Per portare un cognome come Van Halen, specialmente se si fa il musicista, servono spalle larghe. Spalle che non mancano a Wolfgang, figlio di Eddie, nipote di Alex. Un nepo baby come lo chiamano i detrattori d’oltreoceano, un figlio di, diremmo noi. L’etichetta lo accompagna da quando nel 2007, a soli 16 anni, è stato in tour come bassista ufficiale dei Van Halen, prendendo il posto di Michael Anthony. Anche nel giro del gruppo non sono mancati i critici, su tutti il litigiosissimo David Lee Roth che non ha mai speso parole buone per lui. Alle accuse Wolfgang ha risposto come sa: con la musica e col sorriso.
Tra le colpe che addossano a Van Halen, quella che stupisce maggiormente è l’accusa di non essere abbastanza Van Halen, dato che Wolfgang molto raramente omaggia il padre e non certo per mancanza di tecnica o perizia allo strumento: canta, suona basso, chitarra e batteria e scrive tutti i pezzi della sua band, i Mammoth, che hanno un sound più vicino all’alternative rock degli anni ’90 che alle prodezze del decennio precedente. Se avesse camminato all’ombra del padre sarebbe stato un raccomandato, avendo scelto di fare di testa sua si ritrova etichettato come ingrato.
È un problema non da poco anche per un ragazzo che è praticamente nato su un palco, cresciuto nell’ambiente dello spettacolo (la madre è l’attrice Valerie Bertinelli) e che oggi risponde alle domande con la maturità del veterano. Ma c’è voluto del tempo per prendere coscienza di sé e certe ferite si sono rimarginate da poco: solo fino a due anni fa, Wolfgang non accettava domande sul padre durante le interviste. Ma questo è il passato: ora c’è un nuovo disco, il terzo intitolato The End, con la band che ha accorciato il nome passando da Mammoth WVH a Mammoth. Via il rimando al nome di famiglia, ma non si tratta di una vittoria degli hater: una questione di diritti d’autore gli ha impedito di utilizzare fin dal subito il nome attuale.
Quando non è su un palco Wolfgang è un nerd che si rilassa giocando ai videogiochi (al momento è alle prese con Hades II e Silksong). Lo chiamo mentre è a casa sua, a Los Angeles, in attesa di partire per il tour americano, il primo da headliner, che lo vedrà dividere il palco assieme a Miles Kennedy. Presto lo vedremo anche in Europa, ma non è chiaro ancora chi aprirà le date del tour dei Mammoth nel vecchio continente dato che l’istrionico cantante, nel 2026, sarà impegnato con gli Alter Bridge. «Vogliamo provare a fare il nostro primo vero tour da headliner in Europa», conferma Van Halen, «lo spettacolo sarà più lungo e questa volta il pubblico sarà composto da nostri fan».
Pserché hai accorciato il nome della band?
È solo una questione di copyright. Avremmo voluto questo nome fin dall’inizio. È un po’ come, non so se lo sapevi, i Ghost che erano Ghost BC negli Stati Uniti fino a qualche anno fa, quando hanno dimostrato di essere degni di avere la licenza di Ghost o qualcosa del genere (ride). Quindi, mi piace scherzarci sopra e dire che abbiamo perso il nostro BC.
I tuoi hater penseranno di aver vinto, hai finalmente abbandonato il tuo cognome.
Giusto.
Come affronti questa cosa? Ci pensi ancora a quello che gli altri pensano di te?
No, ho smesso di preoccuparmi come facevo prima. Questa volta mi sono dedicato solo alla musica ed è lì che risiede la mia felicità. Sono felice di fare musica e di suonare dal vivo e se alla gente piace, bene, e se non piace, chi se ne frega?

Foto press
Il disco si chiama The End e non segue la numerazione nel titolo dei primi due lavori. Per cosa è la fine? O forse si tratta di un nuovo inizio?
Sì, è così che la vedo io. In tutti i testi si elabora la fine di qualcosa e allo stesso tempo sembra di accedere a un livello superiore. È una sorta di rinascita per la band.
Il gruppo è stato coinvolto nel processo di scrittura o no?
Loro sono la live band, quando si tratta di registrare in studio siamo solo io e il mio produttore.
Quindi questo non è cambiato. Hai un qualche obiettivo con questo album?
Non proprio. È solo una scusa per uscire e suonare per più persone. La speranza è che più suoni e più persone raggiungi. E poi ricominci.
Hai mai pensato di fare altro, non il musicista?
No e anzi non ho neanche avuto l’opportunità di prendere una decisione su cosa fare visto che a 14 anni già stavo facendo il musicista. Non che mi lamenti, la musica è tutto per me, non riesco a vedermi fare altro.
Ho incontrato musicisti che hanno cercato di spaventare i figli circa la possibilità di intraprendere la carriera musicale. Cosa ti diceva tuo padre riguardo al business della musica? Ti incoraggiava a entrarci o ti dava consigli tipo, sai, questa è una vita complicata, può andare molto bene o molto male…
Era un po’ come affrontare la tempesta insieme. Mi dava consigli ogni tanto, ma ho capito che suonare è la parte buona e tutto il resto è la parte cattiva. Conta essere sul palco e scrivere, devi goderti quei momenti se vuoi affrontare il resto del business.
Cosa non ti piace del business? Le interviste, immagino…
No, no, le interviste vanno bene. È lo streaming che svaluta la musica. Oggi fai un disco solo per andare in tour, una volta si andava in tour per vendere il disco.
