10 cose che potremmo dire di Laura Pausini dopo #Laura30 | Rolling Stone Italia
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10 cose che potremmo dire di Laura Pausini dopo #Laura30

Tre concerti a New York, Madrid e Milano in 24 ore. Come Phil Collins al Live Aid, più di Phil Collins al Live Aid. Siamo stati al Carcano per capirne un po' di più del fenomeno, trent'anni dopo l'esordio

10 cose che potremmo dire di Laura Pausini dopo #Laura30

Laura Pausini all'Apollo di New York per la sua ventiquattr'ore di concerti

Foto: Francesco Prandoni

È l’una e mezza di notte, e in un piccolo ma storico teatro di Milano, nel quale Enzo Jannacci (spalleggiato da Dario Fo e Sandro Ciotti) sosteneva di aver amoreggiato in piedi, per una cifra modica, con tale Veronica, Laura Pausini sta discutendo (in piedi) con un gruppo di fan che hanno superato la barriera dell’adorazione sgomenta per arrivare a quella della complicità.

È una chiacchierata tra nostalgia e ironia, sopra le righe, come spesso capita nel Pausinistan. Il presente giornalista non interviene, è un momento loro. Però già che è lì vicino (in piedi), coglie alcune battute forse significative. L’artista: «Avete visto che c’era Lazza? È stato carino». Fan: «Sai cosa dovevi dirgli, a Lazza? Ci vediamo tra trent’anni». «Che cattiveria. Be’, magari sì, io e Lazza ci vedremo tra trent’anni… Che poi sai quanta gente lo ha detto a me (pausa pausiniana). Alla fine tutto questo non sarebbe stato possibile senza Marcella… e Anna Oxa», proclama l’artista. Fan: «Grandi». «Leggende». «I Sanremo di quei tempi…». «Con Jo Chiarello!». Artista: «Ma come ti viene in mente, Jo Chiarello? Chi, oggi, può conoscere Jo Chiarello?». Fan: «Jo Chiarello si dovrebbe studiare nelle scuole come Dante». L’artista, in piedi, scuote la testa ridendo. Poi torna su un concetto già emerso qualche ora prima, sul palco: «La verità è che sì, i Grammy, gli Oscar, quello che volete. Ma per noi quello che conta è Sanremo».

E così, Laura Pausini riporta tutto a casa. In 24 ore si è esibita all’Apollo Theatre di New York, QUELL’Apollo Theatre (James Brown, Billie Holiday, i Jackson Five e tutti gli altri), The Music Station a Madrid, poi al Teatro Carcano di Milano, in cui si esibiva Giorgio Gaber (la cui figlia, nota baronessa della comunicazione, sta ascoltando anche lei tutto questo – in piedi). Esattamente trent’anni fa, il 27 febbraio 1993, da perfetta sconosciuta di provincia vinceva Sanremo con La solitudine, con la quale ha chiuso questa maratona di tre concerti tra America ed Europa. Ma la prima delle conclusioni che possiamo trarre da questo giubileo pausiniano è che…

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Sanremo è il mostro primordiale i cui tentacoli stritolano ogni musicista italiano

La verità è che puoi anche essere una star globale ma, intanto, l’Italia diffida di chi è apprezzato all’estero (chiedere ai Måneskin). E poi il pubblico italiano è da anni in fase autarchica (un governo di patrioti era solo inevitabile) e anche per la maggioranza dei giovani italiani quello che succede oltre i sacri confini fatti di fettuccine conta poco o nulla. Stiamo parlando di musica, ma potete anche applicarlo a tutto il resto (ok, calcio escluso). E a quanto pare persino Laura Pausini è costretta a prenderne atto. Anche perché vive una curiosa situazione.

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Laura Pausini è fondamentalmente come il Papa

Ovvero: pur avendo una quantità considerevole di fedeli, non ha una vera autorità sul pop italiano. È ovvio che ha influenzato parecchie artiste delle generazioni successive (Marrone, Amoroso, ma non di rado anche Elisa, per fare un nome fatidico, ha pausinizzato il suo pop). Ha un carisma incontestato che ne fa la leader naturale dei concerti al femminile delle Amiche per l’Abruzzo o Una Nessuna Centomila. Ma il giochino del pop si fa con la coolness del proprio brand e, per qualche curioso motivo musical-sessista, il brand di una cantante si misura in featuring e hit estive. E la Papessa Pausini non si è mai mossa in questa direzione. Il che va a suo merito, ma è un mondo cinico e baro, ancorché circonfuso di glamourosa eccitazione per qualunque cosa ci prometta che durerà pochissimo e non ci impegnerà troppo. In un consulto democratico, il voto degli indecisi andrebbe a candidate più visibili. E non è solo una questione di anagrafe: la succitata Elisa Toffoli ha tre anni meno di Laura Pausini, ma ha saputo coltivare la sua presa sull’elettorato italiano (in questo Paese che si dice modernissimo, tantissima televisione fa sempre benissimo).

