L’industria musicale sta assumendo persone che pensano in modo diverso? | Rolling Stone Italia
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L’industria musicale sta assumendo persone che pensano in modo diverso?

Artisti come Florence Welch e Billie Eilish hanno parlato apertamente della propria neurodiversità. Ora l'industria musicale sta iniziando a reagire

L’industria musicale sta assumendo persone che pensano in modo diverso?

Foto di Tom Beard

Florence Welch ha problemi con i numeri. Alla cantante dei Florence and the Machine sono state diagnosticate dislessia e discalculia quando era una ragazzina, due tipologie di “difficoltà di apprendimento”, come lei stessa ne ha sentito parlare durante gli anni trascorsi a scuola.

Nella prefazione di Creative Differences – un nuovo manuale sulla neurodiversità pubblicato dalla Universal, pensato per i datori di lavoro delle industrie creative – Welch racconta che nel suo primo lavoro retribuito, come barista, ha provato grande vergogna quando il suo capo disse a tutti della sua incapacità a contare i resti. In seguito, riuscì a escogitare un rimedio, imparando la forma di tutte le monete associandole a un determinato valore. Alla fine, dice Welch, è diventata “una barista piuttosto brava”.

Welch, ovviamente, non è l’unica grande artista che vive in una condizione di neurodiversità, termine che comprende una vasta serie di disturbi come dislessia, disprassia, discalculia, deficit di attenzione o iperattività, disturbo dello spettro autistico (comunemente noto come autismo), sindrome di Tourette. Per citarne alcuni: Carly Simon, Noel Gallagher, Tony Bennett e Chris Robinson dei Black Crowes hanno la dislessia; Solange Knowles, Joe Perry degli Aerosmith, Adam Levine dei Maroon 5, will.i.am e Justin Timberlake hanno un disturbo da deficit di attenzione – i medici hanno anche soprannominato il DRD-7R, un ceppo genetico spesso associato al disturbo, il “gene delle rock star“. Billie Eilish, invece, non ha mai nascosto che le è stata diagnosticata la sindrome di Tourette.

Nessuno dei casi sopracitati è una sorpresa: infatti, se guardiamo i 50 anni di storia del rock & roll, alcuni tra i più grandi musicisti hanno spesso dimostrato di non essere definibili all’interno di quei comportamenti tradizionalmente considerati obbligatori dal sistema scolastico o dal mondo del lavoro. David Joseph, CEO e presidente di Universal Music UK, ha sempre apprezzato il coraggio di questi artisti; il catalogo della sua etichetta, infatti, comprende – oltre a Florence and the Machine e Billie Eilish – anche Loyle Carner, un artista che in passato ha parlato (e rappato) orgogliosamente dei suoi disturbi da deficit di attenzione. Ciò nonostante, durante gli ultimi due anni Joseph e il suo team hanno sviluppato una serie di domande fondamentali per il futuro del music business, ovvero, se molti artisti mostrano sintomi associabili a una qualche neurodiversità, che ne è delle persone che lavorano ogni giorno con loro?

David Joseph racconta di aver avuto una sorta di rivelazione nel 2018, anno in cui ricevette un sms da un artista di cui non vuole fare il nome. Joseph sostiene che questo performer ha “avuto un impatto enorme sulla cultura e sulla vita delle persone”, scrivendo testi capaci di “colpire il pubblico in maniera straordinaria”. Tutto ciò nonostante, rivela, avesse scritto male le parole dell’sms, talvolta invertendone l’ordine in maniera erronea.

Poco tempo dopo quell’episodio Joseph ha inaugurato all’interno di Universal una serie di incontri, workshop e ricerche sulla neurodiversità. L’azienda, infatti, ha contattato alcuni tra i principali studiosi in questo campo, affiancandoli con alcuni individui considerati neurodiversi, chiamati per raccontare le proprie esperienze. L’obbiettivo era scoprire se le pratiche di assunzione nelle grandi aziende come Universal riescano a garantire che anche gli individui neurodiversi possano mostrare “la propria parte migliore” durante i colloqui di lavoro.

Il risultato di questo studio è Creative Differences. Nel libro, infatti, si propongono alcune “ragionevoli modifiche”, come la proposta di fare i colloqui ad alcuni candidati in spazi tranquilli, o di dare più tempo per rispondere alle domande. O ancora, considerare se i test psicometrici sono strettamente necessari, oppure valutare presentazioni audio o video invece della tradizionale candidatura scritta.

Joseph è molto chiaro riguardo due aspetti essenziali dell’iniziativa di Universal. Primo, solo perché alcuni grandi artisti sono considerati neurodiversi, questo non significa che la neurodiversità sia da paragonare a una specie di superpotere. Secondo, il progetto Creative Differences non è un mezzo per attirare l’attenzione sull’azienda. «Quando si inizia a fare ricerche su questi argomenti, si viene a scoprire che circa il 25% degli amministratori delegati sono persone con dislessia, nonostante la prima cosa che ci si aspetta da chi invia una domanda di lavoro è che compili un modulo. «Qui non si tratta di mettere su un piedistallo le persone con neurodiversità», dice Joseph, «non si tratta nemmeno di quote da raggiungere, di spuntare caselle o di creare posti di lavoro simbolici; vogliamo assicurarci che nessuno tra le persone che fa domanda per un lavoro provi vergogna o senta il bisogno di nascondere la propria identità, perché questo significa che potremmo lasciarci sfuggire il 25% dei futuri leader delle nostre label».

Matt Hancock, segretario di stato per la sanità e l’assistenza sociale in Gran Bretagna, ha tenuto un discorso durante la presentazione di Creative Differences tenutasi il 17 gennaio a Londra, nella sede di Universal Music UK. Il politico ha raccontato della propria dislessia, prima di toccare alcuni punti decisivi perché il futuro sia sempre più libero da ostacoli per le persone con neurodiversità.

«Tutto ciò che faremo come razza umana propenderà sempre di più verso decisioni che dipenderanno dalla creatività e dall’ingegno, in quanto saranno le macchine ad occuparsi del modo di pensare che definiamo ‘puramente logico’», ha detto Hancock. «Questo significa che sempre più industrie diventeranno come quella discografia, in cui circa il 30% delle persone ha una condizione neurodiversa, un campo in cui è necessario dare fiducia a questi dipendenti e alle loro abilità specifiche che si accompagnano, a volte, con la neuorodiversità».

«Dobbiamo inoltre ricordare che la neurodiversità non è sempre una benedizione. La maggior parte delle persone detenute in carcere, ad esempio, ha una condizione neurodiversa; per alcune persone la neurodiversità comporta sfide incredibilmente difficili da superare», ha aggiunto Hancock. Punto che è stato poi ribadito dal professor Simon Baron-Cohen del Centro di ricerca sull’autismo dell’Università di Cambridge, che ha aiutato Universal nelle ricerche svolte per Creative Differences. Baron-Cohen ha infatti sottolineato come circa il 60-85% delle persone autistiche sia in media disoccupato, una statistica che lo studioso definisce “scioccante e inaccettabile”.

«Le persone autistiche hanno punti di forza unici, e anche talenti specifici in campi come la logica, la ripetizione dei modelli, l’attenzione ai dettagli o la capacità di ricordarsene meglio», ha detto Baron-Cohen. Portare la neurodiversità nelle risorse umane non significa soltanto avere una società più compassionevole, anche se questo è un punto molto importante. Significa avere un buon fiuto negli affari».

Come spiega Florence Welch in Creative Differences, «i miei pensieri sono disordinati, non particolarmente logici e per niente lineari, ma va bene così, perché mi portano in posti più interessanti».