La storia della copertina di ‘Nevermind’ | Rolling Stone Italia
Musica

La storia della copertina di ‘Nevermind’

L’idea nata dal fascino esercitato su Cobain dal parto in acqua, il casting, lo scatto in piscina, i dubbi sul pene del bambino. Come diceva Kurt, se quest’immagine vi turba, avete dei problemi

La storia della copertina di ‘Nevermind’

Spencer Elden sulla copertina di 'Nevermind' dei Nirvana

Durante le sessioni di registrazione di Nevermind, che avvennero tra il 2 e il 28 maggio del 1991, i Nirvana e il loro produttore Butch Vig soggiornarono agli Oakwood Apartments di Los Angeles. Ogni sera, di ritorno dallo studio, Kurt si spalmava sul divano a guardare la tv fino a tardi. Una notte, la sua attenzione fu monopolizzata da un documentario sul parto in acqua. Non riusciva a togliere lo sguardo da quelle immagini in slo-mo di neonati che, appena fuori dal grembo materno, imparavano a familiarizzare con l’acqua, fluttuando dolcemente nella loro nuova vita.

Quando fu il momento di scegliere l’immagine di copertina di Nevermind, una volta archiviata l’idea di intitolare l’album Sheep, Kurt volle riprodurre quel che aveva visto in quel documentario. L’unico modo per farlo all’epoca era cercare immagini cartacee sul parto in acqua e acquistarle. L’idea non piacque a nessuno, quindi Robert Fisher, il responsabile artistico della Geffen Records, pensò di creare quelle immagini ad hoc, organizzando un servizio fotografico. Con un bambino sott’acqua.

Kirk Weddle era un giovane designer neolaureato all’Istituto d’arte di Los Angeles quando fu reclutato per quel progetto. Conosceva i Nirvana, aveva amato l’album Bleach e sapeva che la band aveva appena firmato con la Geffen. Anche se i Nirvana a quel punto non erano ancora un fenomeno planetario, era felicissimo all’idea di lavorarci. Però non aveva grande esperienza come fotografo, e sulle prime, tentennò. Va bene che era specializzato in immagini di «umani in immersione», ma l’idea di immergere un neonato in una piscina non lo galvanizzava. Fortunatamente, uno dei suoi più grandi amici era appena diventato padre di un bimbo di nome Spencer, di quattro mesi appena, e lo mise a disposizione per l’esperimento. Ovviamente, in cambio di soldi.

Spesato dalla Geffen, Weddle prenotò una giornata al Rose Bowl Acquatic Centre di Pasadena. Posizionò luci e telecamere subacque su un treppiedi nella grande piscina. Si esercitò prima con una bambola, poi fu il turno del bimbo. «Ok, buttalo in acqua adesso!». Una volta in contatto con la superficie dell’acqua, Spencer fluttuò lentamente verso il basso per qualche secondo. Weddle lo immortalò con cinque scatti, in cinque rapidissimi secondi. «Sentivo l’adrenalina che si scatenava in quel corpicino minuscolo», ricorda Rick Elden, il papà di Spencer, in un’intervista a Entertainment Weekly del 2016. «Gli si stampò sul viso un’espressione che pareva dire: wow, cosa sto sentendo!».

Di quei cinque scatti, Weddle sapeva di averne uno buono. Anzi, perfetto. Altre quattro coppie con relativi bimbi si erano presentati al casting. Uno dopo l’altro, anche loro fluttuarono di fronte alla camera, passati di mano in mano dagli assistenti o dai genitori stessi.

In un servizio fotografico distinto, all’interno di una piscina di uno stabile abbandonato di Los Angeles, Weddle realizzò anche degli scatti alla band in acqua, che, inspiegabilmente, non furono mai utilizzati e rimasero nel suo cassetto fino al 2016, quando riemersero in occasione del venticinquesimo anniversario di Nevermind (alcune di quelle immagini compaiono nel documentario Montage of Heck).

