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40 anni ‘Sotto il segno dei pesci’ con Antonello Venditti

Il concerto di Venditti è una festa di persone felici che per tre ore cantano canzoni che li riportano all’adolescenza, che parlano d’amore e di amicizia: ci sono tre diverse generazioni e almeno altrettante estrazioni sociali, unite da un (quasi) settantenne e dall’anniversario di un disco che uscì negli anni del terrorismo eversivo

Foto via Facebook

«Ma stasera nun c’è mica Venditti…» un addetto alla sicurezza col gilet giallo prende in giro una coppia spaesata che gli sventola sotto il naso i propri biglietti, chiedendo dove fosse l’entrata per il primo anello. Dallo schieramento luminescente di paninari di fronte al Palalottomatica arriva l’odore di fritto e salsiccia che mi riporta indietro alla vita notturna e alle schimicate adolescenziali, arrivano anche spezzoni di Grazie Roma, Notte prima degli esami, Dalla pelle al cuore, e anche se questo in effetti potrebbe non voler dire niente, il dispiego di forze dell’ordine, di bagarini, venditori di fascette e parcheggiatori è quello delle grandi occasioni.

Sotto a una (quasi) luna piena – che in coincidenza del solstizio d’inverno si rivedrà soltanto fra un secolo – il traffico su via Cristoforo Colombo in direzione Grande Raccordo Anulare è congestionato come sempre, forse anche più del solito, visto che ora c’è il centro commerciale ed è quasi Natale.

Quarant’anni fa non c’era neanche l’ombra del centro commerciale, c’erano più che altro campi e il quartiere EUR dove si trova il Palalottomatica – che si chiamava semplicemente PalaSport – era l’ultimo lembo di città prima della strada spianata verso il mare di Ostia.

Mi sento un po’ stupido, ma appena Antonello Venditti sale sul palco del Palalottomatica, non riesco a non pensare al meme sulla somiglianza con Nick Cave, anche perché l’ultima volta che sono stato qui per assistere a un concerto era poco più di un anno fa, proprio per Nick Cave. In un’atmosfera totalmente diversa, con un pubblico totalmente diverso. Qui c’è una specie di carotaggio di Roma e dell’Italia, se non di tutto er mondo infame del 2018, persone felici per tre ore, che cantano canzoni che li riportano all’adolescenza, che parlano d’amore e di amicizia, tra strettissime misure di sicurezza anti-terrorismo. Ci sono tre diverse generazioni e almeno altrettante estrazioni sociali, unite da un (quasi) settantenne e dall’anniversario di un disco che uscì negli anni del terrorismo eversivo, in un contesto politico e sociale che non si riesce neanche più a capire quanto fosse peggiore di quello attuale: alla vigilia del rapimento di Aldo Moro e della legge sull’aborto, poco prima che Sandro Pertini fosse eletto presidente della Repubblica e Karol Wojtyla papa.

Sotto il segno dei pesci è una specie di raccolta di racconti, è pieno di personaggi che Venditti ha reso di nuovo giovani e attuali sul palco, personaggi che si nascondono tra il pubblico, che li ha cantati ininterrottamente. Sara oggi potrebbe tranquillamente essere una protagonista di Baby, la serie prodotta da Netflix, giovanissimi come ce ne sono tantissimi sugli spalti che si scattano selfie e registrano video dagli smartphone, Chen il cinese oggi venderebbe ancora la sua erba dolce, ma senza THC in un negozio in franchising, Giulia sarebbe parte integrante delle odierne battaglie femministe.

In scaletta la parte dedicata al disco appena rimasterizzato è il cuore di uno spettacolo lunghissimo, in cui Venditti, accompagnato sporadicamente da Ermal Meta, ha rifatto tutti i pezzi più celebri del suo repertorio e anche le rivisitazioni più recenti, come quella di Giulio Cesare in cui Paolo Rossi e i mondiali dell’86, diventano Francesco Totti e i mondiali del 2006, con tanto di ovazione quando sul maxischermo appare una foto del capitano. Poi c’è un altro Francesco, che è De Gregori, salito sul palco durante il bis finale per cantare Roma capoccia, uno dei momenti più esaltanti della serata.

Fra quarant’anni Roma sarà in buona parte una palude sommersa dal mare bollente, su questo pianeta resteranno solo gli esseri umani più poveri, abbandonati ai batteri, ai roditori e ai detriti di una guerra nucleare, su Marte non ci saranno anniversari dei dischi trap, nessuno si ricorderà dei TheGiornalisti, tra i superstiti ci sarà solo qualche figlio, anzi, nipote, di una vecchia canzone.

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