L’FBI ha diffuso i file su Kurt Cobain | Rolling Stone Italia
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L’FBI ha diffuso i file su Kurt Cobain

Contengono carteggi in cui si discute l’ipotesi che il cantante dei Nirvana non si sia suicidato, ma sia stato ucciso

L’FBI ha diffuso i file su Kurt Cobain

Kurt Cobain

Foto: Michel Linssen/Redferns/Getty Images

Nell’ultimo mese si è parlato di Kurt Cobain e dei Nirvana per l’anniversario della morte del cantante, per l’ultimo servizio fotografico venduto come NFT, per l’uso non autorizzato di un’illustrazione del 1949 che fecero nel loro merchandise, per una ciocca di capelli di Cobain messa all’asta. Ora è il turno dell’FBI.

Periodicamente il Federal Bureau of Investigation rende pubblici parte dei suoi archivi su politici, gente dello spettacolo e altri personaggi noti. Senza grande clamore, il mese scorso – per ragioni che che non sono state chiarite – l’FBI ha resi pubblici per la prima volta i suoi file su Kurt Cobain, poco dopo aver fatto lo stesso con i documenti sul defunto boss della mafia Vito Genovese.

Si tratta di appena 10 pagine, ma interessanti. La parte più importante è costituita da due lettere, inviate da persone i cui nomi sino stati cancellati, che esortano il Bureau a indagare sulla morte di Cobain avvenuta nel 1994, considerandola omicidio e non suicidio. «Milioni di fan in tutto il mondo desiderano che le incongruenze che circondano la sua morte siano chiarite una volta per tutte», si legge in una delle due missive, scritta a macchina nel settembre 2003. La lettera cita tra le altre cose il documentario Kurt & Courtney del regista Nick Broomfield come esempio di scetticismo sull’argomento.

La seconda lettera, il cui autore è stato ugualmente cancellato, è invece scritta a mano e risale al 2007. «La polizia che si occupa del caso non ha mai preso seriamente in considerazione la possibilità che si tratti di un omicidio e non di un suicidio», si legge. «Questa cosa mi preoccupa perché l’omicida è a piede libero». L’autore della lettera cita come alcune diciamo così prove («non c’erano impronte digitali sul fucile con cui si pensa si sia ucciso») e afferma che, nella lettera che ha lasciato, Cobain «non parla apertamente del desiderio di morire, lo fa solo nella parte scritta con un’altra calligrafia che sembra sia stata aggiunta alla fine».

Due diversi agenti dell’FBI hanno dato risposta alle lettere usando frasi pressoché identiche. «Apprezziamo la sua preoccupazione circa la possibilità che Mr. Cobain sia stato vittima di omicidio», si legge in entrambe. «Tuttavia, la maggior parte delle indagini per omicidio rientrano nella giurisdizione delle autorità statali o locali». Nelle risposte si spiega che affinché il Bureau si muova devono essere presentati «atti specifici» relativi alla «violazione di leggi federali» e che sulla base del contenuto delle lettere «non siamo in grado di identificare alcuna violazione della legge federale all’interno della giurisdizione investigativa dell’FBI». Il Bureau ha perciò rinunciato a intraprendere alcuna indagine.

Il file comprende una risposta simile inviata nel 2000 all’allora procuratore generale Janet Reno, anche se in questo caso la corrispondenza che ha dato inizio allo scambio non è inclusa nei file.

Fatto ancora più strano, le pagine pubblicate includono parte di un fax inviato a gennaio 1997 agli uffici dell’FBI di Los Angeles e Washington (oltre a diversi dirigenti della NBC). Il mittente è la Cosgrove/Meurer Productions di Los Angeles che produce la serie di documentari Unsolved Mysteries. Tra queste pagine c’è un paragrafo in cui si riassumono le teorie del complotto legate al caso Cobain e che riguardano «Tom Grant, un investigatore privato di Los Angeles ed ex vice sceriffo della L.A. County» e il suo sospetto che la definizione di suicidio sia «frutto di un giudizio affrettato». Il fax dice che Grant «ha trovato varie incongruenze, così come dubbi sulla presunta lettera d’addio», che considerava «un congedo dai fan».

Terry Meurer, co-fondatore di CMP, non ricorda granché di quella richiesta, ma nel 2008 Unsolved Mysteries ha dedicato effettivamente un episodio a queste teorie. «Contattiamo l’FBI per molte storie che seguiamo, cercando di ottenere informazioni», spiega. «Lo facciamo ancora, è successo giusto ieri. Siamo in contatto costante. Quella contenuta nel fax non è una comunicazione insolita».

Nel momento in cui scriviamo, l’FBI non ha risposto alle richieste di Rolling Stone US di chiarire le tempistiche della pubblicazione dei documenti. Ora che sono disponibili, però, Cobain entra a far parte ufficialmente di un gruppo variegato di musicisti finiti sotto la sorveglianza dell’FBI o oggetto di investigazione. Insieme a lui ci sono Notorious B.I.G. (tra i documenti del Bureau ci sono 300 pagine sul suo omicidio, anche se il caso è stato chiuso nel 2005), i Monkees (per i «messaggi subliminali anti-americani» inseriti nei video dei concerti degli anni ’60), Robin Gibb dei Bee Gees (un telegramma «potenzialmente pericoloso» che aveva inviato allo studio legale che tutelava la moglie ai tempi del divorzio) e John Denver (per le minacce di morte ricevute nel 1979).

I Cobain Files non saranno altrettanto scottanti, ma ci fanno capire che l’interesse dell’FBI verso i musicisti non è finito col classic rock. A quanto pare, non disdegnavano nemmeno l’alternative.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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