Elio e le Storie Tese, la recensione del Concertozzo 2023 | Rolling Stone Italia
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Chi può cantare nel 2023 “Mi piace il cazzo” sulla musica dei Queen? Esatto, Elio e le Storie Tese

Ieri al Concertozzo «Carpi e metacarpi» hanno applaudito il ritorno degli Elii, da ottobre in tour in un mondo cambiato. Avevano detto di essere troppo vecchi per il pubblico di oggi: ci eravate cascati?

Elio

Elio al Concertozzo del 2022

Foto: Francesco Prandoni

In quarant’anni di carriera hanno messo alla berlina tutto e il contrario di tutto. Non un cliché è rimasto illeso: impegno e disimpegno, rock e pop, mainstream e nazionalpopolare, Sanremo e i complessi del Primo Maggio. Restava da dissacrare il mito dello scioglimento, puntualmente disatteso già lo scorso anno, e quello della reunion, caduto nella piazza di Carpi gremita da oltre 10 mila spettatori.

È successo (participio passato, ma ancor più sostantivo): dopo il Concertozzo benefico dello scorso anno Elio e le Storie Tese hanno concesso il bis tornando a suonare per una giusta causa (anche stavolta, prima beneficiaria del live è CESVI, fondazione impegnata nel campo dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile). Soprattutto, dopo il loro recente annuncio, l’appuntamento carpigiano si è rivelato il preludio al nuovo tour nei teatri che partirà il 5 ottobre da Genova con il primo dei 30 appuntamenti già fissati per lo spettacolo Mi resta solo un dente e cerco di riavvitarlo.

In pratica, un dream team che torna a disputare il campionato dopo cinque anni di assenza. Il che poteva far dubitare qualcuno sulla tenuta in campo del “complessino” (non che nel frattempo i suoi membri fossero rimasti a poltrire, al netto dello stop pandemico). Dubbi fugati sin dall’attacco di John Holmes, accolto con un boato liberatorio da un pubblico che ha atteso questo concerto per mesi e che ha cominciato a popolare la cittadina modenese sin dalle prime ore dell’afoso pomeriggio domenicale, complice l’inedito appuntamento delle 16:45 con band quasi al completo sotto un gazebo, per autografare gli ultimi due album ristampati in vinile.

Un modo come un altro per rinsaldare ulteriormente il rapporto tra gli Elii e la comunità dei loro seguaci, attori non certo secondari di una performance la cui formula è sempre più simile a quella della liturgia. L’impressione che domina la primissima parte del concerto, in effetti, è quella di un diffuso bisogno di ritualità collettiva che, represso per cinque anni, sfocia finalmente in un coro generale e inarrestabile. Certo, si canta sempre, ai concerti. Ma stasera è diverso.

Completamente disatteso anche il messaggio scritto sulla t-shirt di Elio: “Silenzio”. Poco male, se dopo Cassonetto differenziato per il frutto del peccato egli stesso incorona prematuramente il pubblico come «il più a tempo del panorama internazionale». Entra a tempo anche Mangoni, «segno che qualcosa nel mondo sta cambiando», commenta il frontman riferendosi alla prima apparizione del noto “artista a sé”, in vesti pontificie su Gimmi I (che segue una piuttosto canonica Servi della gleba). L’ingresso dell’architetto è un altro snodo della lunga liturgia eliaca, che egli si incarica di agganciare all’attualità musicale quando nell’interludio del Vitello dai piedi di balsa fa il verso a Brividi — già parodiata l’anno scorso — e alla Annalisa del tormentone Mon amour.

«Un piccolissimo colpo di scena», lo definisce Elio preannunciandone altri. «Sembra di essere al Love MI» aggiunge sarcastico presentando «l’esponente LGBTQI del gruppo»: Carmelo (Vittorio Cosma), personaggio ormai di primissimo rango che non manca di incarnare la parte più caustica dell’Elio-pensiero riscrivendo We Are the Champions secondo il suo classico slogan “Mi piace il cazzo”. E all’improvviso ci ritroviamo lontani anni luce dall’epoca del politically correct, in quella realtà parallela propria degli EelST.

