Litfiba: «A noi gli Oasis ci fanno una sega» | Rolling Stone Italia
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Litfiba: «A noi gli Oasis ci fanno una sega»

Nel senso che Piero Pelù e Ghigo Renzulli hanno litigato più dei Gallagher, «perché siamo toscani e teste di cazzo». Ora tornano insieme un'ultima volta per dirsi «ti voglio bene» prima che sia troppo tardi

Litfiba: «A noi gli Oasis ci fanno una sega»

Litfiba

Foto: Riccardo Piccirillo

Dopo tanti tira e molla Piero Pelù e Ghigo Renzulli, che dal 2016 non pubblicano un album come Litfiba e che dal 2018 non portano in tour la musica della band, tornano sul palco ma solo per il definitivo addio alle scene della band e festeggiare i  40 anni (più due, causa Covid) della carriera dei Litfiba. Quarant’anni più IVA, scherzano.

«Vorrei che non rimanesse un senso di vaga mestizia. Dev’essere un “wow, facciamo una festa tutti insieme”», dice Pelù, determinato a far sì che sia la gioia a prevalere sulla malinconia. Soprattutto perché la musica, quella sì, resterà. E se qualcuno volesse consolarsi, l’idea che Pelù e Renzulli possano comunque continuare a fare qualcosa insieme sembra concreta. «Andremo avanti a fare quello che abbiamo sempre fatto, a suonare. È l’ultimo tour ma nulla esclude che magari potremmo fare lo stesso delle cose insieme, come hanno fatto Jimmy Page e Robert Plant pubblicando un album con il loro nome e non con quello dei Led Zeppelin».

I Litfiba sono intenzionati a portare L’ultimo girone, come hanno battezzato il tour di addio ai fan, soprattutto nei club. Si parte con il Gran Teatro Geox di Padova e, tappa dopo tappa, si chiude, anche se il calendario è in aggiornamento, all’Alcatraz di Milano (qui le date). A proposito dei musicisti che li accompagneranno, Pelù e Renzulli si limitano a un vago «ci stiamo lavorando, stiamo mettendo insieme una supermegaband». I nomi di Antonio Aiazzi e Gianni Maroccolo – il primo tastierista della formazione dall’80 al ’97, dal 2003 al 2006 e poi ancora dal 2012 al 2014 e nel 2016; il secondo al basso nei primi nove anni di vita della formazione e nuovamente dal 2012 al 2014 – sembrano quasi certi. Per quanto riguarda invece la scaletta l’idea è cambiarla a ogni data scegliendo un paio di canzoni da ognuno dei 13 dischi della carriera dei Litfiba per poi variare almeno sette, otto pezzi ogni sera. Niente inediti, invece, né sul palco e né in studio. «Abbiamo già 70 canzoni, fateci cantare quelle», scherza Pelù, per poi precisare: «Volendo c’è un sacco di roba che non abbiamo mai pubblicato, ma non mi sento di dire che sono brani pronti da pubblicare».

Per usare una formula abusata, ne hanno viste tante i Litfiba nei loro quarant’anni di carriera. Dalla cantina di Via de’ Bardi a Firenze all’incoscienza dei vent’anni che li ha portati a sperimentare alla ricerca del loro suono fino a spingersi, tra le poche band all’epoca, ad andare in tournée all’estero, scegliendo la Francia, la Svizzera e il Belgio per farsi conoscere fuori dall’Italia. «Erano diventati i nostri territori, là incontravamo tantissime band. Negli anni ‘80 i Litfiba erano più famosi in Francia che in Italia. Vivevamo in cantina ma anche nei nostri furgoni scassati». Nei quarant’anni di storia della band ci sono anche le denunce che fioccavano, il preservativo sul microfono di Mollica («All’estero nei club dove noi suonavamo regalavano i preservativi, mentre qui in Italia il Papa diceva che era un peccato»), i concerti in Russia, i temi ancora oggi attualissimi, l’Aids e le molte persone perse lungo la strada. «Siamo dei sopravvissuti, gli anni ’80 erano il Vietnam». In quel contesto, per i componenti della band i Litfiba sono stati anche una grande scuola di musica, di dialogo, di non dialogo e di vita.

Non senza scontri, come i fan della band sanno bene. «Potremmo litigare su tutto noi due, anche sullo zucchero nel caffè. Un po’ perché siamo toscani, un po’ perché siamo due teste di cazzo», scherza Pelù, che però in fondo è serio. «A noi gli Oasis ci fanno una sega». Le divergenze, anche quelle più marcate, e i periodi di distanza per lui non sono un problema. Ritrovarsi sembra sempre contare di più, come racconta il cantante: «Non vorremmo mai arrivare come McCartney che dice di essersi pentito di non aver mai detto a John Lennon che gli voleva bene… Ti voglio bene!». Renzulli lo sa, non c’è certo bisogno di specificarlo: «Mi hai anche salvato la vita una volta». Secondo Pelù, le volte sono molte più d’una, ma anche lui a quanto pare non ha scordato quella a cui fa riferimento l’amico e collega, che coinvolge un cornicione, una chiesa e – abbiamo sentito bene? – una colata lavica.

Anche se di critiche, negli anni, se ne sono beccate tante («17 re oggi è un gran disco, ma quando uscì non lo considerò nessuno, vendette pochissimo») e anche se niente è stato facile, i Litfiba abbracciano serenamente quella che ritengono la giusta conclusione di una bellissima storia, il compimento della parabola per la quale tutte le cose al mondo hanno un inizio e una fine. Si dicono felici e appagati, ma non del tutto. «Lancio questa provocazione», dice Pelù. «Se qualcuno ancora non si vuole vaccinare, lo accompagno io. Mi avevano consigliato di non dirlo, ma lo dico. Giuro che lo faccio».

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