Le 10 migliori canzoni italiane uscite nel 2021 | Rolling Stone Italia
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Le 10 migliori canzoni italiane uscite nel 2021

La canzone del boom dei Måneskin, il pezzo di Marra contro 'Cosplayer' e identitarismo, la "fotta" di Mace, Blanco e Salmo, l'antidepressivo di massa di Colapesce e Dimartino. La musica italiana è viva

Le 10 migliori canzoni italiane uscite nel 2021

Artwork: Stefania Magli

10. “Quanto ti vorrei” Chiello

Un singolo radiofonico nato alla vecchia maniera, di quelli che non sono stati costruiti apposta per restarti in testa, ma una volta ascoltati finiscono per tormentarti (nel senso della parola “tormentone”) per mesi e anni a venire. Nonostante le spigolosità e le imperfezioni della voce di Chiello, e nonostante una produzione molto lontana dai trend del momento affidata al dream team Shablo-Luca Faraone-Colombre, Quanto ti vorrei è riuscita a farsi strada nei nostri cuori come brani ben più orecchiabili e catchy non erano riusciti a fare. M.B.T.

9. “Lucy” Venerus

“Lucy nel tuo cielo di diamanti, mi piacciono tutti quanti da quando ci sei tu”, canta Venerus in Lucy, un brano che è un omaggio ai Beatles di Sgt. Pepper’s e all’LSD, due cose «fondamentali per la mia crescita». Oltre a essere un gran pezzo pop, rappresenta tutto quello che rende speciale la musica di Venerus: la sintesi tra r&b e psichedelia, il suono curatissimo e internazionale, le melodie splendide. Notevole anche la versione live, decisamente più elettrica e avventurosa, con un gran finale da festa rock. A.C.

8. “Paraocchi” Blanco

In un periodo in cui la coolness sembrava essere tutto, Blanco è arrivato e ha cambiato il paradigma con una manciata di video. Tipo quello di Paraocchi, in cui coccola anatre e greggi di pecore e balla da solo in calzini e mutande su una produzione scolpita nel marmo dal fido Michelangelo. Peraltro, è una delle poche canzoni d’amore dal testo davvero credibile: diciamoci la verità, nessun maschio diciottenne sfodererebbe complesse e delicate metafore per conquistare la sua lei. Molto più realistica e incisiva la domanda: “Mi daresti una chance invece di far la stronza?”. M.B.T.

7. “Aldo Ritmo” Salmo

È difficile decidere qual è l’aspetto più forte di Aldo Ritmo. Il beat irresistibile e trascinante, che rende impossibile non muovere il piede mentre si ascolta? Il video surreale e spettacolare, degno di una mega produzione americana? Il testo irriverente e pieno di rime a effetto capaci di trasformarsi in aforismi 2.0, tipo “se preghi per la pioggia metti in conto il fango”? Sia quel che sia, è evidente che siamo di fronte a una delle canzoni più riuscite del repertorio di Salmo, capace di eguagliare per ironia un altro suo piccolo capolavoro, Estate dimmerda del 2017. M.B.T.

6. “Voce” Madame

Voce è una canzone a suo modo canonicamente sanremese, in cui la melodia trionfa sovrana. Ma è anche una canzone postmoderna, in cui i synth e i pad si intrecciano con l’orchestra per portare una ventata d’aria fresca in un festival che mai aveva osato tanto. C’è riuscita alla perfezione, tanto che ha vinto il premio per il miglior testo (che a marzo scorso molti telespettatori più âgé hanno candidamente ammesso di non capire bene: un piccolo, adorabile clash generazionale). Ma è soprattutto l’interpretazione di Madame ad averla resa speciale, sul palco dell’Ariston e fuori. M.B.T.

