Dammi tre parole: Jova Beach Party | Rolling Stone Italia
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Dammi tre parole: Jova Beach Party

Ma anche sole, cuore, spiaggia, mare e amore: a Lignano Sabbiadoro s’è tenuta la prima data del tour estivo di Lorenzo Cherubini, una festa di cui è mattatore assoluto e indiscusso e che conferma il suo essere diventato, ormai, «sapienza popolare». Esattamente come (spoiler) Gianni Morandi

Dammi tre parole: Jova Beach Party

Lorenzo Cherubini durante la prima data del Jova Beach Party a Lignano Sabbiadoro

Foto: Michele Lugaresi Makid

«C’è un party nella mia testa e nessuno è invitato»: erano i Tame Impala, era il 2010, era lo stupendo debut album Innerspeaker, era il primo estratto Solitude Is Bliss. Avanti veloce fino al 2022: anche Lorenzo Cherubini ha un party nella sua testa, è un party pazzesco, e invita chiunque. A Lignano Sabbiadoro sabato 2 luglio si è aperto il Jova Beach Party, nonostante «manchino le maestranze», nonostante «il poco anticipo con cui la macchina è stata sbloccata», nonostante – aggiungo io: il caldo, l’umidità, le zanzare, la sabbia che ti si appiccica addosso peggio dell’estate e non ti molla più.

«Non è un concerto», dice Lorenzo, «è un grande dj set». “Grande” è un eufemismo, se si contano le sessantamila persone accorse sulla spiaggia a celebrare una festa, uno spettacolo, un sabba che non ha eguali in Italia. Finalmente – che poi, pure nel 2019 era così – s’è preso esempio dai festival internazionali (Primavera Sound in primis) per regalare al pubblico un’esperienza che coinvolge tutti i sensi. Si comincia nel primo pomeriggio e si va avanti fino a notte inoltrata, su tre palchi diversi, senza soluzione di continuità, e – ultimo, ma non meno importante – senza doversi ridurre a sbocconcellare panini precotti con salamelle stantie o porchette stoppose. L’offerta gastronomica (o i food truck, in gergo postmoderno) spazia dall’Asia alla Grecia, dal panino gourmet alla focaccia col sale di Cervia farcita con mortadella: finalmente andare a un festival musicale non fa rima con mangiare male, finalmente qualcuno l’ha capito e s’è adeguato agli standard europei consapevole che, in Italia, trovarsi costretti a trangugiare cibo orrendo durante un concerto è un orribile controsenso.

Foto: Michele Lugaresi Makid

Alessio, anconetano, si è sparato quattrocentocinquanta e passa chilometri in macchina per essere qui. «Ma non facevi prima ad andare alla data di Marina di Ravenna?». «Scherzi? L’apertura è un’altra cosa, e poi guidare non mi pesa. Io per Jova andrei pure sulla luna». È un fan della vecchia guardia, Alessio. Gli racconto di quando vidi Lorenzo nel 1993 e nel 1994 a Bologna, date entrambe chiuse con Ciao mamma: all’amica che era con me venne concesso di saltare la scuola il giorno successivo, e io – figlia di Pol Pot – fui comunque costretta alla sveglia delle sette del mattino. Ridiamo, ci abbracciamo, incuranti del fatto di essere due estranei, incuranti (soprattutto lui) della malcelata antipatia tra marchigiani e romagnoli. «Non è il Coachella, cazzo! Questo è il nostro Burning Man!»: pur non essendoci (ancora) stata, per quel che m’è dato di sapere e di vedere tocca dare ragione ai ragazzi arrivati da Perugia. La sabbia c’è, insieme a una medusa gonfiabile con gli strass che fluttua nell’aria, insieme alle installazioni lungo la spiaggia, insieme al pubblico ricoperto di brillantini in stile Euphoria: Black Rock City, scansate.

