Ellie Rowsell sembra Stevie Nicks mentre, col suo body in pelle, cavalca un grosso ventilatore. Vestiti con una quantità esagerata di denim, Joel Amey, Joff Oddie e Theo Ellis la osservano mentre l’aria le scompiglia i capelli. Sorridono orgogliosi, incitano la loro cantante, scattano foto coi telefonini.
Di recente i Wolf Alice stanno riflettendo su cosa significa essere una band e sulla sua mitologia. Ha senso: il quartetto proveniente da North London è in giro da più di dieci anni e quando fai un lavoro per tanto tempo finisci inevitabilmente per farti delle domande. I trent’anni d’età, poi, portano spesso a fare il punto: dove sei, come stai impiegando il tempo e se, in fin dei conti, sei davvero felice.
«L’idea è rivendicare il fatto di essere una band», spiega il bassista Ellis una settimana dopo il servizio fotografico a proposito delle immagini promozionali che hanno iniziato a circolare online. Tra le altre, ce n’è una in cui lui indossa una giacca di pelle con la scritta “Wolf Alice” borchiata sulla schiena. Seduto in modo un po’ instabile su uno sgabello nello spazio prove del gruppo a Wembley (dove, dice scherzando, pare di essere al liceo), Ellis dice che «l’iconografia di una band è fatta di chitarre e vestiti in pelle e cose del genere. Ovviamente è una cosa che han già fatto tutti, ma ci piaceva l’idea di giocare con quegli stereotipi e di farlo in modo divertente, di appropriarci degli elementi che vengono di solito associati alle band. Negli anni ’70 lo facevano in modo giocoso, senza prendersi troppo sul serio».
Le radici di Rolling Stone affondano proprio nella cultura rock che si è sviluppata tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 di cui parla Ellis. Nel 2025, però, le classifiche sono dominate dai solisti e questo in parte a causa della mancanza di risorse da destinare alle band in un quadro di declino economico del music business. È sempre più raro vedere quella che il batterista Amey definisce una vera band. E dunque ha senso che la nuova era del quartetto sia un omaggio a quella tradizione e allo stesso tempo e contro ogni previsione, una dichiarazione: sono ancora qua, più forti che mai.
È stato alla fine del 2021, dopo l’uscita e il successo del terzo album Blue Weekend, che Rowsell ha guardato il documentario sui Beatles Get Back. «Non mi ha ispirata direttamente, ma m’ha fatto venire voglia di tornare in sala e fare qualcosa del genere. Essere un po’ nerd, tipo».
Per Rowsell è stato rassicurante vedere una delle band più venerate di tutti i tempi cazzeggiare con gli strumenti in studio. I Wolf Alice sono nati una quindicina d’anni fa come duo folk composto da Rowsell e Oddie. Hanno subito sentito il bisogno d’alzare il volume per farsi sentire, spostandosi verso il suono alternative e indie per cui sono più conosciuti. La visione di Get Back e la risposta ad alcune canzoni del loro ultimo disco hanno rappresentato una specie di promemoria del fatto che esistono molti modi di essere una rock band. «All’inizio della nostra carriera facevamo un sacco di casino, saltavamo, cercavamo di attirare l’attenzione», spiega Oddie, che del gruppo è il chitarrista. «Con l’ultimo disco abbiamo acquisito molta fiducia facendo canzoni più… canzoni come The Last Man on Earth e Delicious Things. Sono piaciute alla gente. Se sono belle, le canzoni resistono al passare del tempo e possono essere suonate come vuoi, non importa in che epoca: se sono belle canzoni, sono belle canzoni».
Ecco da dove viene la grande ambizione che muove il quarto album The Clearing. Uscirà il 29 agosto ed è il primo da quando i Wolf Alice hanno firmato con la Columbia dopo la fine del contratto con Dirty Hit. I pezzi sono sempre belli potenti, ma in un modo più analogico, con un nucleo che nasce dalle composizioni al pianoforte di Rowsell e sfumature alla Carole King, Fleetwood Mac e persino ELO. Una critica spesso mossa ai Wolf Alice è quella di mostrare troppo apertamente le loro influenze e di avere idee troppo varie. Anche in The Clearing le radici sono in bella evidenza, ma è l’album più coeso che hanno fatto finora.

