Ippodromo di Milano, 34 mila persone assiepate di fronte al palco di Olly. Un’orda che si agita nel fango e che sembra già parte dello spettacolo. E con una regola non scritta, ma accettata da tutti: da qui non si esce puliti, perché se non ti infanghi (almeno un po’) godi solo a metà. Sulle loro teste, in una sera di fine estate, uno spicchio di Luna suggestiva e instagrammabile. Per scaldare i presenti, passano canzoni di Lucio Battisti, Loretta Goggi (Maledetta primavera) fino a quel Vasco Rossi che, con Albachiara lasciato come ultimo brano prima dell’ingresso in scena, sembra un punto di riferimento dichiarato e una risposta alle critiche di emulazione. Sugli schermi, un avvertimento lampeggiante: “Danger: materiale esplosivo”.
L’intro è un teaser di quello che succederà nelle due ore successive, un medley dei brani più famosi di Olly e di quelli amati dai fan della prima ora remixati, oltre a una parte strumentale, sintesi della miscela di beat truzzissimi e momenti da rock band solida che si sentirà, con chitarre acustiche, sax e violino che si alterneranno a casse dritte. A questo punto manca solo il protagonista della Grande Festa, come sono state ribattezzate le due date all’Ippodromo Snai San Siro di Milano (la prossima giovedì 4 settembre). E quando esce, sorretto da un muro di suono, luci abbaglianti e il boato del pubblico, sembrano mancare solo i fuochi artificiali di Capodanno. Ma il primo stupito è proprio lui, Olly, il vincitore dell’ultimo Sanremo che, dopo Balorda nostalgia, si è ritrovato a guidare un popolo che forse non si aspettava di avere quando ha messo piede fuori dall’Ariston.
Sul palco Federico Olivieri, questo il suo vero nome, è irrequieto: va avanti e indietro camminando a lunghe falcate e guardando direttamente le prime file. E, come Vasco, ogni tanto si inarca all’indietro con quel gesto ambiguo tra l’air guitar e l’evocazione fallica. Al netto delle citazioni, però, ha già una postura sua: quella di un ventenne che si mette a nudo davanti a una folla sterminata e non si vergogna di dirlo. «Potrei usare mille parole per spiegare quello che provo in questo momento ma non ci sono. Stasera si canta. Vi faccio una sola promessa: sarà bellissimo».
Da Polvere a Quei ricordi là, il pubblico canta a memoria, fino a Bianca, la sua personale Sally. In Una vita canta versi che suonano come dichiarazioni generazionali (“cerco l’affetto nei porno”) o denunce sociali (“chi non si sente rappresentato dal sindacato, dalla chiesa e dallo Stato”). Poi si immerge in atmosfere vaschiane con arpeggi che ricordano Gli angeli (Paranoie), prima di ribaltare il tavolo con la tiratissima Un’altra volta.
Olly, in questa megafesta, tiene insieme tutto: le sue origini, chi ha creduto in lui, gli ascolti adolescenziali e quelli che gli hanno permesso la svolta, il blues celebrato bevendo con la band un Montenegro come se fosse in uno dei peggiori bar della sua Genova. C’è il set acustico con la dedica di pancia: «Solidarietà a quello che sta accadendo a Gaza, fanculo a tutte queste stronzate!». E c’è l’autoironia. «Dovrei cambiarmi, sono sudato marcio e puzzo da far schifo. Ma purtroppo la lavatrice si è rotta», scherza per lanciare il pezzo successivo a quello dove ha duettato con Emma (unica ospite con Enrico Nigiotti) su Ho voglia di te. Difficile, comunque, respirare in questo live così fitto dove sfilano Depresso fortunato, che diventa una pogo-song, Scarabocchi e Fammi morire, Noi che, un inno scandito da quel “siamo liberi, siamo liberi” (“però liberi da che cosa…”) o Il campione, fino a Balorda nostalgia, la canzone che «qualcosa ha cambiato», ammette incredulo, con il pubblico che diventa un’unica voce. Come con Devastante, altro pezzo da stadio. Olly chiede un applauso «alla prima svenuta», fa intonare gli auguri di compleanno cantati da tutti e 34 mila i presenti e a un certo punto, giustamente esausto, crolla ai piedi di Juli («mio fratello») e si gode lo spettacolo sdraiato sul palco. C’è una genuinità che non appare costruita: quando è a terra e ripete «cosa sto vivendo», capisci che non è una posa. Alla fine annuncia il prossimo passo, quello di tornare a casa alla grande: il live del 18 giugno 2026 allo stadio Luigi Ferraris di Genova.
Olly si è presentato a Milano con un concerto solido musicalmente, dimostrando di avere una voce notevole, nonostante il supporto qua e là dell’Auto-Tune e una tenuta fisica invidiabile per oltre due ore di fronte per la prima volta a migliaia di persone (lui stesso ha sottolineato: «Per vedere quanti siete devo guardarvi nello schermo, non sono abituato»), tenendo insieme tutto con un pop (nell’accezione più popolare del termine) che sembra una personale propensione umana prima ancora che artistica. Non è il nuovo Vasco Rossi e non ce n’è certo bisogno. Ma se è vero che «la tradizione è la vita che continua» (cit. Eduardo De Filippo), allora lui incarna perfettamente questa definizione.