Jovanotti – che è uno e trino: Lorenzo, Jova e, appunto, Jovanotti – è il maestro di cerimonie supremo: compie rapide incursioni pomeridiane sui palchi degli ospiti, celebra matrimoni, canta, balla, suona, mixa. L’ex ragazzo fortunato, che ormai deve il suo successo non tanto alla fortuna quanto alla bravura di saperlo sapientemente modellare, pare aver scoperto il segreto dell’elisir dell’eterna giovinezza: con il suo look alla Jack Sparrow ha l’energia di un ragazzino, vedi e senti che si sta divertendo come un pazzo, fa quello che gli pare perché è casa sua e ci mancherebbe altro, qui decide lui.

Foto: Michele Lugaresi Makid

L’assoluta imprevedibilità della performance jovanottiana è l’ostacolo più insormontabile a un reportage preciso e chirurgico del suo live, ma vai a sapere, forse l’estrema meticolosità l’infastidirebbe: è più un flusso di coscienza – anzi, di musica – inarrestabile, ché niente nessuno al mondo potrà fermarlo dal ragionare, e dal suonare. Ci si inizia a scaldare con Benny Benassi, che chiude con Satisfaction annunciando una collab con David Guetta, e poi via con «una tribù che balla e cerca una ragione perché ci sia una terra e ci sia una nazione formata dai ragazzi e dalla gente di credo, di colore e di cultura differente». Manco il tempo di rendersi conto dell’assoluta modernità di una canzone uscita nel 1991 e irrompe Max Pezzali sul palco con un medley «da paura», come giustamente sostiene la ragazza con cui mi dimeno gomito a gomito. Sei un mito, Hanno ucciso l’Uomo Ragno e infine Gli anni, che è un po’ la nostra Wonderwall, o forse la nostra Don’t Look Back in Anger, ma in fondo chi se ne importa, squarciagoliamo tutti all’unisono «Chi sia stato non si sa, forse quelli della mala, forse la pubblicità», ricordandoci le parole di roba scritta trent’anni fa – e confermando che la nostra memoria pop è qui, è stasera, ed è più viva che mai.

«Questa è sapienza popolare», lo dice anche Lorenzo al termine di C’era un ragazzo, ennesima sorpresa insieme all’ennesimo superospite della serata, Gianni Morandi, protagonista dell’ennesimo medley «da paura»: Apri tutte le porte, L’allegria e Fatti mandare dalla mamma. «Non l’abbiamo nemmeno provata», aggiunge sempre riferendosi a C’era un ragazzo, quasi a volersi giustificare per eventuali errori, scivoloni o imprecisioni (che no, non ci sono mica, figurarsi) e stupito (ma non troppo) che la gente sappia a menadito un singolo del 1962. Il resto della festa straborda e travolge come una diga che si rompe: L’estate addosso, Baciami ancora, Le tasche piene di sassi, poi Born Slippy, Penso positivo, un remix di New Year’s Day, un remix di Battiato, Hey Boy Hey Girl, The Rhythm of the Night, L’ombelico del mondo. C’è una logica? No, è schizofrenia musicale pura, e soltanto Lorenzo può maneggiarla con questa cura, consapevole che il pubblico – il suo pubblico – lo seguirà in qualsiasi territorio inesplorato lui desideri portarlo.

Foto: Michele Lugaresi Makid

Questo, probabilmente, è il più grande trionfo di Jovanotti che chiunque deve riconoscergli, adulatori o detrattori che siano: la capacità di non essere mai uguale a sé stesso, di essere quello di Sei come la mia moto, quello di Quando sarai lontana, quello di Serenata rap e questo Lorenzo che è dj, guru, reverendo, divinità del Jova Beach Party. La capacità di riempire una spiaggia del Friuli Venezia-Giulia e di creare una festa unica, irripetibile, uno spettacolo che nessuno, in Italia, può essere in grado di replicare. Pure lui, come Gianni Morandi, ormai è diventato «sapienza popolare»: per me è e rimarrà per sempre quello che ha scritto uno dei versi più belli (e veri) della storia, «Siddartha me l’ha detto che conta solo l’amore, che tutto quello che ti serve può stare dentro al cuore». Se io potessi starei sempre in vacanza, se io potessi, starei sempre al Jova Beach Party.

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