Le fondazioni lirico-sinfoniche non vogliono riprendere a fare concerti? | Rolling Stone Italia
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Le fondazioni lirico-sinfoniche non vogliono riprendere a fare concerti?

Il governo ha promesso l’erogazione di fondi senza che vi sia bisogno di organizzare spettacoli nel 2020. La tentazione è usare quei soldi per risanare i bilanci, a discapito dei lavoratori e dell’interesse della collettività

Le fondazioni lirico-sinfoniche non vogliono riprendere a fare concerti?

Foto: Keo Oran/Unsplash

Alle fondazioni lirico-sinfoniche conviene riprendere a fare concerti? Mentre il mondo della musica d’arte s’interroga sulla possibilità che nel 2020 vi sia una stagione concertistica estiva rispettando le giuste precauzioni, fondazioni, teatri, orchestre e festival aspettano l’erogazione dei fondi promessi da Dario Franceschini, Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo (MIBACT). Questi contributi permetterebbero di risanare bilanci dissestati senza organizzare nemmeno un concerto. La crisi può trasformarsi in un’opportunità.

La parola chiave è FUS. Ogni anno, il MIBACT eroga contributi destinati all’attività di spettacolo dal vivo considerati di rilevante interesse generale. Lo fa tramite il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS). È stato istituito nel 1985 ed è disciplinato da un decreto del 2017. Vi si accede presentando un progetto triennale. Ogni 12 mesi, il Ministero soppesa i dati qualitativi e quantitativi forniti dai potenziali beneficiari, dati che vanno dal numero di spettacoli programmati alla loro rilevanza artistica, e in base ad essi ripartisce il fondo la cui consistenza è stabilita dalla Legge di stabilità. Lo stanziamento per il 2019 era pari 366 milioni di euro.

La sopravvivenza delle istituzioni che operano nell’ambito della musica cosiddetta colta è legata anche e in alcuni casi soprattutto all’erogazione di questo fondo. Solo grandi teatri come La Scala di Milano godono di contributi privati e sponsorizzazioni di un certo peso. Nel bilancio di altre istituzioni il FUS è questione di vita o di morte. Dataroom cita a titolo di esempio il Teatro Verdi di Trieste che nel 2017 ha ricevuto 344.799 euro di contributi privati contro gli 8.585.638 dello Stato e i 3.219.915 della Regione.

Requisito indispensabile per l’accesso al FUS è lo svolgimento dell’attività che in questo periodo, causa Covid-19, è stata ovviamente sospesa per decreto ministeriale. Che fare? Il 14 aprile, nel corso di una audizione informale in videoconferenza con la Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei Deputati, Franceschini ha dichiarato l’intenzione di assegnare nel 2020 gli stessi fondi erogati nel 2019. Il 60% di essi dovrebbe essere dato allentando, fino a farli quasi scomparire, i criteri di accesso. Il restante 40% verrebbe erogato con alcuni vincoli affinché ne benefici tutta la filiera.

Le cose potrebbero andare anche meglio. In un testo postato su Facebook il 22 aprile, Michele Nitti, componente della Commissione e direttore d’orchestra, spiega che la quota del FUS che verrà anticipata sarà dell’80%, «con una sorta di sospensione dei criteri di assegnazione attualmente previsti» ovvero senza che si debba organizzare alcuno spettacolo. Il restante 20% sarà erogato «tenendo conto di alcuni parametri, tra cui, ho appreso, anche la capacità di garantire l’offerta artistica online» che potrebbe essere fornita tramite una piattaforma a pagamento per il pubblico che il ministro Franceschini ha definito una Netflix della cultura. Quel 20% potrebbe essere disciplinato anche in base a possibili riaperture.

Intanto, una petizione su Change.org promossa dalla stampa di settore e firmata da grandi musicisti come Ennio Morricone, Riccardo Chailly, Maurizio Pollini e Antonio Pappano chiede al governo «quando deciderà di riaprire i servizi turistici, come la ristorazione all’aperto e l’ospitalità alberghiera, di autorizzare anche lo svolgersi di manifestazioni artistiche all’aperto, con le stesse precauzioni sanitarie e di distanziamento sociale».

Alcune regioni premono affinché alcune riaperture possano avvenire già il 18 maggio, sempre che la curva epidemiologica non torni a essere preoccupante. È una questione delicata che ha a che fare con la salute pubblica, ma è ragionevole pensare che se saremo in grado di cenare in un ristorante all’aperto a distanza di sicurezza gli uni dagli altri, avremo anche la possibilità di seguire concerti per lo meno in luoghi all’aperto dalla capienza ridotta e con una razionalizzazione di afflussi e deflussi. Alcuni organizzatori pensano di poter salvare il 30% dei posti a sedere, altri solo il 15%. In ogni caso, il distanziamento sociale varrà anche per musicisti e cantanti.

