Che bellezza il concerto “intimo” di Robert Plant a Lucca | Rolling Stone Italia
Lotta Love

Che bellezza il concerto “intimo” di Robert Plant a Lucca

Ieri sera abbiamo assistito a un’esibizione speciale. Forse l’ex Zeppelin ha trovato la sua dimensione ideale coi Saving Grace. Non vediamo l’ora di ascoltare l’album che uscirà fra un mese e mezzo

Che bellezza il concerto “intimo” di Robert Plant a Lucca

Robert Plant

Foto: Liam Carroll

Certe sere sembrano sfuggire al tempo. A Lucca Robert Plant ha cantato per pochi, rispetto alla grandezza della piazza, e forse proprio per questo è stato un concerto speciale. In un contesto che avrebbe potuto apparire desolante – platea semivuota, sold out solo i posti a sedere di fronte al palco, luci puntate su un vuoto inatteso – è andata in scena una delle performance più intime e autentiche che il leggendario frontman dei Led Zeppelin abbia mai fatto in Italia. Un evento che, sulla carta, avrebbe dovuto attirare ben altri numeri, si è trasformato infatti in un incontro quasi privato, raro, prezioso, un’esperienza irripetibile: uno scambio ravvicinato tra artista e pubblico, senza filtri, in cui ogni nota sembrava suonata solo per te.

L’esperienza con i Saving Grace sembrava iniziata quasi per gioco qualche anno fa, come molte delle band messe in piedi da Plant nel corso della sua carriera. Tuttavia, al terzo passaggio in Italia in altrettanti anni, si ha la sensazione che questo ensemble potrebbe essere davvero l’ultimo ad accompagnare il vecchio Pearcy in giro per il mondo. Plant non ha mai nascosto il proprio amore per un certo tipo di folk, o meglio per una sorta di grande calderone sonoro fatto di blues, tradizione arabo/magrebina e folk irlandese capace di dare nuova vita a un passato da sempre troppo ingombrante da portare sulle spalle. Un amore nato non certo dopo la fine dei Led Zeppelin, ma coltivato fortemente anche insieme a Jimmy Page fin dal principio (e anche nei progetti post Zep) e portato avanti con caparbietà fino ad oggi, nonostante le continue proteste di chi lo vorrebbe ancora biondo e sculettante a cantare ogni sera gli stessi cavalli di battaglia.

Se fino a qualche anno fa quella ricerca non sembrava portare sempre a progetti del tutto a fuoco, oggi Plant sembra aver fatto pace con molte cose: con il passato, un processo conclusosi ormai da qualche anno, ma anche con il bisogno di non sembrare più l’ex cantante dei Led Zeppelin, che poi paradossalmente era la cosa più grande a tenerlo ancora profondamente legato a quello stesso passato. Oggi, semplicemente, Plant non sembra più preoccuparsi di nulla, circondato da una band che non sembra stata messa in piedi un po’ alla buona come in altre occasioni, ma in cui ogni elemento è assolutamente funzionale (e fondamentale) per quel suono ricercato per una vita.

Rispetto solo a un paio d’anni fa, poi, il gruppo sembra migliorato al punto di suonare a memoria, con un’alternanza continua di strumenti a corda di ogni tipo ed epoca che, però, non ti fa pensare di esserti ritrovato per sbaglio a un festival di musica celtica, né a un concerto dei Blackmore’s Night, in cui dopo mezz’ora vorresti vedere entrare Ian Gillan a spaccargli la faccia. Qui si gode dall’inizio alla fine ed è forse la prima volta dai tempi in cui Robert non gira più in elettrico in cui non ho mai sentito il bisogno di arrangiamenti più simili agli originali.

Saggiamente, Plant sceglie brani acustici dal repertorio dei Led Zeppelin, ma anche quando non lo fa, come nella sorprendente In My Time of Dying, variazione dal repertorio di Bilnd Willie Johnson, l’arrangiamento è così figo che nemmeno ti dà il tempo di imprecare come quando si ostinava a suonare Whole Lotta Love come se fosse un brano di Pete Seeger.

Lo scheletro dello show resta sostanzialmente quello degli ultimi tempi, anche se il gruppo si diverte a sparigliare le carte, invertendo brani (una tendenza forse anti-setlist.fm che si riscontra sempre più spesso), cambiandone altri e mantenendo alcuni capisaldi come la bella The Cuckoo e For the Turnstiles di Neil Young. A sancire la piena maturità della band, che ha nel polistrumentista Matt Worley il vero motore musicale, l’annuncio del primo album in studio, in uscita tra un mese e mezzo. Con la speranza che i suoi nuovi compagni siano riusciti a riaccendere anche la sua fiamma di autore.

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