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Wolfgang Van Halen: «Papà voleva fare un tour con David Lee Roth, Sammy Hagar e Gary Cherone»

Il figlio del chitarrista racconta la mega reunion dei Van Halen che non vedremo mai, il debutto come Mammoth WVH, gli ultimi giorni del padre: «Non l’ho lasciato solo neanche per un secondo»

Foto: Kevin Mazur/Getty Images

«Mai vista tanta positività», dice Wolfgang Van Halen, abituato a confrontarsi online con gli irascibili fan dei Van Halen. Lunedì ha pubblicato a nome Mammoth WVH il primo singolo solista Distance e il relativo video, un tributo al padre Eddie Van Halen, e i fan hanno universalmente risposto con gioia e gratitudine. Wolfgang, che nel pezzo canta e suona tutti gli strumenti, pubblicherà un album nel 2021. Ha raccontato a Rolling Stone la storia della sua one man band, il periodo da bassista nei Van Halen, la malattia del padre e molto altro.

Hai 29 anni. Credi che i fan dei Van Halen ti trattino come se fossi molto più giovane? 

Forse sono convinti di possedermi. Hanno seguito mio padre per tutta la vita, è come se fossi anche figlio loro. Però ho 29 anni, sì, sono un uomo.

Perché hai deciso di suonare tutti gli strumenti da solo?
Per scoprire se ce l’avrei fatta. Sapevo di essere in grado di farlo, volevo capire se avrebbe funzionato. Ed è stato così.

Hai già una touring band per il progetto. I Foo Fighters di Dave Grohl sono partiti nello stesso modo, poi sono diventati una band vera e propria. Pensi che succederà lo stesso? 

Mai dire mai, ma vorrei fare tutti i dischi da solo. È divertente, non cerco persone che mi semplifichino la vita. Mi piace stare in trincea e registrare.

Mi è venuto in mente tuo zio, Alex Van Halen. Per tutta la vita ha suonato sostanzialmente con una sola persona, ovvero tuo padre, e l’hanno fatto da quando erano bambini. Come sta? 

Come ti aspetti che stia. Da quando papà se n’è andato parliamo tutti i giorni. Io vedo se lui sta bene e viceversa. «Ti voglio bene, chiamami se hai bisogno», cose così. Certi giorni sono meglio di altri. Ma che altro può fare se non affrontare la cosa?

Che cosa pensa della tua musica? 

Ne è orgoglioso. Proprio come papà.

La parola Mammoth ha un significato particolare nella tua famiglia. Cosa rappresenta per te? 

Quand’ero piccolo, papà mi raccontava sempre la storia di quando i Van Halen si chiamavano Mammoth. Erano un trio e papà cantava. Avevano un bassista, Mark Stone, che purtroppo è morto un paio di settimane prima di mio padre. Era un uomo meraviglioso. Primo: ho sempre pensato che fosse fico che papà cantasse. Secondo: è un nome stupendo per una band. Ho sempre pensato che la mia band, se ne avessi avuta, l’avrei chiamata Mammoth.

Tuo padre lo sapeva?
Sì, ero nervoso quando gli ho chiesto il permesso. Sarà stato il 2014. Ha risposto: «Certo, perché ti preoccupa tanto?». Era stupito.

Che rapporto hai con David Lee Roth? 

Niente di che. Collaboriamo per ragioni di lavoro. Siamo sempre andati d’accordo, ma ci incontravamo praticamente solo sul palco.

Hai detto a Howard Stern che tu e tuo padre avevate parlato di un tour con Dave, Sammy Hagar e anche Gary Cherone alla voce. Pensi che saresti riuscito a convincerlo? So che Sammy avrebbe accettato, ma Dave…

Sarebbe stato bellissimo, ma non sapremo mai la risposta. Credo che avremmo semplicemente dovuto mettere tutti in una stanza e dire: «Dai, quanto sarebbe figo?».

Hai anche detto che Michael Anthony avrebbe partecipato a quel tour. Significa che eri pronto a lasciare la band? 

Sì, sarei salito sul palco solo per un paio di canzoni, papà me l’avrebbe chiesto. Cercava sempre di coinvolgermi. Non che non mi piacesse stare nella band. Suonare con mio padre è la cosa migliore che abbia mai fatto. Non c’era niente di meglio.

Eri nei Van Halen per una sorta di diritto di nascita, ma allo stesso tempo hai preso il posto di Michael Anthony. Avete mai parlato della cosa? 

Non ho mai avuto l’opportunità di farlo. Ma quel tour doveva essere così, non siamo riusciti a organizzarlo. Non vedevo l’ora di parlare con lui, ma non è ancora successo. Spero di averne l’opportunità in futuro.

Vuoi assicurarti che non ci siano problemi? 

Insomma, non credo che ce ne siano. Ho visto cosa ha detto. È sempre stato una persona fantastica.

Sai suonare bene molti strumenti, ma in Distance sei al servizio della canzone.

È questo il punto dei Mammoth MVH. La canzone è la cosa più importante. In alcune c’è un assolo di chitarra, in altre no. Dipende da cosa chiede il pezzo. Non è mai una cosa fine a se stessa, solo per il gusto di suonare in maniera esagerata.