Qualcuno ci sta pensando seriamente. È il caso del Ravenna Festival che ha messo a punto un piano di misure affinché si possano tenere concerti all’aperto nel rispetto delle esigenze di sicurezza con afflusso anticipato rispetto al solito, uso di dispenser di gel igienizzante, mascherine per i musicisti, tranne il direttore d’orchestra e gli strumentisti dei fiati che potrebbero essere separati dai colleghi da pannelli in plexiglass. L’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo ha lanciato una serie di proposte per la ripartenza delle attività e per la riapertura al pubblico. Cecilia Gasdia, sovrintendente all’Arena di Verona, immagina concerti a partire dal secondo weekend di agosto con 3000 spettatori sulle gradinate. «L’orchestra sarà in platea con distanze belle lunghe», ha detto al Corriere della Sera, «il coro disposto a ellisse, tutt’intorno in un’unica fila». Non ci sarà intervallo per evitare assembramenti. Si sta pensando anche protocolli sanitari. «I numeri (200 persone in scena) sono ridotti rispetto a una fabbrica, abbiamo uno spazio enorme, con 16 ingressi, e all’aperto… Aspettiamo il sì dal governo».

Non tutti sono altrettanto entusiasti e proattivi. Chi usufruisce del FUS e in particolare i membri della Associazione Nazionale Fondazioni Lirico-Sinfoniche (ANFOLS) sembrano divisi fra audaci e attendisti. Questi ultimi potrebbero esserlo per ragioni economico-finanziarie. «I teatri che hanno un deficit endemico hanno tutto l’interesse a restare chiusi», dice Enrico Stinchelli. Regista teatrale, autore e giornalista, da oltre vent’anni conduce su Radio 3 il programma dedicato all’opera La barcaccia, fra i più longevi se non il più longevo in assoluto della radiotelevisione pubblica. «Ovviamente non lo ammetteranno mai, ma è la loro linea diciamo così sotterranea. Per loro il virus è un vantaggio. È un progetto cinico: mettere i lavoratori in cassa integrazione e usare il FUS per appianare i debiti»

«Questo mondo lavora in emergenza da tanto tempo e fa i salti mortali per far quadrare i conti», conferma a Rolling Stone chi si occupa del reperimento di fondi per un’orchestra da camera. «Temo che chi ha i conti meno floridi possa effettivamente cedere alla tentazione di tenere il FUS senza far nulla per riattivarsi». Le sole fondazioni lirico-sinfoniche hanno un debito che supera i 400 milioni di euro, ha detto nel novembre 2018 Cristiano Chiarot, presidente dell’ANFOLS nel corso di una audizione presso la Commissione cultura del Senato. L’80% del FUS senza vincoli può quindi rappresentare l’opportunità di rimettere in sesto i bilanci. Le fondazioni possono perciò scegliere di adottare una linea prudenziale e non fare alcuno sforzo affinché progetti come quelli di Verona vengano implementati. Onofrio Cutaia, Direttore generale dello spettacolo del MIBACT, lo ha smentito categoricamente.

Una cosa è certa: il progetto cinico di cui parla Stinchelli non tiene conto di chi ne paga le conseguenze. Sono i lavoratori e musicisti che, senza impiego, nella migliore delle ipotesi sono in cassa integrazione o usufruiranno di misure aggiuntive che ci si aspetta siano adottate, oppure prenderanno il bonus di 600 euro previsto dal Cura Italia. «So di molti musicisti che stanno già meditando di cambiare mestiere», dice Stinchelli. Verrebbe meno anche la missione di istituzioni che vengono finanziate per «favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale», come recita una legge dello Stato.

Vi è poi un altro paradosso, aggiunge Stinchelli. «In questa fase di colossale confusione, dove fra i 450 consulenti nella task force di Colao non c’è un solo esperto di musica e spettacolo, a guadagnarci di più non saranno La Scala, che è un teatro d’eccellenza mondiale, l’Accademia di Santa Cecilia o il Teatro dell’Opera di Roma. Saranno avvantaggiate realtà marginali normalmente escluse dal FUS». Si è infatti parlato di altri 20 milioni di euro che il MIBACT destinerebbe a chi non è beneficiario del fondo unico. «Se queste realtà saranno in grado di fare molto chiasso, otterranno un pourboire cospicuo. In Italia vince chi urla più forte».