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Laura Pausini ha bisogno di hit

Be’, come tutti, oggigiorno. Se ancora vi baloccate con gli album, datevi dei boomer da soli. Siamo tornati ai singoli come negli anni d’oro di Sanremo (appunto), e forse per prendere con decisione questa strada, dopo aver ringraziato dal palco del Teatro Carcano Niccolò Agliardi che ha tenuta alta la cifra autoriale delle sue canzoni negli ultimi dieci anni, la Papessa Pausini ha annunciato che il suo prossimo singolo apparentemente intitolato Un nuovo inizio è scritto con Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari (tre album e tre singoli in classifica, in questo preciso momento). Ne fa sentire un minuto e mezzo. Chi lo sa, magari la riporta al numero uno.

Foto: Francesco Prandoni

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Laura Pausini sente di aver bisogno di un nuovo inizio

Alla fine, la maratona con i concerti sui due lati dell’Oceano Atlantico alla Phil Collins (che, per inciso, duettò con lei nel 1997 al Propaganda nell’epoca in cui tutti i giornalisti italiani insistevano che la povera ragazzina non sarebbe durata) è un pretesto – tipicamente atletico e muscolare, approccio che la Papessa non disdegna – per far scrivere di lei. E infatti, eccoci, ne stiamo scrivendo. Sia noi che “i giornalisti importanti” che l’hanno seguita anche all’estero in questo minitour de force, e ai quali avrà consegnato in aereo le sue considerazioni. Ma quello che ha detto ai suoi fan dal palco nel concertino conclusivo è comunque abbastanza chiaro. Tutti questi anni da star internazionale sono stati, come dire, interessanti. Eppure, qualcosa manca. Forse, proprio la considerazione del pubblico italiano. Perché sì, i Grammy, e San Siro riempito da una donna per la prima volta, eccetera. Però…

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Laura Pausini ha bisogno (pardon) «di cagarsi addosso»

Questo ha detto, e un migliaio di fan sono testimoni. Al di là dell’espressione, tipica della sua modalità “romagnola sanguigna” (nella quale indulge sempre volentieri), sembra che per il futuro possiamo aspettarci una Laura Pausini per le masse. Perché – qualunque sia il vostro preconcetto su di lei – da tanto tempo non lo è. Chi deve vendere cioccolatini o bevande si rivolge ad altre sue colleghe. E se non sei su qualche prodotto, gli italiani sospettano che tu non abbia un valore commerciale, che è IL valore. La scelta del Pinguino Riccardo è Tattica, e tutto sommato non Nucleare: non dovrebbe scaraventarla in un sound artificiosamente “urbano” che evidentemente non renderebbe giustizia alla musica che Laura Pausini ha professato per trent’anni. Al Teatro Carcano si è esibita con una classica rock band, e se anche un giorno un’esigenza di contemporaneità dovesse portarla alla magica idiozia dell’auto-tune, le sue coordinate sonore più autentiche vengono dalla cultura r’n’b, pop e rock del secolo scorso. In ogni caso…

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Laura Pausini non è il tipo che «sta a casa a grattarsela»

Anche in questo caso, l’ha detto dal palco durante la breve esibizione celebrativa, quindi ci sono un bel po’ di testimoni e sicuramente di video su YouTube e sui social. Altre espressioni meno colorite ma interessanti: «Voglio tornare a sudare». Come dire: ridiscendere dal suo Olimpo internazionale, giù nel caro pollaio nazionale. Ehi, si vede che si annoia). Ma anche: «Voglio vedere cosa c’è di là». E il «di là» parrebbe identificabile nel mondo di Spotify, di TikTok, dei featuring, tutto quello che da anni sembra esserle precluso perché, strano ma vero, la sua musica in questi trent’anni è diventata troppo di alto profilo, rispetto alle esigenze della musica per app.