Non hai mai registrato niente del genere, anche solo per divertimento? 

Non mi sono mai visto come un virtuoso, ma nel disco c’è una canzone con un break divertente, la chitarra e il basso fanno un assolo e poi ce n’è anche uno di batteria.

Cosa succede quando scrivi una canzone nello stile dei Van Halen? La scarti? 

Dipende da quanto mi convince quell’idea. Nel disco c’è un passaggio, una linea melodica di una canzone, che secondo il produttore (Michael “Elvis” Baskette) suonava molto alla Van Halen. Gli ho risposto che andava bene così. Non posso evitarlo, credo. È nel mio dna.

Prima di questo album la tua unica esperienza di registrazione era con i Van Halen, per il disco del 2012 A Different Truth, in cui suoni il basso. Com’è andata? 

Anche per quella ci è voluto un po’ di tempo. Abbiamo registrato le demo di quelle tracce ai 5150 Studios nel 2009 e il disco è uscito nel 2012. Le prime tre canzoni erano Bullethead, She’s the Woman e una che si chiamava Let’s Get Rockin’, che nel disco è intitolata Outta Space. Quando le abbiamo registrate pensavo che fosse fico, che potevamo fare cose interessanti. Da lì si è evoluto tutto. È bastato trovare il produttore giusto, qualcuno con cui Dave fosse disposto a lavorare, e assicurarci che tutti fossero felici. Tre anni dopo ce l’abbiamo fatta. Non era mai semplice con i Van Halen. Erano tutti personaggi particolari. Per questo ero così felice di aver fatto qui disco.

Quali sono le cose più importanti che hai imparato suonando con tuo padre e i Van Halen? 
Uno dei consigli migliori che mi ripeteva sempre e che suo padre ripeteva a lui era: «Se commetti un errore, fallo due volte così tutti penseranno che era voluto» (ride). Suonando con i Van Halen non mi sembra di aver imparato nulla. Ero nel mio ambiente naturale. Mi sembrava giusto suonare con Al e papà. Avevamo un’intesa musicale che non proverò mai più, per il resto della vita.

Cosa pensi di aver preso da tua madre e cosa da tuo padre? 

Mio padre domina il lato musicale della mia vita, non ci sono dubbi. Tutto il resto viene da mia madre. Se oggi sono la persona che sono è merito suo. Ha fatto tutto lei.

Hai sempre dimostrato grande maturità. Da teenager, poco prima della reunion con Roth del 2007, hai convinto tuo padre ad andare in rehab. 

Insomma, è per questo che ero nel gruppo. Era tutto per la salute di papà e il suo benessere. Ovviamente volevo che fosse in salute e quando si è presentata l’opportunità ha accettato. Ha detto: «Sì, cazzo, facciamo quello che dobbiamo fare». Ho vissuto tante cose in fretta. Forse è per questo che ti sembro più grande, sono stato costretto a maturare molto velocemente per gestire tutto. Ho dovuto affrontare tante cose da giovane.

Hai detto che nel tuo prossimo futuro non ci sono uscite dedicate agli archivi di tuo padre e della band. Lo farà Alex? 

Probabilmente lo faremo insieme. Sì, so che a un certo punto succederà. Ti prometto che lo farò. Ma non ora.

Il tuo disco era già pronto nel 2018, ma hai rimandato l’uscita quando la malattia di tuo padre è peggiorata e volevi passare più tempo con lui. Giusto? 

Stavo facendo le prove con la touring band e tutto il resto. C’era anche papà ad assistere.

Sei riuscito a fare quello di cui avevi bisogno, a chiudere in qualche modo la tua storia con lui? 

Era una situazione terribile, ma non credo che potesse andare meglio di così. Sono riuscito a stare con lui in ogni secondo. Gli tenevo di continuo la mano. Nonostante fosse un momento di merda, il peggiore di tutta la mia vita, c’era pace.

Il fatto che il tuo lutto sia condiviso da milioni di persone, soprattutto gente che non l’aveva mai conosciuto, ti aiuta? 

È un’arma a doppio taglio. Ammiro molto Zelda Williams, la figlia di Robin Williams. Abbiamo parlato. Mi ha cercato lei. È stata fantastica, ora facciamo sfortunatamente parte di un club molto esclusivo. Ma quello che ha scritto per l’anniversario della morte di Robin mi ha aiutato molto. Diceva che l’amore e il supporto dei fan sono fantastici, ma che le sembrava di essere diventata lei stessa un monumento funebre. I fiori sono belli, ma una tonnellata di fiori pesa comunque una tonnellata. È difficile da gestire. È bello, ma difficile.

Quando è uscito il debutto dei Van Halen il rock era il centro della cultura musicale. Ora non è più così. Cosa ne pensi?
Il rock è la mia passione. Non m’importa che cosa c’è al centro della cultura. Conta solo quello che ho nel cuore, quello che voglio fare.

Se avessi imparato qualcosa da Roth, ora diresti: «e sarò io a salvarlo, cazzo».
(Ride) Ok! Proverò a salvarlo, cazzo.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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