Yilian Canizares: «Il jazz è accettare l’imperfezione» | Rolling Stone Italia
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Yilian Canizares: «Il jazz è accettare l’imperfezione»

Dopo una formazione classica, la violinista cubana si è innamorata della musica del suo paese, contaminandola con il suono di New Orleans. Ora, con il nuovo album ‘Erzulie’, vuole omaggiare la cultura creola e la forza delle donne

Yilian Canizares: «Il jazz è accettare l’imperfezione»

Yilian Canizares

Foto di Ben Depp

La prima volta che ha visto un violino Yilian Canizares aveva solo sette anni. Cresciuta nel quartiere di El Velado dietro Plaza de la Revolucion a L’Havana, stava per fare un’audizione al pianoforte per entrare nella prestigiosa scuola di musica intitolata a Manuel Samuell Robredo, creatore della “contraddanza” uno dei generi principali della musica creola Cubana. «Non avevo mai sentito il suono di un violino prima» racconta con un sorriso, «Ma ho sentito subito una specie di connessione con la sua forza espressiva. Siamo fatti uno per l’altra, il violino non mi ha mai abbandonato. Racconta quello che nessuno conosce di me».

È la prima svolta creativa di questa atipica musicista di formazione classica (dopo una borsa di studio in un’orchestra a Caracas in Venezuela è arrivata a 19 anni in Svizzera per studiare al Conservatorio di Losanna) che ha trovato nella tradizione culturale del suo paese, nell’improvvisazione e nella facilità di commistione con generi diversi del jazz il suo suono. «Anche a L’Havana durante le pause tra le lezioni di Bach e Mozart con gli altri studenti suonavamo musica cubana, o ascoltavamo e provavamo a rifare i pezzi di Chick Corea che qualcuno aveva recuperato su una musicassetta clandestina. Le radici della musica cubana sono onnipresenti, basta avere la ricettività giusta per assimilarle profondamente senza neanche rendersene conto».

Oggi nella sua band a cui ha dato il nome di The Maroons in omaggio al movimento di ribellione antischiavista Afro-Creolo, Yilian è l’unica che sa leggere uno spartito e comporre musica: «Ma quello che cercavo era una condivisione di esperienze e spiritualità. Non conoscevo nessuno di loro ma volevo suonare con persone a cui non dovevo spiegare niente. Lo spartito è un pezzo di carta, la realtà della musica è il modo in cui lo usi».

Dopo due album autoprodotti (Ochumare del 2013 e Invocacion del 2015) e le collaborazioni con Chucho Valdes e Omar Sosa con cui ha registrato l’album Aguas, Yilian ha pubblicarto Erzulie, un album in cui ha voluto seguire le influenze della cultura creola tra Cuba, Haiti, Africa e New Orleans: «È importante per me sapere da dove vengo per andare avanti. Ho scoperto la scena musicale di Haiti dopo essere stata a suonare ad un festival nel 2017 e ho trovato molte affinità con Cuba e con la tradizione jazz di New Orleans, quindi ho messo insieme una band di quattro elementi, uno per ogni tappa di questo percorso immaginario, ognuno con una radice africana».

Nella tradizione creola Erzulie è uno spirito femminile che rappresenta l’amore e la sensualità ma anche la forza e la libertà. Per Yilian è il simbolo di un’idea di musica contaminata che recupera lo spirito jazz e lo porta nel pop: «Il jazz è musica di strada, deve passare attraverso una esperienza di vita e non solo intellettuale. Credo che debba continuare ad essere vivo, è un compito che spetta alla mia generazione». Yilian Canizares presenterà l’album Erzulie con un concerto a Parigi l’11 dicembre 2019 prima di iniziare ad Haiti un tour di due anni. «Voglio presentare al pubblico la cultura e la dignità di Haiti e rendere omaggio alla forza delle donne, perché in ognuna c’è una Erzulie». Il suono di Erzulie si avvicina al pop, ma per una abituata a fare musica cubana con il violino e a passare dal solfeggio classico all’improvvisazione le distinzioni di genere contano poco: «Ho usato il pop per fare arrivare un messaggio a più gente possibile, vorrei che la mia musica fosse un rimedio contro l’indifferenza».

Il jazz oggi per Yilian è soprattutto un’idea: «La sua essenza è esprimere in musica quello che vivi nella tua interiorità, con tutte le sue contraddizioni». L’orchestra invece è un’esperienza lontana: «Continuo ad amare classica, ma quando suoni dal vivo su un palco non si può tornare indietro. La ricerca della perfezione fa perdere la componente di umanità. La musica è un’esperienza fisica, se non la senti dentro non la stai vivendo. Il jazz è accettare l’imperfezione».

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