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Caro Ernia, il tuo pubblico è meraviglioso

Poter contare su chi apprezza la musica che fai è gratificante, ma se chi ti ascolta riesce addirittura a volerti bene, be', hai vinto due volte. Un capitale umano del genere ce l'hanno in pochi, Ernia lo sa e non ha voluto dilapidarlo: il live del Forum di ieri è stato un gigantesco attestato di stima per chi ci è sempre stato

Caro Ernia, il tuo pubblico è meraviglioso

Foto di. Vincenzo/Mondadori Portfolio via Getty Images

I bravi critici letterari, e ancor di più gli scrittori di valore, sanno quanto può essere frustrante, difficile e impegnativo non solo trovare una buona lingua, ma anche mettere in piedi una struttura che sia all’altezza della storia che si vorrebbe raccontare.

Uno come Ernia, però, queste cose le conosce già: nel sottobosco dell’hip hop italiano, l’ex Troupe D’Elite incarna una specie di anomalia di sistema. La sua parabola è quella di un lettore vorace destinato a diventare un romanziere di grande mestiere, ma che a un certo punto ha trovato nel rap l’espediente narrativo perfetto per raccontare il suo microcosmo interiore e ha scelto di seguire quella strada.

Non a caso, la prima volta al Forum di Assago è stata un trionfo: Ernia è riuscito a centrare l’obiettivo, a portare in scena il piccolo bildungsroman cantato che ha lasciato rinchiuso nel cassetto per anni.

L’esorcizzazione delle paure è il cuore della poetica del rapper milanese da tempi non sospetti – il titolo ammanitiano del suo ultimo album è l’ennesima conferma di questo assioma; gli spauracchi, però, non si scacciano a colpi di individualismo, ma riscoprendo una dimensione collettiva.

Da questo punto di vista, il live di ieri è la conclusione ideale di un percorso iniziato nel 2017 in un’anonima cameretta di QT8, di pomeriggi trascorsi a scrivere in completa solitudine i testi di Come uccidere un usignolo, provando a rialzarsi dal mancato balzo in avanti dei Troupe D’Elite. Un viaggio culminato in un’apoteosi generale davanti a 12 mila persone che nella sua consacrazione, alla fine della fiera, ci hanno sempre creduto.

Potere contare su un appoggio del genere è una fortuna: il pubblico di Ernia è differente, ha un retrogusto splendidamente antico, disconosce la piaggeria e il concetto di fandom, trova un collante nel gusto per la parola. Per un artista contemporaneo, il vero miracolo è proprio questo: sapere che esistono persone che apprezzano la musica che fai è gratificante, ma se quelle stesse persone riescono addirittura nell’impresa di volerti bene, be’, forse la tua musica è ancora capace di innalzarsi al di là del mercato e delle logiche distorte dello streaming a ogni costo.

Nella mia analisi da antropologo arrangiato del mercoledì sera, sugli spalti e nel parterre non ho visto acritici consumatori, ma Millennial e Gen Z capaci di mettere da parte ogni linea di fattura generazionale, di sacrificare le differenze sull’altare della musica, di rispondere a quel bisogno primordiale di storie che edifichino e non distruggano, le stesse che Ernia racconta da anni. Giovani e giovanissimi che pensano, si interrogano, forse riescono addirittura ad ascoltare un album nella sua interezza. Un capitale umano del genere ce l’hanno in pochi, Professione lo sa e non ha alcuna intenzione di dilapidarlo.

Mettere in fila, e all’inizio della scaletta, pezzi come Morto dentro, Così stupidi, Cattive intenzioni, Non me ne frega un cazzo, Il mio nome e Mery per sempre è un gigantesco attestato di stima verso amici e ascoltatori di antica data.

Per premiarli, Ernia ha dato corpo a un live in totale controtendenza allo spirito del tempo filomercatista in cui siamo immersi, dedicato a chi c’è sempre stato, a chi investiva emotivamente sulla sua musica da prima della consacrazione nazionalpopolare di Superclassico: quel pubblico che si è sforzato di ascoltarlo, che ha individuato nella sua musica e nelle sue scelte narrative un conforto alle piccole e grandi angosce quotidiane e che, non a caso, rappresentava la porzione maggiormente consistente del Forum.

Per farlo, Ernia ha preso in prestito la lezione che Stephen King ci ha lasciato in eredità con It: all’interno del Forum, per 120 minuti siamo stati tutti abitanti di Derry, figli dannati di una coppia di redneck disfunzionali del Maine, membri onorari di un gigantesco Club dei Perdenti, dodicenni grassi con le ginocchia sbucciate impauriti da un Pennywise pronto a terrorizzarci acquisendo di volta in volta forme diverse: ansie legate al sesso, al reddito, al razzismo, alle ferite di classe, a quei giudizi estetici crudeli capaci di segnare una vita antera, alle violenze psicologiche, alla guerra, ai pensieri che ti assalgono quando la tua compagna sceglie di abortire in ospedale e, per ingannare l’attesa, decidi di instaurare un dialogo con un bambino che non conoscerai mai. A prescindere dal dato anagrafico, ieri la partita contro la paura l’abbiamo vinta tutti.

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