Guardi i numeri o non ti interessano?
Occasionalmente, a seconda delle uscite. Ma in fin dei conti i numeri più importanti sono quelli dei biglietti venduti, è così che capisci se stai andando bene o no. Se torni in un posto e suoni in un locale leggermente più grande, capisci che stai andando bene in quel luogo. Se vai in un posto e suoni nella stessa venue dell’ultima volta, sai che hai del lavoro da fare.
I tuoi video sono sempre stati fantastici, quello di The End diretto da Robert Rodriguez è molto divertente.
Ci piace mettere tutto l’impegno possibile in ogni aspetto e penso sia anche importante non prendersi troppo sul serio.
Com’è nata la collaborazione con lui?
Ci siamo incontrati qualche anno fa e ci siamo scambiati i numeri, ho sempre pensato che sarebbe stato bello fare qualcosa, Dal tramonto all’alba è uno dei miei film preferiti. Così quando ho avuto la canzone pronta e sembrava che sarebbe stato il primo singolo, gliel’ho mandata chiedendogli se gli interessava fare qualcosa. Ne è stato entusiasta e ha scritto una sceneggiatura pazzesca e divertente. Così lui ha chiamato Greg Nicotero e Danny Trejo e io ho chiamato la band e tutti quelli che potevo e abbiamo fatto due giorni pazzeschi di riprese.
Con Slash e Miles.
Molto divertente.
Danny Trejo è una leggenda.
Oh sì, non posso credere di poter dire di aver recitato con Danny Trejo, diretto da Robert Rodriguez.
E poi c’è il video di I Really Wanna che ha fatto tanto parlare. Molti online dicono che stai prendendo in giro David Lee Roth: il personaggio con la camicia appariscente e il nunchaku sarebbe proprio lui. Cosa rispondi in merito?
Io non lo vedo. (Ride) È pazzesco…
Ok, quindi sei anche un attore…
Non ci avevo mai pensato. Dovrò pensarci di più. Dovrò guardarlo di nuovo.
Quando hai capito di avercela fatta come musicista, di essere diventato quello che volevi essere?
Non spetta a me deciderlo. In generale, penso che la gente non sappia ancora che suono tutto io nei Mammoth, mi considerano ancora il bassista, sai, quello dei Van Halen che odiano. C’è ancora molto lavoro da fare, devo solo continuare a suonare, sfidare me stesso, migliorare.
Non so se sei d’accordo, ma la genesi della band mi ricorda in qualche modo i Foo Fighters. Dave Grohl li ha fondati dopo una tragica perdita e nel primissimo album ha suonato tutti gli strumenti e scritto tutta la musica da solo. Vedi delle similitudini anche tu o sto lavorando troppo con la fantasia?
Oh no, è intenzionale. Era uno dei miei obiettivi, lui era una delle mie grandi ispirazioni quando ho deciso di suonare tutto e cercare di fare un disco da solo. Hai ragione su questo, di sicuro.
Cosa ascoltavi da piccolo?
Di tutto. Crescendo con mio padre, gli AC/DC saltavano fuori spesso. Quindi molti AC/DC e Peter Gabriel, e poi Foo Fighters, Nine Inch Nails, Blink-182. Travis Barker e la sua batteria, crescendo, sono stati molti importanti per me. E poi, i Tool… di tutto.
Alice in Chains forse?
Sì, sicuramente gli Alice in Chains sono i miei preferiti tra le quattro band grunge, per così dire.
Qual è stata la tua educazione musicale in casa?
Ho iniziato a suonare la batteria quando avevo 9 anni e da lì ho continuato a interessarmi ad altre cose. Ho preso la chitarra e poi il basso e ho sempre saputo cantare, erano cose che mi divertivo a fare e che mi davano una gioia che la maggior parte delle altre cose non mi dava. A questo punto suono da, cavolo, 20, 25 anni ormai, è pazzesco, ma sì, sono cresciuto con tutto il supporto possibile per quanto riguarda la musica.
E quali erano gli insegnamenti di tua madre? Anche lei viene dal mondo dello spettacolo.
Mi ha insegnato come essere una brava persona, mi diceva cose come «tratta gli altri come vorresti essere trattato». È una mamma molto orgogliosa. È la migliore.
Ha funzionato questo insegnamento nel business della musica?
Sì, penso che sia importante rimanere equilibrati e sapere come affrontare le sfide che ti si presentano per cercare di non farsi sopraffare. Perché è facile stressarsi e iniziare a perdere la testa. È importante prendersi del tempo per sé.
Ci sono musicisti con cui ti piacerebbe suonare e con cui non lo hai ancora fatto?
Sarebbe bello suonare con gli AC/DC. Sarebbe una cosa importante a livello personale, per la mia connessione con loro e con mio padre, sarebbe una cosa pazzesca perché sono ancora lì che spaccano.
Li hai mai incontrati?
Li ho incontrati molto velocemente durante il tour di Black Ice. È stato bello incontrare Malcolm in particolare. E ho visto Brian al Taylor Hawkins Memorial Show nel Regno Unito. Mi ha fatto molto piacere ricevere un abbraccio da lui, è il migliore.
Quanto sei stanco di ricevere domande su tuo padre e sulla sua eredità?
Per niente. Penso che questo dimostri quanto sia stato importante per la musica in generale e soprattutto per la chitarra. Penso che questo dimostri quant’è grande l’eredità che ha lasciato. Quindi, non mi disturba affatto.