Dopo circa una settimana, Weddle ebbe tutte le foto stampate. Non c’erano dubbi: nessuno scatto aveva la potenza di quello che ritraeva Spencer, sospeso nel blu con le bracciotte allargate, quasi a voler domare l’acqua, e quell’impagabile smorfia sul viso. C’era solo un problema: il pene del bimbo, che spuntava da sotto la pancia, era troppo prominente.

Nella biografia di Cobain scritta da Michael Azerrad, Come as You Are: The Story of Nirvana, si sostiene che la scelta della Geffen fosse caduta su un’altra foto, mentre invece Cobain insistette per avere proprio quella di Spencer, e così fu. D’altra parte, l’ultima parola spettava sempre a lui.

Per questa sua impresa subacquea, il piccolo Spencer, o meglio suo padre, ebbe un compenso di 250 dollari, cifra oraria prevista dal tariffario base per un modello anonimo. Non molto tempo dopo, Eddie Rosenblatt, presidente della Geffen, gli fece omaggio di un triplo disco di platino di Nevermind, che ancora campeggia scintillante su una parete del salotto della famiglia Elden, a Los Angeles.

Una volta scelta l’immagine del bimbo, la band però pensò che non bastasse; ci voleva qualcosa in più, un dettaglio che completasse la magnificenza di quella foto. Kurt se ne uscì con l’idea di posizionare un amo da pesca nella direzione del bimbo. Ma un amo da solo? Doveva ben agganciare qualcosa. Ma cosa? Tutti ci pensarono, per ore. Una bistecca? Un burrito? Un CD per lanciare un messaggio di condanna verso la discografia corporate? Niente di tutto questo. Quando qualcuno se ne uscì proponendo una banconota da un dollaro, tutti furono d’accordo.

D’altra parte, Kurt non aveva in mente un grande piano o un particolare messaggio da far passare. Fu un processo decisionale molto fluido: una decisione portò a quella seguente. Tuttavia Kurt un pensiero fisso ce l’aveva. Non è che magari sarebbero sorti dei problemi legati alla nudità del bambino? Non è che magari qualcuno avrebbe interpretato quell’immagine nel modo più sbagliato possibile? Propose allora di coprire i genitali del bimbo con un adesivo che portasse la scritta “Se quest’immagine ti turba, devi essere un pedofilo”. Come è noto, l’album uscì senza quell’adesivo.

Cobain non poteva immaginare che, decenni dopo, saremmo stati ancora qui a celebrare la grandezza di Nevermind e, di conseguenza, quella foto di copertina, diventata ormai un marchio di fabbrica. Soprattutto però, non poteva immaginare che il problema che si era posto, e che un po’ lo ossessionava, avrebbe trovato conferma nel gesto inaspettato dello stesso Spencer, che ormai adulto, avrebbe fatto causa ai membri sopravvissuti della band, tirando in ballo reati come “pedopornografia”, “violenza sui minori” “prostituzione minorile”. Accuse che Cobain, sensibile alle questioni che avevano a che fare con l’infanzia, avrebbe sofferto.

E dire che lo stesso Spencer aveva più volte, in età adulta, rievocato quella copertina, prestandosi addirittura a riprodurre quello scatto iconico. Lui, che aveva dichiarato al Guardian che quella foto gli aveva portato fortuna, perché era diventato un artista e perché rimorchiava un sacco di donne. Ma non aveva nascosto che, ultimamente, quella fama gli stesse pesando, insieme alla convinzione che tutti, ma proprio tutti, da quel disco avessero ricavato milioni di dollari, tranne lui.

Insomma, quella copertina, alla fine, è stata profetica. Mentre scocca il trentennale di Nevermind, siamo di fronte a un plot twist roccambolesco in cui il protagonista, allora ignaro, di quello scatto stupisce tutti e compie proprio quel gesto raffigurato nella foto: abboccare al fascino dei soldi. Della serie: I mind now.

Altre notizie su:  Nirvana