Foto: Oscar Lindqvist per Rolling Stone UK. Joel indossa giacca Atika, t-shirt Vintage Showroom, pantaloni House of Leather, scarpe Manolo Blahnik, cintura sua. Joff indossa giacca Vintage Showroom, camicia Farah, pantaloni House of Leather, scarpe sue. Theo indossa top Vintage Showroom, pantaloni e cintura suoi, scarpe Manolo Blahnik. Ellie indossa giacca Atika, pantaloni Rokit, cinrira dello stylist, scarpe Untitlab
Prodotto da Greg Kurstin, l’album ha melodie enormi, armonie ricche, archi cinematografici. Il primo singolo massimalista Bloom Baby Bloom è un bell’anteprima di quel che verrà, con Rowsell e la sua estensione vocale protagonisti assoluti (e con un video finemente coreografato, con tanto di body scintillante). La sua voce in The Clearing è più melodiosa e potente che mai. Anche la scrittura è straordinariamente sicura: Rowsell canta con ironia e dolcezza delle decisioni che si prendono nella vita, grandi o piccole che siano. In passato, preferiva seppellire le parole nel caos scatenato dalla band. Ora vuole essere più diretta e permettere alla gente di sentire quel che ha da dire.
Per anni sono stati considerati una delle band britanniche più stimate della loro generazione. Ora i Wolf Alice stanno tornando alle basi. Non c’entrano tecnologia e intelligenza artificiale, anzi il gruppo è piuttosto aperto a TikTok e alle piattaforme digitali («Reagire in modo istintivo a qualcosa solo per una questione di età è una trappola in cui si rischia di cadere invecchiando», dice Ellis). Piuttosto, vedono l’approccio adottato in The Clearing come un modo per riconnettersi all’essere una band dopo un disco denso come l’ultimo. «Dopo aver ricevuto le tracce isolate delle canzoni di Blue Weekend ho pensato che mi piaceva, ma che c’erano troppe idee», racconta Rowsell. «Così ho pensato: la prossima volta devi assicurarti che ci siano le idee migliori e che si capiscano. Se non si sentono, vuol dire che bisogna toglierne qualcuna».
Se in passato sentivano di dover esplorare ogni volta nuovi territori sonori e dimostrare quant’erano bravi rendendo tutto il più complesso possibile, ora hanno preferiscono affidarsi alla forza della semplicità. Come dice Oddie, «quando sei un gruppo di persone che passa anni a lavorare sulle canzoni, ci vuole del coraggio per dire: “Stavolta il tuo contributo sarà… non fare nulla”».
«C’è forza nel dare di meno», concorda Amey. «Ovviamente per molte band è perfettamente normale trovarsi in una stanza con le chitarre e mettersi a scrivere tutti assieme. Per noi era una cosa nuova ed è stato entusiasmante. È come in Get Back, quando si guardano negli occhi cercando di capire cosa sta succedendo. C’è dell’intimità».

Foto: Oscar Lindqvist per Rolling Stone UK. Ellie indossa tutina Rellik, stivaletto dello stylist
L’intimità di cui parla è radicata nel rapporto strano e unico che nasce dall’essere una band. È evidente che provano affetto e rispetto reciproco («Sono più nervoso nel mandare una demo a questi tre che a pubblicare una canzone per il resto del mondo», dice Amey a un certo punto). Sanno che per un esterno può sembrare una dinamica insolita, anche se, nel corso della settimana in cui li intervisto, diventa chiaro che i quattro hanno coltivato una complicità genuina col loro team. Decidono ad esempio di decorare il banco del fonico della sala prove dove stanno preparando i concerti per festeggiare il compleanno del tecnico audio Johnny Dodkins. Si raccolgono per ammirare le foto della nipotina di Ryan Malcolm, il tastierista che li accompagna in tour. Al mio arrivo, Amey mi conduce nei meandri di questo capannone surreale («Hai presente Indiana Jones?»), il tutto per offrirmi una tazza di tè.
Sono fatti così: calorosi, accoglienti, spiritosi e allo stesso tempo riflessivi, ma non esattamente riservati. Si prendono del tempo quando devono rispondere alle domande, anche per una sorta di istinto protettivo verso gli altri. Intervengono quando uno di loro sembra perdere il filo. Dicono di non aver mai avuto conversazioni precise su confini e prospettive future perché si affidano quasi sempre all’istinto.
«È come una famiglia, anche se non lo è», è la definizione che propone Ellis. «È lavoro, ma è anche amicizia, però è anche arte. Sta a cavallo tra tutte queste cose. Ci conosciamo, credo, in un modo molto strano, più di quanto conosciamo chiunque altro».
Se i Wolf Alice fossero una serie tv, i critici televisivi scriverebbero che il nord di Londra è il quinto protagonista.