In una tracklist da singalong scorrono Urna, TVUMDB — con l’immancabile omaggio a Feyez — Gargaroz e El Pube, la cui coda latin è il classico “ruggito” della squadra che sta iniziando a carburare. È il brano che apre la sezione danzereccia del Concertozzo, con il frontman a chiamare le mani di Carpi, «che poi sarebbero carpi e metacarpi». Seguono Discomusic e Born to Be Abramo, ed Elio finalmente si lascia andare a una risata.

La prima parte dello spettacolo è portata a casa in scioltezza, e l’intervallo è tutto per le associazioni PizzAut e Tortellante, realtà esemplari per l’autonomia e la dignità professionale che i ragazzi autistici da esse assunti dimostrano di meritare. Un tema che, come è noto, tocca da vicino Elio, il quale mette in guardia dalla pericolosa «immagine di un autismo leggero» alla base di un’inadeguatezza che è tanto dell’UE quanto della scuola pubblica. Quest’ultima non sempre in grado di garantire adeguato sostegno ai ragazzi come suo figlio Dante, di nuovo protagonista sul palco dopo il Concertozzo del 2022.

La scaletta riparte. Essere donna oggi e Storia di un bellimbusto conducono al momento sanremese, quel «concorso canoro quasi vinto» dalla Terra dei cachi e, sette anni dopo, dalla geniale Canzone mononota. «Siamo stati battuti da Mengoni… che tu sia maledetto!» ringhia Elio, rincuorandosi col fatto che «però abbiamo battuto i Modà». E ci sembrano lontani anni luce anche quei palchi dell’Ariston.

Faso e Christian Meyer iniziano a sciogliersi, ritrovando la postura dei tempi d’oro; Cosma-Carmelo ringrazia il Cristo «per questa serata… e per il cazzo», mentre l’uditorio riprende a salmodiare su Uomini con borsello e Parco Sempione. «La parte più interessante sta per arrivare», sottolinea Elio, «questa era solo l’anteprima del concerto». E così anche il rito del bis viene parodiato e dissacrato, presentando Supergiovane come ultima canzone dell’anteprima. Un autospoiler in piena regola.

Altri colpi di scena erano stati annunciati, e così si riapre con uno stacco netto delle telecamere che riprendono il palco: c’è Rocco Tanica, e il boato adesso è quasi commosso. Dopo aver guidato la versione strumentale di Plafone, è lui stesso a voler immortalare il pubblico: prende il telefono e, senza proferir parola, fa segno ai 10 mila di Carpi di stringersi. «Ero a Correggio con Il Sogno di Elio e le Storie Tese, uno dei tanti gruppi tributo che spopolano in tutto il mondo», dice qualche minuto dopo, imbracciando la tastiera a tracolla con cui lancia Shpalman, suo ultimo intervento.

Sale sul palco anche il Trio Medusa, promotore della reunion degli Elii: «Non potevamo pensare di avere davanti tanti anni senza la loro musica». Il pubblico di Carpi è chiaramente della stessa idea, ed è davvero questo l’aspetto che emerge maggiormente dal secondo Concertozzo. Al termine del quale ritroviamo anche l’ultima e ben rodata liturgia, il mantra con cui la multigenerazionale comunità eliaca invoca l’amen di Tapparella. Ci era mancato, quel «Forza Panino» collettivo. E ci era mancata la visione della vita (da vicino) di Elio e le Storie Tese, così divergente rispetto a quella dominante. Forse è per questo, che cinque anni fa avevano detto di essere troppo vecchi per il pubblico di oggi. Ma stasera ci sembra solo un altro luogo comune da dissacrare.

Scaletta

John Holmes
Cassonetto differenziato per il frutto del peccato
Servi della gleba
Gimmi I
Il vitello dai piedi di balsa
Urna
TVUMDB
Gargaroz
El Pube
Born to Be Abramo

Essere donna oggi
Storia di un bellimbusto
La terra dei cachi
La canzone mononota
Uomini col borsello
Parco Sempione
Supergiovane

Plafone (strumentale)
Unanimi
Amore Amorissimo
Shpalman

Tapparella

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