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Laura Pausini ha una certa età

Non ha ancora cinquant’anni, ma deve aver colto anche lei qualche segnale di accelerazione sistemica. L’obsolescenza del prodotto, che in altre industrie viene tollerata piuttosto stoicamente dai prodotti (tranne i giocattoli di Toy Story), non è facile da accettare, specie per chi fino a pochissimi anni fa ha visto gli over 50 dominare le classifiche e ora si sente dire che nessuno vuole più i boomer. La generazione di Laura Pausini non vive un momento facile, da quando gli album sono stati sradicati dalla fruizione musicale. Vale per tanti suoi coetanei maschi, ivi compresi cantautori amatissimi. Vale anche di più per le artiste donne. Non è facile capire cosa fare. Quando persino Madonna sembra aver perso la direzione, vuol dire che c’è parecchia foschia per chi ha più decenni di carriera da difendere, ma anche voglia di continuare a dire cose. Quali cose?

Foto: Francesco Prandoni

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Laura Pausini ha una spinta a comunicare irrefrenabile

Anche se spesso vengono travolte dalla sua stessa smania di intrattenere («Sono logorroica e con l’età non faccio che peggiorare»), in trent’anni di carriera e viaggi nel mondo (Italia compresa) alcune convinzioni e riflessioni sul mondo e sulla vita Laura Pausini deve pur averle accumulate («Una mente è come un paracadute: non ti aiuta se non è aperta»). In effetti a tratti sono venute fuori. Ma più di persona, tra interviste, social, programmi tv o radio, che nelle canzoni. Nei suoi dischi ha pontificato un po’, ma con cautela. In questo, qualcosa non ha del tutto funzionato.

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Laura Pausini ha un enorme pubblico e gli vuole bene. Ma chissà

Mentre sul palco del Teatro Carcano, tra una canzone e l’altra cerca di raccontarsi, di far arrivare le sue emozioni personali al suo (ripetiamo: il suo) pubblico, i suoi fan si rivelano spettacolosamente indisciplinati. Intendiamoci: tutti i fan, nei concerti di chiunque, sono sempre meno inclini ad ascoltare, e certamente in un teatro si nota di più. Al chiacchiericcio dei commenti incessanti con gli amici si aggiunge l’occasione di riprenderla da vicinissimo col telefonino: non c’è un pezzo in cui la gente rimanga seduta, e non è certo per ballare. In piedi (“al Carcano, in pè”) la si può riprendere meglio col telefonino, o far vedere i propri fogli A4 con scritte significative non appena le luci si accendono; mentre parla, molti sentono di dover cogliere l’irresistibile occasione di farle sentire il proprio grido significativo. I suoi dialoghi con Fabio Novembre non suscitano molta impressione: avrebbe potuto anche dire che ha collaborato con Banksy o Dave Eggers e nessuno ci avrebbe realmente fatto caso, forse nemmeno gli importanti giornalisti. Forse – è un’ipotesi, prendetela come tale – non si è mai ritrovata un pubblico capace di crescere con lei. D’altra parte, non è che capiti sempre, nella musica popolare. Notoriamente è capitato ai Beatles. Nel nostro piccolo, in Italia, a un certo punto era sembrato succedere con Jovanotti. Ma non dura a lungo, vero? Quindi, forse questo potrebbe spiegare il desiderio di Laura Pausini di provare a «vedere cosa c’è di là». Chi lo sa, forse non è mai troppo tardi per fare una mossa Taylor Swift.

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Laura Pausini ha un lato comico sottovalutato

Le battute migliori le consegna con una serietà deadpan da intrattenitrice americana. A quanto pare all’estero si sganasciano quando ci si mette. A Milano, quando scocca la mezzanotte, a sipario chiuso e luci accese, l’artista riappare sul palco (alcuni spettatori, non molti, erano già usciti dal Carcano). Ha un telefono in mano e spiega che sì, è il compleanno della Solitudine, quindi in un certo senso è il compleanno anche di Marco «e delle corna che mi ha messo». Quindi intende telefonargli per fare gli auguri anche a lui. «Lo so che è tardi, poi figuriamoci, in Romagna lunedì sera a quest’ora, uè». Amplificato in tutto il Teatro Carcano di Milano, il telefono suona libero. Nessuna risposta. Mette giù e con una gag forse ben preparata, si lancia in: «Tu non rispondi più al telefonooooo! E appendi al filo ogni speranza miaaaaa!». I fan la seguono e iniziano a cantare Non c’è, seguita da quindici minuti di medley di trent’anni di singoli cantati nella modalità che preferisce: a sirene spiegate, malgrado i tre concerti ravvicinati. Però sentire il povero Marco sarebbe stato interessante, la gag era carina. Chissà come se la sarebbe cavata a fare del teatro-canzone come Giorgio Gaber, Laura Pausini. Al Carcano, in piedi. Forse, insospettabilmente bene. Ok, voi direte che ci vorrebbe un Luporini, più che Pinguini. Ma chissà, forse un domani – tutto è possibile.

Foto: Francesco Prandoni

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