Nel 2010, Ellie Rowsell, che è nata ad Archway, aveva appena finito la scuola a Camden dopo un’adolescenza passata a scrivere poesie, racconti e canzoni con chitarra e GarageBand. Ha conosciuto Jeff Oddie, originario della Cornovaglia, in un forum online di quelli tipo trova-un-compagno-di-band. I due hanno iniziato a fare musica ispirata da artisti come Johnny Flynn, esibendosi alle serate open mic nei locali della zona. Insieme agli amici Sadie Cleary e James DC, hanno fatto il loro primo concerto come Wolf Alice all’Highbury Garage in apertura agli April in the Shade, una band incontrata all’Hope & Anchor di Islington. Dopo l’uscita dal gruppo di Cleary e DC sono arrivati amici di amici, ovvero Theo Ellis e Joel Amey. Amey viene da Effingham, nel Surrey (er chi ricorda i blog musicali dei primi anni 2010: in passato ha suonato coi Mafia Lights), mentre Ellis è di Islington ed è un Gunner convinto (qualche anno fa è apparso nella campagna Adidas “Islington FM” dell’Arsenal, quella con lo slogan: “Il nord di Londra non è mai troppo lontano”).
Oddie si stava formando per diventare insegnante nel sud-ovest di Londra e, a suo dire, non aveva una grande opinione della capitale, almeno fino a quando non ha iniziato a passare del tempo con la band a Camden. «A quel punto ho pensato che era fantastico, che era casa», racconta entusiasta. Prima o poi tutti hanno vissuto a Londra nord (in realtà ci vivono ancora, a parte Amey che sta a Hastings). Quando hanno vinto il Mercury Prize nel 2018 con il secondo album Visions of a Life, hanno festeggiato con un lock-in all’Hawley Arms, lo storico pub di Camden simbolo della scena indie britannica anni 2000 (esiste un video in cui si vede Rowsell al bancone che usa il trofeo per far cadere una fila di shot di Jägermeister nei bicchieri di Red Bull tra gli applausi dei presenti).

Foto: Oscar Lindqvist per Rolling Stone UK. Joel indossa giacca Atika, t-shirt Vintage Showroom, pantaloni House of Leather, scarpe Manolo Blahnik, cintura sua. Joff indossa giacca Vintage Showroom, camicia Farah, pantaloni House of Leather, scarpe sue. Theo indossa top Vintage Showroom, pantaloni e cintura suoi, scarpe Manolo Blahnik. Ellie indossa giacca Atika, pantaloni Rokit, cinrira dello stylist, scarpe Untitlab
Per il nostro secondo incontro scelgono il Mannions, un pub irlandese verde e giallo a Tottenham. Andiamo lì perché, come mi dice Ellis, «abbiamo camminato su e giù per questa strada per buona parte della storia dei Wolf Alice». È vicino a dove abita ora e per un periodo lui e Amey hanno vissuto in un magazzino lì vicino. Hanno registrato quasi tutto Blue Weekend ai Cargo Rooms, a tre minuti dal pub, e hanno iniziato le session per The Clearing al Ten87, proprio accanto. Rowsell lascia intendere di aver fatto karaoke lì, anche se non ne vuole parlare, né dire quando ci tornerà.
Per molti aspetti, insomma, il nord di Londra è il posto dove la band è cresciuta. L’ultima traccia di The Clearing si intitola The Sofa e vede Rowsell riflettere su quanto la sua vita sia radicata in quei luoghi:
“Non ce l’ho fatta ad arrivare in California / Dove pensavo che avrei ricominciato da zero / Sembra quasi di essere bloccata a Seven Sisters / North London, oh Inghilterra / E forse va bene così”.
In tutto The Clearing si percepisce una riflessione continua sui cosa sono le fantasie e cos’è la realtà, come se si pensasse ai bivi della propria vita chiedendosi se si sono fatte le scelte giuste. Tra patatine e bibite gassate, la band parla della consapevolezza di quanto sia un privilegio fare musica, ma si avverte anche un desiderio latente di sapere cos’altro avrebbero potuto fare, e una voglia di fermare almeno per un attimo la corsa soffocante e incessante del tempo. In The Sofa, questi pensieri si traducono semplicemente nel voler stare stravaccati a guardare repliche in tv.

Foto: Oscar Lindqvist per Rolling Stone UK. Ellie indossa tutina Acne Studios, scarpe Kalda
I problemi legati alla crescita sono sempre stati un tema delle canzoni dei Wolf Alice, ma ora che tutti hanno superato i 30 anni a quel sentimento si accompagna un senso di accettazione.
