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Al Circo Massimo i Thegiornalisti hanno celebrato la fine dell’Itpop

Il pirotecnico live romano della band rappresenta l'apogeo dell'indie e al contempo un punto di non ritorno. Il genere entra in un'altra dimensione, mentre Tommaso Paradiso consacra la sua aura di uomo medio di successo

Foto: Federica Iannella

Il concerto dei Thegiornalisti al Circo Massimo di Roma è stato così definitivo e pieno di ospitate crossover che ha rappresentato, per l’itpop, quello che per gli Avengers è stato Endgame: una rimpatriata che è anche un punto di non ritorno. Il momento più alto, ma anche, inevitabilmente, l’ultimo di una saga, che, necessariamente, porterà la comitiva altrove. I cicli carica-scarica della musica indipendente e del mainstream sono un problema che, in tutte le epoche e in tutti i luoghi della storia culturale, ha afflitto ogni campo dell’espressione artistica. Pensate alla prima incisione rupestre a forma di cervo, poi ripetuta ossessivamente su tutta la grotta preistorica. Ciò che tua madre chiama guilty pleasure, fino a che non l’apprezzano anche le sue amiche, il resto del mondo chiama indie. Massa e nicchia sono due lembi di una stessa coperta che è molto difficile possa riscaldare tutti i cuori.

Sulla mutazione in atto la dice lunga il fatto che la più importante serata di sempre dell’indie italiano sia cominciata con una puntualità quasi impiegatizia: annunciando, al microfono, un quarto d’ora di ritardo sulle 21, come se un’attesa di almeno mezz’ora non fosse stata messa a bilancio, con affettuosa rassegnazione, anche dalla più ansiosa delle fan. Ed è finita allo stesso modo, senza nemmeno il sospetto di un bis, nell’ordine più totale, garantito sì da una straordinaria organizzazione, ma anche da un’evidente mozione di regolarità da parte della band, che mal si sposa con un leader che nel corso della serata autocertifica, a più riprese, di star bevendo gin tonic al posto dell’acqua. Per essere un concerto colossale che si svolge in un’area archeologica, e per giunta a Roma, tutto fila così liscio che cominci a farti qualche domanda. E, guardandoti attorno, capisci la verità.

La scenografia di Love al Massimo era semplice, ma suggestiva: fontanelle sputafuoco, passerella a Y proiettata nell’area Love e costeggiata da geyser di fumogeni, 8 maxischermi quadrati formato Instagram, il chitarrista Marco “Rissa” Musella e il batterista Marco Primavera. Per semplificare al massimo i costituenti del numerosissimo pubblico, oltre 40.000 presenze, si potrebbero individuare tre fasce: i pre-Riccione (che occupavano l’area Love, sotto palco e sotto passerella), i post-Riccione (area pratone) e i rosiconi e i Thegiornalistai della primissima ora (che erano perlopiù a casa, rispettivamente perché rosicavano o perché, come l’osservatore del Barcellona che scoprì Messi non va alla finale di Champions League, hanno preferito lasciare volare il loro campione da solo). Si stima che proprio ai rosiconi fossero dovute le due voci, entrambe infondate, che hanno aleggiato fin da un mese prima della data: 1) non ci sarebbe venuto nessuno; 2) il gruppo si starebbe per separare.

Il grosso dell’area pratone e dunque del Circo Massimo era occupato da signore in età da Tommaso Paradiso, una categoria anagraficamente sempre più ampia. Prova che l’itpop, raggiungendo la sua maturità, stia diventando sempre più mammapop, il pop che piace alle madri: abbastanza da renderle accettabili come compagnia alle figlie, ma non abbastanza da metterle in difficoltà con i mariti, che comunque sono venuti in rappresentanza della categoria, fingendo il meglio possibile di non ricordare tutti i ritornelli. È stato toccante scoprire come anche le più giovani, che occupavano le gradinate della cavea, vedendo Tommaso da lontano così piccolo, così sudato, così affaticato nei falsetti, scoprissero in loro una vocazione protettiva anzitempo, giocando alle mamme a loro volta: Come si è vestito brutto. Avrà mangiato? Sempre con quegli occhialacci, Tommaso mio. Menomale che se li è tolti, che occhi.

Le MILF dei Parioli, invece, altra fetta consistente dell’elettorato paradisiaco, erano rappresentate da Martina Stella che, con in testa un cappellino degli Yankees, dopo aver rinunciato ai privilegi del palchetto hospitality (si segnali l’occasione persa di chiamarlo Theaccreditati), guadagnava a colpi di punte bionde il sottopalco dell’area Love, con lo stesso spirito di sacrificio con cui l’elfa Arwen, nel Signore degli Anelli, rinuncia all’immortalità: per amore. Nel corso del concerto avrebbe poi dimostrato di appartenere alla fascia pre-Riccione, dato il modo in cui cantava anche i pezzi più oscuri della scaletta, perfino Mare Balotelli.

