoccupatevi, mi sono immolato io a far tutto per voi.

Partiamo da qui: ha senso Sabrina Carpenter all’interno di un festival come il Primavera? La risposta non piacerà, perché è un sì. In un’epoca dove tutto è mainstream, il nome di Sabrina Carpenter non funziona solo se messo in relazione alla storia del festival, ma nell’oggi è perfettamente calato in una realtà (quella dei grandi festival estivi) in cui ormai da anni è in atto una completa coachellizzazione fatta di content creator e photo opportunity. Certo, il giovane pubblico (molto americano, molto inglese) non è quello ben educato, ma la sua potenza d’acquisto è linfa vitale per una realtà come Primavera che lo scorso anno aveva faticato invece a staccare biglietti con una lineup che aveva puntato per esempio su progetti come i Pulp, i Vampire Weekend, Pj Harvey. E in un’epoca in cui i festival chiudono i battenti con una certa facilità e la bolla dei concerti sembra prossima all’esplosione, portarsi a casa un tutto esaurito su tre giorni è ossigeno. Inoltre, per una sorta di compensazione, il festival si è sentito in dovere di proteggere la fanbase che l’ha mantenuto in vita negli ultimi 25 anni, infarcendo così il cartellone di alternative che hanno rimesso la musica suonata al centro: ecco allora spiegato l’amore – che suona quasi come una scelta politica – dei fan per gli Stereolab di ieri sera, il supporto a band come Haim e Beach House sui due mainstage, la calca per i Fcukers, l’entusiasmo per il ritorno dei Tv On The Radio e la gigantesca imprevedibile folla per le Wet Leg. Se è rock-washing, a noi va bene, continuate così. Fateci riscoprire la resistenza, fateci ricordare che non tutto è scontato e che il rock è controcultura.

 

 
 
 
 
 
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E Sabrina Carpenter? In un’edizione dove il pop è stato poco cantato sul palco (per esempio nelle performance di Charli XCX e FKA Twigs dove spesso la voce era tutta in base), la ragazza ha messo in scena tutti i numeri da super popstar americana: neanche una nota fuori posto per uno show che fa dell’intrattenimento il suo ruolo principale. E ben venga visto che il pop quello deve fare, intrattenere. Al di là delle sue due gigantesche hit Please Please Please e Espresso in chiusura del set, Sabrina Carpenter ha dimostrato di avere tutti i numeri necessari per gestire una folla di decine di migliaia di persone all’interno di un contesto festivaliero. C’è ancora da affinare certo, ma la scuola Broadway ci porta dentro un livello di dedizione all’intrattenimento a cui non siamo abituati in Europa. Anche qui, se si vuole andare oltre al proprio naso e al proprio gusto, qualcosa da imparare c’è.

Allontanandoci per un attimo da questo bipolarismo pop/rock, la dance music nelle sue forme più svariate (dalla jungle dei 4am Kru alla techno di Amelie Lens) ha occupato anche ieri gran parte della notte e dei palchi, facendo quello per cui è chiamata in casa: far ballare senza troppi pensieri. Oltre ai citati, degni di nota sono stati il solido live di Floating Points e quello di Danny L Harle, capace di portare una piccola dose di sana auto-ironia sonora in un ambiente spesso fin troppo austero (quando la dance music si fa troppo specchio del proprio status e si dimentica di intrattenere, di far ballare, ci fa pure rimpiangere Sabrina Carpenter).

Che si voglia o meno, la presenza di ieri di Sabrina Carpenter al Primavera Sound diventerà una parte importante della storia del festival, è la polaroid del momento in cui il festival ha apertamente flirtato e accettato il pop mainstream da classifica. È stato un male alla fine dei conti? No, e anzi sul breve termine è stato funzionale sia in ottica vendite che per avere il pretesto di rimpolpare la line up con gruppi anche importanti della storia del rock alternativo. Quello che accadrà sul lungo periodo, in un periodo storico in cui i grandi festival stanno già cambiando per sempre, è forse ancora presto per dirlo. Ma anche se tutto finisse malissimo, non sarà colpa di Sabrina Carpenter. Is it that sweet? I guess so.