«Quando sei giovane pensi che crescendo capirai meglio te stessa e le cose attorno a te», dice Rowsell. «E invece crescere significa anche capire che forse non ci riuscirai. Non sempre trovi le risposte».
Fa una pausa e aggiunge: «Non capisci mai del tutto te stessa, perché stai sempre cambiando».
Nel disco il tema dell’accettazione del cambiamento e dell’incertezza è centrale. Come l’albero di fico nella Campana di vetro di Sylvia Plath, dove la protagonista vuole assaporare tutte le possibilità della vita ma sa che, se non ne sceglie una, prima o poi marciranno tutte, The Clearing affronta il desiderio di esplorare ogni possibilità.
La protagonista di Rowsell vuole una relazione stabile, ma anche scopare con qualcuno senza tanti pensieri; vuole fare cose che sa perfettamente che le faranno male e vuole godersele, pur desiderando nel frattempo qualcosa di sano e rassicurante; sa di non volere figli, ma viene comunque turbata dal pianto di un neonato che arriva da una carrozzina (l’immagine è contenuta nella struggente quasi-ninnananna Play It Out).
C’è anche l’inno all’amicizia femminile Just Two Girls col ritornello che dice “You’re so right”. Per Rowsell, richiama un’idea che ha preso e parafrasato da Miranda July: si passano i 20 anni aspettando di incontrare amici veri per poi capire, quando ne hai 30, che già li avevi.
Se un tempo Rowsell sceglieva d’essere ambigua, oggi nei testi sembra più a suo agio a mostrarsi vulnerabile, ad essere sincera, a esporre una certa tenerezza nelle canzoni d’amore. Lo fa con la stessa naturalezza con cui rivendica il ruolo di frontwoman carismatica.
«Si tratta di acquisire la fiducia necessaria a non preoccuparsi se la gente pensa che stia scrivendo di me stessa. Più mi piacciono le cose che scrivo, più mi sento sicura, non perché non mi piacciano quelle vecchie, ma perché significa che stavo imparando».
Per i compagni di band sostenere Rowsell nel suo percorso di crescita come autrice è una priorità assoluta e parlano in modo appassionato della necessità di proteggerne il lavoro quando collaborano con produttori esterni.
«Se qualcuno vuole far prendere a un pezzo un’altra direzione per renderlo più accattivante, devi lottare per conservare il significato originale», dice Amey, che in questo nuovo disco debutta anche come cantante e autore principale in White Horses.
Per Rowsell, tutto ciò fa parte del modo in cui la band cerca di mantenere vivo l’entusiasmo.
«Cerchi di metterti continuamente alla prova per non perdere smalto. E con l’età, il tempo e l’esperienza cresce anche la fiducia», dice mentre sorride a braccia incrociate. «Un tempo se qualcosa non veniva bene, mi imbarazzava. Ora invece me ne faccio una ragione e non lascio che l’imbarazzo mi impedisca di crescere».

Foto: Oscar Lindqvist per Rolling Stone UK. Joel indossa giacca Atika, t-shirt Vintage Showroom, pantaloni House of Leather, scarpe Manolo Blahnik, cintura sua. Joff indossa giacca Vintage Showroom, camicia Farah, pantaloni House of Leather, scarpe sue. Theo indossa top Vintage Showroom, pantaloni e cintura suoi, scarpe Manolo Blahnik. Ellie indossa giacca Atika, pantaloni Rokit, cintura dello stylist, scarpe Untitlab
La consapevolezza dell’esperienza accumulata li porta a prendere in considerazione un altro lato della questione: se cominciassero oggi, esisterebbero ancora come band?
Ai Grammy del 2025 solo due dei candidati nelle categorie rock, vale a dire Idles e Fontaines D.C., avevano pubblicato l’album di debutto negli ultimi vent’anni. È evidente che ai piani alti dell’industria musicale non si sostengono i nuovi talenti rock. Quel che è ancora più preoccupante è il crollo del supporto alle band emergenti che stanno base della filiera.
È vero che nella scena underground ci sono molti progetti interessanti, ma i costi di funzionamento di un gruppo, dalla sala prova al tour, sono in costante aumento. Intanto i piccoli locali chiudono e i ricavi dalla musica diminuiscono, soprattutto se devono essere divisi fra più membri.
A tutto questo si aggiungono le conseguenze degli anni del Covid, i problemi coi visti legati alla Brexit e alle politiche di Trump. Non sorprende che molti giovani artisti l’idea di essere solisti (o di smettere di fare musica) risulti più attraente che far parte di una band.