Per tutto il concerto, Tommaso usa la passerella a Y come un raffinato strumento di comunicazione, sebbene quasi sempre a una via. Ruba e indossa cappelli e fasce “Love al Massimo”. Requisisce una maglietta e ne legge il claim, interrompendo il pezzo: “Completamente fatta di te”. “Qualità”, detta, taggando a voce il post che qualcuno pubblicherà. “Volete fare dediche? Onomastici, compleanni?” Sconsiglia a Jessica di sposarsi con Carmelo. “È sempre troppo presto”, chiosa. “Sembra che sbiascico, ma è solo che arrivo in latenza”. “Qualcuna, un reggiseno?” Alla fine della canzone siamo già a quota due, “ma possiamo arrivare a molto di più, almeno quaranta”. In poco tempo, tra Love e Una casa al mare, la Y diviene una pista di atterraggio per velivoli intimi, che vengono inviati sempre da più lontano. Le ragazze se li sfilano borghesemente, quasi mosse da senso del dovere, responsabilizzate dalle esigenze dello spettacolo, come le madri di famiglia, in tempo di guerra, fondevano le fedi nuziali per amor patrio. Delirare, ma con giudizio.

Introducendo il brano Controllo, Tommaso teorizza, fissando definitivamente, sopratutto a vantaggio del pubblico post-Riccione, alcuni fondamentali aspetti del credo artistico dei Thegiornalisti: “La nostra poetica, che è anche uno stile di vita, è stare sempre in equilibrio tra lo sfascio e la perfezione, la salute, il benessere”. E l’esercito di mamme mute, contente per un duplice motivo del fatto che potrebbe essere loro figlio, però, in fin dei conti, non lo è. Tommy legge loro nel pensiero: “Che belle le mamme. Anche la mia, che è qua”. E tutti i maschi alfa presenti nell’area Hospitality, all’unisono, a cercare di individuare la Milf di Paradiso. Perché, d’accordo, saprai anche scrivere dei bei tormentoni, ma, in fin dei conti, chi la fa l’aspetti.

Tommaso trascorre gran parte della scaletta sulla passerella e non sul palco. La cosa potrebbe sembrare un segno di distanza nei confronti del resto della band, lasciata nelle retrovie, soprattutto con le voci di separazione in corso. Allora l’artista cerca di sistemare le cose in varie occasioni, non sempre con destrezza. “A Walterì, suoname questa facendomi sentì er basso”. Dal centro della biforcazione della Y, chiama a sé il chitarrista: “Ora che pezzo facciamo, Marcolino?”. Sforzi inutili: come San Gennaro ci ha insegnato, non c’è alcun pericolo che si sciolga qualcosa che è non è mai stato del tutto coagulato. Infatti, dopo una pacca sulla spalla, segnando con chiarezza i rispettivi territori, lo lascia a suonare su un braccio della passerella, mentre lui va a ritirare un nuovo reggiseno, sull’altro.

Agli ospiti, come Franco126, va molto meglio: il cantautore romano rimedia un abbraccio e un filtro bianco e nero dedicato per i maxischermi. Carboni viene presentato come “il padre inconsapevole dell’itpop”, definizione che, inevitabilmente, a giudicare dalla sua espressione, lo lascerà inconsapevole di questo fatto ancora per diverso tempo. Edoardo D’Erme — “mio fratello Calcuttino” — viene fatto duettare su La fine dell’estate, in cambio di un successivo omaggio-parodia del ritornello di Paracetamolo.

Elisa viene introdotta, a sorpresa, facendola cominciare a cantare da dietro le quinte. Quando Tommaso la va a ritirare, prendendola per mano e bisbigliandole all’orecchio che stanno per andare in pausa, sembrano le prove generali dell’interruzione pubblicitaria di un one man show indie e distopico targato Rai, che ci starebbe tutto, anche prima di un ventennio di concerti così, se solo le nonne italiane potessero dimenticare Baglioni. Per fortuna, in attesa di un evento del genere, come ricorda Paradiso chiudendo la serata, al termine di Felicità puttana: “L’amore vincerà sempre e per sempre”.

Se questo concerto ha avuto un pregio extra-artistico, infatti, è stato quello di rendere possibile l’esperienza di un grande show di musica leggera a intere categorie umane che, per n motivi, ma soprattutto per paura del traffico o di dover prendere un mezzo pubblico, a un concerto non andrebbero mai. Se i Cinque Stelle sono stati politica for dummies, quando hanno riavvicinato a un mondo tantissime persone che ormai se ne erano allontanate, perché quel mondo si era allontanato dalle loro esigenze, così i Thegiornalisti sono le parole crociate facilitate della musica dal vivo. E Tommaso, che da ieri più che mai è il cantante medio, come Mike Bongiorno era l’everyman di Umberto Eco, è bravissimo a fare tutte le cose che ci si aspetta da un cantante, con il giusto tempismo e il corretto grado di anticonformismo, a ripetizione, con attenzione a ogni dettaglio: ubriacarsi in scena, alzare la mano non microfonata con fare esultante, eseguire il suo passo di derivazione tribale, con le gambe divaricate e i quadricipiti in tensione.

Il più grande merito della musica dei Thegiornalisti è che il pubblico, ascoltandola, non solo dimentica i problemi della vita quotidiana, le ansie del lavoro, ma anche la questione della musica stessa, quando essa, per essere apprezzata, richieda una sforzo cognitivo maggiore di Riccione. Fino ad abbassare, si spera con indotto positivo anche per il resto del mercato, la soglia di sbarramento perché, anche da profani, si prenda in considerazione l’idea di pagare per due ore e mezzo di felicità (nell’area Love), 53 euro + 8 di prevendita + almeno 20 di reggiseno.

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