Brian Eno a Londra ci ha ricordato che la musica è sempre politica | Rolling Stone Italia
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Brian Eno a Londra ci ha ricordato che la musica è sempre politica

Il compositore, accompagnato dalla Baltic Sea Philharmonic, ha portato alla Royal Festival Hall uno show intenso tra l’esecuzione completa di ‘The Ship’, alcuni grandi successi e un pensiero alla situazione palestinese

Brian Eno a Londra ci ha ricordato che la musica è sempre politica

Brian Eno al Southbank Center di Londra

Foto: Pete Woodhead

«Scusatemi, non voglio farvi la predica da qui, ma è un momento storico in cui bisogna esserci. Unitevi ai prossimi cortei. Nei corte si chiede una cosa sola: cessate il fuoco, basta con queste morti». Con queste parole Brian Eno riprende posizione sul palco dopo la merita prima standing ovation della serata. Il pubblico della Royal Festival Hall al Southbank Center di Londra è ancora in piedi quando il musicista inglese – accompagnato per l’occasione dalla Baltic Sea Philharmonic – attacca con Bone Bomb, un brano scritto quasi vent’anni fa (contenuto in Another Day On Earth, 2005) e che racconta del conflitto israeliano palestinese attraverso gli occhi di una giovane kamikaze palestinese e di un medico israeliano che deve curare i feriti dell’esplosione. Dopo un’ora di performance è un momento toccante, struggente, che culmina nei requiem di Making Gardens Out of Silence (quasi una reminiscenza di un’altra canzone elettrica sulla guerra, la O Superman di Laurie Anderson) e There Were Bells che chiudono un concerto divenuto improvvisamente e inaspettatamente politico, contemporaneo.

I componenti della Baltic Sea Philharmonic entrano in scena dai lati, accordandosi mentre si muovono sul palco. Non hanno spartiti, non hanno sedute (tranne negli strumenti che le necessitano come l’arpa, il violoncello o la viola da gamba, «uno strumento difficile da vedere in un’orchestra» spiegherà Eno ricevendo un sentito ringraziamento dal musicista) e non hanno un outfit accademico, bensì t-shirt nere con un grande cerchio colorato al centro che si differenzia da concertista a concertista. L’unico a permettersi le scarpe bianche è l’istrionico direttore d’orchestra Kristjan Järvi. Oltre alla filarmonica sul palco ci sono l’attore Peter Serafinowicz, il chitarrista Leo Abrahams e il tastierista Peter Chilvers.

Brian Eno fa il suo ingresso tra gli applausi (saranno una costante nella serata) in camicia colorata. Il palco, finora – ma sarà così per la prima sezione dello spettacolo – illuminato solamente dai lati, si arricchisce di due raggi di luce che evidenziano il compositore. E colpisce vedere Brian Eno, solitamente così schivo e lontano dai palcoscenici, essere al centro dell’attenzione, volutamente sottolineato dalla composizione del palco.

Foto: Pete Woodhead

Ma il motivo è presto detto: Eno per quasi tutto il concerto, infatti, canterà. Lo show, diviso in tre sezioni (una dedicata all’esecuzione integrale di The Ship del 2016, una ai “grandi successi” e una – come detto – politica), vede infatti la sua voce tornare ciclicamente dall’iniziale The Ship a By This River, da And Then So Clear alla conclusiva There Were Bells. Una voce che – a 75 anni – suona ruvida e profonda ed emozionante, quasi come se Eno fosse improvvisamente diventato un crooner. Non è propriamente intonatissimo, ma il suo timbro ha una precaria gravità che si fonde nelle sfumature sospese dell’orchestra. Per chi si aspettava un approccio da compositore sperimentale, tutto elettronica minimalista, trovarsi di fronte l’Eno cantante è strano. Una scelta così voluta che ha però un suo fascino: pensare che Eno abbia a disposizione un’orchestra di trenta elementi e decida di utilizzarla quasi esclusivamente per costruire ambienti sonori sopra cui cantare è spiazzante. Ed essere spiazzati è sempre un bel segnale di vita.

A dialogare con il pioniere dell’ambient music la giovane Baltic Sea Philharmonic, un ensemble contemporaneo con un approccio alla performance fresco: i corpi (qui la reminiscenza va all’amico di una vita, David Byrne) dei concertisti vengono utilizzati come scenografia in movimento, gli strumenti non sono solo suonati, ma anche colpiti, sfregati, percossi, mentre la direzione di Järvi è tutt’altro che canonica, con il direttore che oltre a partecipare attivamente al suono con tamburi e controller, sottolinea emozionalmente i passaggi con il proprio incedere, lasciandosi libertà di composizione e improvvisazione con i musicisti durante The Ship («in questa piece c’è come una guerra di sottofondo», spiegava Eno) per poi pian piano retrocedere e ricomporsi nelle altre due sezioni, sicuramente più formali per l’uso dell’orchestra.

Un ensemble che viene pensato da Eno non tanto come possibilità d’ampliamento degli arrangiamenti, ma in particolar modo come mezzo espressivo di controllo delle dinamiche («voglio che suonino come intendo io la musica: dal cuore, non dalle partiture»). Ci sono dei pianissimi (in cui anche solo spostarsi sulla sedia sembra disturbare la performance) e momenti di grande intensità, degli accenni e dei sospesi, come se Eno pensasse l’orchestra come un potenziometro elettrico per equilibrare i vari momenti compositivi ed emozionali dei brani. Questo, come detto, funziona perfettamente nei 50 minuti scarsi di The Ship, un po’ meno nel trittico “dei grandi successi” By This River, Who Gives a Thought e And Then So Clear. Le due sezioni, sproporzionate anche nella durata, non sembrano infatti dialogare. The Ship funziona una performance a sé, con luci e atmosfere pensate come uno spettacolo teatrale a cui, in coda, sono stati aggiunti tre brani che suonano più come una restituzione o un riempitivo. Parentesi a parte l’encore politico (parte dei proventi della serata saranno destinati a MAP, Medical Aid for Palestinians), una scelta che nelle parole di Eno è suonata obbligata dal momento storico.

Foto: Pete Woodhead

Dalla nave di Eno, comunque, ne escono tutti felici. Uno spettacolo da cui il musicista si porta a casa due lunghe standing ovation (era il secondo show della giornata, quindi immaginiamo che il compositore se ne sia portate a casa almeno quattro) che sembrano finalmente un’occasione importante pubblica per poter rendere omaggio (non a caso la richiesta della Biennale di Venezia è arrivata a seguito del Leone d’oro alla carriera) a uno dei musicisti più influenti della storia della musica moderna. C’era bisogno che Eno e il suo pubblico si incontrassero e ringraziassero a vicenda; questo tour sarà l’occasione perfetta.

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