«Quando ripenso agli inizi mi domando: potremmo farlo oggi? Onestamente non ne sono sicuro», dice Oddie. «Ce l’abbiamo fatta per un soffio. Ora i costi sono schizzati e non ci sono più posti dove provare. All’epoca potevamo affittare una stanza per mezza giornata a 50 sterline . Non credo che oggi esistano posti del genere».
«Non a quel prezzo», concorda Ellis, «e molti hanno chiuso».
Oddie annuisce. «La cosa che mi preoccupa è che rischiamo di perdere le voci della classe operaia che hanno reso la musica britannica famosa nel mondo».
La band cerca di fare la sua parte per cambiare le cose. Ha raccolto fondi per i locali musicali indipendenti e, pochi giorni dopo la nostra intervista, Oddie ha partecipato a un’audizione parlamentare sulla mancanza di accesso equo al settore musicale.
Pur avendo sostenuto pubblicamente Jeremy Corbyn e fatto campagna per lui nel 2019, i Wolf Alice non hanno mai fatto musica dai risvolti politici (fatta eccezione per Last Man on Earth, in cui Rowsell smonta il mito del genio maschile, un brano forse ancora più rilevante oggi rispetto a quando è stato scritto).
Riflettono anche sulle dinamiche di genere nell’industria musicale sia nei casi estremi, come quando nel 2021 Rowsell ha accusato Marilyn Manson di averla (forse) fotografata sotto la gonna durante un festival, sia nelle situazioni quotidiane legate al loro entourage.
«Almeno oggi le persone sono più consapevoli del fatto che vogliono squadre diversificate, non ricordo che si parlasse di queste cose quando abbiamo iniziato», dice Rowsell.

Foto: Oscar Lindqvist per Rolling Stone UK. Ellie indossa tutina Acne Studios, scarpe Kalda
I quattro stanno cercando di migliorare il mondo anche in altri modi: hanno raccolto fondi per il sistema sanitario nazionale britannico e per i rifugiati, Oddie ha fatto volontariato in un banco alimentare locale, Ellis e Rowsell condividono spesso sui social informazioni su come fare donazioni per Gaza.
Detto questo, sembrano comprensibilmente riluttanti quando si tratta di rilasciare dichiarazioni nette sullo stato del mondo.
«C’è una differenza, no?, tra esprimersi perché senti la pressione che ti spinge a farlo e l’essere realmente coinvolti», dice Oddie. «Vorrei incoraggiare tutti a essere politicamente attivi. E poi, quello che dici non è quello che fai… secondo me si tratta di cercare di prendere decisioni consapevoli nella vita quotidiana piuttosto che sentirsi costretti a dire qualcosa senza capire bene di cosa si tratta».
«Giusto!», fanno in coro gli altri membri della band, nel loro solito modo giocoso da fratelli.
Il fatto che i Wolf Alice stiano ancora pubblicando musica non è solo una questione di fortuna e tempismo. È anche la prova concreta dell’impegno condiviso verso una visione comune e l’uno nei confronti dell’altro.
«Quando superi i 30 anni il modo in cui scegli di passare il tempo conta di più», dice Ellis. «Abbiamo amici in comune che stanno diventando genitori. Noi invece abbiamo scelto di dedicare gran parte del nostro tempo a un progetto collettivo e ne siamo orgogliosi, e anche molto protettivi di questa cosa».
Il risultato di questo percorso è un album maturo e luminoso che suona come l’equivalente sonoro di imbattersi in una vecchia Polaroid: emozionante e nostalgico.
The Clearing è la dimostrazione del fascino non effimero di una rock band che scrive canzoni pop classiche e coinvolgenti, capaci di far sentire bene chi le ascolta.
Oppure, per dirla con Amey:
«Di solito arrivati a questo punto della promozione i dischi che abbiamo fatto non mi piacciono più di tanto. Sai, li ho ascoltati così tante volte che non voglio rovinarmeli risentendoli. E invece questo l’ho proprio apprezzato sia ascoltandolo che suonandolo. Che gioia».
***
Photography: Oscar Lindqvist per Rolling Stone UK
Styling: Gary Moore
tylist Assistant: Leonor Carvalho
Hair: Yumi Nakada-Dingle usando Bumble and Bumble.
Hair assistant: Erika Kimura
Make-up: Anna Payne at C/O Management usando Chanel Les Beiges Golden Hour Collection and No.1 de Chanel Body Serum-In-Mist
Da Rolling Stone UK.