5. “Cosplayer” Marracash

Da un lato, è l’unica traccia di Noi, loro, gli altri ad aver dato soddisfazione a chi va a caccia di dissing o presunti tali nei dischi di rap italiano: anche se non fa mai nomi, contiene delle chiare frecciatine ad alcuni colleghi (o meglio ancora, ad alcune categorie di colleghi). Ma Cosplayer è soprattutto altro: è un decalogo di tutto ciò che non va in questa società delle apparenze, dove siamo costretti a chiederci costantemente cosa c’è davvero dietro le scelte dei personaggi pubblici e a metterne in dubbio la genuinità e la spontaneità. E fa paura. M.B.T.

4. “Zitti e buoni” Måneskin

Zitti e buoni ha vinto Sanremo e l’Eurovision, è piaciuta a Little Steven, ha scalato le classifiche di mezzo mondo. L’hanno cantata tutti, i tiktoker e i Cugini di Campagna, Orietta Berti e una band coreana, e i Måneskin l’hanno portata ovunque, persino sul palco dei Rolling Stones. Nessuna canzone italiana uscita negli ultimi anni ha una storia simile, ed è impossibile fare un bilancio degli ultimi mesi senza questo pezzo. Dentro Zitti e buoni c’è tutto dei Måneskin: è rock solido e sensuale, con un testo che parla d’identità e un arrangiamento che tira fuori il meglio del gruppo, soprattutto dal vivo. A.C.

3. “Vivo” Andrea Laszlo De Simone

Abbiamo ascoltato per la prima volta Vivo a gennaio, trasmessa in loop su un sito che ci ha portato su un treno, in un parco naturale, dentro villaggi lontani, metropoli e anche nello spazio. Quasi un anno dopo la canzone ci dà la stessa sensazione di conforto e di calore, la stessa meraviglia. È quieta e senza tempo com’è tutta la musica di Andrea Laszlo De Simone, che ha detto di averla scritta «per restare su rispetto alla situazione attuale». Pochi mesi dopo ha annunciato uno stop a tempo indeterminato: riascoltando Vivo non possiamo non sperare che cambi idea. A.C.

2. “La canzone nostra” Mace, Blanco, Salmo

Si dice spesso che, nell’economia globale di una canzone, l’arrangiamento (o la produzione, se vogliamo dirla in termini più contemporanei) è solo un vestito. Se è così, quello che Mace ha confezionato per Salmo e Blanco è un abito da sera di alta sartoria. La canzone nostra funzionerebbe alla perfezione anche con tutt’altro stile, come dimostra l’innumerevole numero di cover acustiche che ne sono già state realizzate. Ma nessuna di loro sarebbe capace di spingerci a cantare a squarciagola sotto la pioggia battente, come invece fa l’originale. M.B.T.

1. “Musica leggerissima” Colapesce e Dimartino

C’è stato un periodo in cui Musica leggerissima era ovunque. Strappata dalle mani di Colapesce e Dimartino, che l’avevano voluta in Re minore, «l’accordo del sentimento popolare», allegra ma non troppo, con un testo sulla depressione raccontata attraverso la metafora dell’orchestra, è diventata qualcosa d’altro. S’è trasformata in un antidepressivo di massa in un periodo in cui l’idea di “cadere dentro al buco nero che sta ad un passo da noi” non era letteraria, ma decisamente concreta. Se sta qui, al primo posto, è perché è la canzone più larga e significativa dell’anno. Le sue parole e il sound anni ’70 hanno funzionato da scudo protettivo dalla minaccia che la canzone stessa evocava. E del resto, come ha detto Dimartino, «alcuni tormentoni funzionano proprio perché rendono certi argomenti alla portata di tutti». È stato un magnifico incidente, come l’ha definito Colapesce. Musica leggerissima ha avuto il successo che ha avuto anche perché non eccede in allegria, non è un tormentone scacciapensieri e basta, ma una terza via praticabile tra cantautorato e pop. C.T.

Schede di Andrea Coclite, Claudio Todesco, Marta Blumi Tripodi.