«Dobbiamo combattere il fascismo!»: la recensione dei Green Day a Firenze Rocks 2025 | Rolling Stone Italia
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«Dobbiamo reagire al fascismo!»: i soliti grandi Green Day a Firenze Rocks 2025

«Musica bella è la lingua di Dio», ha detto ieri sera Billie Joe in italiano. Tradotto: un altro concertone politico e festoso. Il tempo passa, loro non mollano. Canzoni, carisma e in po’ di sana piacioneria

«Dobbiamo reagire al fascismo!»: i soliti grandi Green Day a Firenze Rocks 2025

Billie Joe dei Green Day a Firenze Rocks 2025

Foto: Giuseppe Craca

Ai Green Day e al loro terzo concerto in città in dieci anni è affidato il compito di chiudere l’edizione 2025 di Firenze Rocks in quella che sarà – abbondantemente – la giornata più partecipata del festival. Il pubblico del trio californiano non è solo il più numeroso, ma anche il più variegato in termini di età: sono tantissimi i ragazzi e i bambini che si sono fatti contagiare dal morbo del pop-punk californiano e questo non può che essere un bel segnale per il futuro. Forse li conoscono perché li hanno sentiti alla radio, forse hanno un fratello maggiore che glieli ha fatti ascoltare, forse i genitori andavano a scuola ai tempi di Basket Case.

I Green Day hanno due dischi di riferimento nella loro carriera, quel Dookie che nel 1994 li proiettò nelle classifiche di tutto il mondo e American Idiot che 20 anni più tardi si è rivelato se possibile un successo ancora maggiore, consacrandoli definitivamente. Proprio American Idiot è la spina dorsale del concerto, con l’iconico cuore/bomba a mano gigante che si gonfia al centro del palco pochi secondi prima che arrivino Billie Joe Armstrong, Tré Cool e Mike Dirnt. Il concerto, preceduto come da tradizione da una Bohemian Rhapsody cantata da tutta la Visarno Arena, a cui segue la marcia imperiale di Star Wars, si apre con American Idiot, il cui testo viene leggermente modificato per “omaggiare” il Presidente degli Stati Uniti (“I’m not part of the Trump propaganda”). Neanche il tempo di riprendersi e i Green Day si lanciano a rotta di collo in Holiday mentre sul megaschermo alle sue spalle compare la scritta “no war”. «Italia are you ready?», ruggisce Billie Joe, «we have to fight back the fascism!». La risposta del pubblico è un boato d’approvazione. Al terzo pezzo, Know Your Enemy, c’è già una fan sul palco – un classico della casa – per cantare con Billie, anche se l’emozione la tradisce.

Il gruppo come è noto si è da tempo allargato: oltre alle tre star, accompagnate dai soliti Jason White alla chitarra (li segue dal 1999) e Jason Freese alle tastiere (con loro dal 2004) troviamo anche Kevin Preston che porta a tre il numero delle chitarre e permette a Billie Joe di gigioneggiare col pubblico senza che il muro di suono risulti minimamente intaccato. Il concerto prosegue con Boulevard of Broken Dreams, One Eyed Bastard e Murder City in una celebrazione della seconda parte di carriera del trio.

È tempo di tornare indietro, a quando i video dei Green Day erano in heavy rotation su MTV: Longview e Welcome to Paradise mi fanno sentire vecchio ma felice, Hitchin’ a Ride è l’ennesima occasione che Billie Joe coglie per trasformare i fan della Visarno Arena nei suoi personalissimi burattini. «Musica bella è la lingua di Dio» dice in italiano. I ringraziamenti al nostro Paese sono continui e copiosi, sarà forse un paraculo, ma pochi, pochissimi frontman al giorno d’oggi possono permettersi di gareggiare col suo carisma. Il catalogo di pezzi da cui i Green Day possono pescare è ormai gigantesco, ed ecco comparire Brain Stew (unico brano in scaletta da Insomniac), la festa folk di Minority che scatena improbabili quadriglie punk e addirittura 80, dal lontanissimo Kerplunk.

«Siamo ancora vivi» dice ancora nella nostra lingua Billie Joe. Sono le stesse parole che pronunciò, sempre in questa arena, nel 2022, nella prima estate di concerti dopo due anni di restrizioni dovute alla pandemia.

Foto: Giuseppe Craca

«Ehi guarda, c’è un dirigibile», dice un tizio accanto a me. Guardo in altro e c’è effettivamente un dirigibile bianco che sorvola la Visarno Arena. Penso che forse non ho più l’età per farmi tre concerti in una settimana, magari ieri sera sono andato lungo con gli amari, e invece no: è il dirigibile che campeggiava sulla copertina di Dookie – con tanto di scritta “Bad Year” – e che adesso naviga sopra le nostre teste nel cielo fiorentino. Per aggiungere un tocco surreale al tutto – non che mancasse, davvero – il dirigibile sgancia le bombe dookie (anch’esse gonfiabili) sulla folla mentre viene trascinato, con un cordone, da due tizi vestiti da orsetti che si muovono in mezzo al pubblico.

Sul palco i musicisti infilano l’uno-due da ko per noialtri quarantenni, Basket Case e When I Come Around, veri e propri inni generazionali. Guardo i Green Day che cantano i successi di quando ero ragazzino e riesco solo a pensare che io sono invecchiato e loro no, che – piaccia o non piaccia – sono e rimangono parte della colonna sonora delle nostre vite, una sgangherata costante fra mille variabili. Penso che non li ho amati sempre, che non ricordo a menadito ogni singolo loro disco, eppure conosco a memoria ogni canzone che hanno fatto stasera, anche quelle degli album che ho apprezzato meno, perché oggi loro sono questo, un fenomeno pop di dimensioni gigantesche, tanto da avere nel proprio pubblico sirenette influencer che si fanno le foto in posa perché anche in queste situazioni ci scappano i like su Insta.

Loro c’erano e ci sono ancora mentre tu, nel frattempo, hai finito la scuola (dove hai passato anni a discutere se i Green Day fossero punk oppure no), l’università (dove hai capito che la risposta corretta al precedente quesito è «esticazzi?»), hai cominciato a lavorare, hai avuto figli, mandato a puttane situazioni e relazioni, hai il mutuo da pagare e chissà se ci riuscirai, ma Billie Joe, Tré e Mike sono ancora qui. Dopo l’epica di Jesus of Suburbia e la splendida Bobby Sox (brano semplicemente perfetto per le arene rock), arriva il finale coi fuochi d’artificio e l’inevitabile Good Riddance, con Billie Joe che canta, Mike che strimpella e Tré che distrugge la batteria lanciandone pezzi a giro per il palco.

Foto: Giuseppe Craca